Il prepartita di questo Roma-Real Madrid è contraddistinto dall’ingresso nella Hall of Fame di Francesco Totti. Quarantacinque minuti prima del fischio d’inizio la cerimonia si svolge sotto la Curva Sud, con l’ex numero 10 che viene premiato da Paulo Roberto Falcao e Bruno Conti ricevendo i cori e il plauso della curva e di tutto lo stadio intero, che per qualche minuto sembra voler tornare indietro di qualche anno chiudendo gli occhi e rivedendo i numerosi campioni che negli ultimi sei lustri hanno vestito la maglia giallorossa onorandone la storia e scrivendone nuovi capitoli.

Sono forse proprio figure di riferimento, squadre in grado lottare con la bava alla bocca e leader carismatici a mancare negli ultimi anni all’ambiente romanista. In campo non si vede certo una squadra tignosa e con l’argento vivo addosso. Tutt’altro. E questo, ancor prima di ogni sconfitta, ha finito per gettare nella depressione molti frequentatori dell’Olimpico, che inconsciamente pagano l’anonimato a cui troppo spesso questa gestione societaria li ha costretti.

Inutile girarci attorno: il calcio è legato ai risultati e anche gli ultras, pur nel loro sostegno aprioristico, hanno sovente bisogno di successi e trionfi per portare la gente dalla propria parte. Soprattutto quando si tratta di piazze così grandi. Nessuno me ne voglia, ma vedere giocare la Roma negli ultimi anni è stato spesso sinonimo di noia, scoramento e poco senso logico. Oltre che di obiettivi sportivi raramente portati a termine, o anche solo avvicinati. Il tutto circondato da inutili e boriosi proclami. Il tifoso, anche quello più fedele e devoto, alla lunga si stanca: o molla o va avanti per inerzia. Ma anche questa seconda chance non è certo ottimale e non giova affatto in termini di serenità e motivazioni.

C’è poi l’aspetto commerciale, che sempre più cammina di pari passo con il cosiddetto “calcio maggiore”. Nei primi anni 2000 ci interrogavamo su dove l’industria di questo sport sarebbe arrivata e su quanto i suoi seguaci sarebbero stati sempre più trasformati in clienti. Oggi possiamo avere una risposta corposa, sicuramente indicativa: i supporter della Serie A, o almeno quelli delle grandi città, sono considerati molto peggio di qualsiasi cliente. Sì, perché quest’ultimo almeno ha diritto alla lamentela e al rimborso in caso di prodotto fallato o non consono alle sue richieste. I tifosi, invece, devono pagare, consumare e fare silenzio. Subendo ovviamente tutte le restrizioni e gli abusi del caso.

E le curve? Non voglio e non posso parlare a nome di nessuno, ma restando in tema posso prendere in analisi la  Sud. Tornando indietro di 17 anni, quando la Roma tornò in Champions League dopo moltissime stagioni trovando proprio il Real sulla propria strada. Un sfida che mandò in fibrillazione una città; ogni frequentatore dell’Olimpico sapeva di poter essere una marcia in più. Una spinta propulsiva, che anche fosse arrivata una sconfitta avrebbe comunque recitato il proprio ruolo di genuino “casinista”. Di bollente “costruttore” dello spettacolo e non semplice comparsa.

Sarebbe forse troppo lunga, complessa e ripetitiva l’analisi sui motivi che rendono tanto difficile far tornare la Sud a livelli decenti. Ma sicuramente, in gare come queste, è triste sapere che alla stregua di quei 4/500 che si sbattono cercando di far cantare c’è chi guarda il maxi schermo per seguire la partita (non è più comodo farlo da casa a quel punto?), chi decide di andarsene prima a risultato acquisito e chi non pensa neanche lontanamente di tirar fuori la voce per la squadra che dice di tifare.

È vero: per tanti frequentare la Sud è una mera questione modaiola. Sono magari gli stessi che nei momenti di criticità la condannano, salvo poi cambiare di volta in volta il proprio sfondo sul desktop con le sue scenografie. Operazioni che ovviamente avvengono intervallate tra una navigazione in internet per controllare la giocata Snai e una consultazione dei risultati del fantacalcio: tanto per non dimenticare quali sono le principali occupazioni di taluni personaggi.

Tosta per i gruppi vivere e imporre il proprio pensiero. Sebbene anch’essi abbiano giocoforza le loro colpe: senza dubbio il chiudersi troppe volte a riccio e il non comunicare con un mondo esterno in continua evoluzione non ha aiutato a tenersi legati al tifoso che viene in curva ma non svolge vita di gruppo. Sicuramente il credere che tutto possa venire ancora da sé, che l’entusiasmo della gente, la voglia di sentirsi il dodicesimo in campo e la comprensione del luogo che si frequenta possano essere insiti in chiunque varchi i cancelli della Sud sono oggigiorno solo un’utopia. La gioventù ha avuto i suoi stravolgimenti rispetto a quella che due decenni fa sceglieva il settore degli ultras per seguire le partite. E non accorgersi (o fregarsene) di questo in molti casi è stato un autogol imperdonabile.

Così come perdersi dietro questioni di lana caprina, mettere davanti al bene dell’intero settore le proprie beghe o la poca voglia di rimettersi in gioco e uscire dai confini del proprio orticello per lavorare con chi è fisiologicamente tanto diverso ma avrebbe anche tanto da imparare.

Senza mordente, senza cattiveria, senza voglia e tramortita. Questa è l’immagine che la Sud dà oggi di sé stessa.

Sia chiaro, nessuno dimentica il travaglio che la tifoseria giallorossa ha dovuto subire. Le barriere e la repressione folle hanno ovviamente bastonato oltremodo gli ultras capitolini. Favorendo anche l’ingresso nel settore di persone che, oggettivamente, un tempo avrebbero al massimo frequentato i Distinti. Ed è altrettanto ovvio che il non avere uno straccio di obiettivo sportivo, l’uscire dai giochi a metà stagione e il non vedere squadre in grado di trasmettere entusiasmo è un qualcosa di clamorosamente lesivo. Che ha gettato l’ambiente romanista in un’apatia davvero grigia e triste.

Prima di questa gara Aleksandar Kolarov ha ben pensato di esprimere il proprio sentimento nei confronti di quei tifosi che hanno “osato” storcere il naso per le ultime prestazioni della Roma. Ha detto che “non capiscono niente di calcio”. Cosa spesso vera, sia chiaro. Così come spesso sarebbe bello che il tifoso pensasse prima ai suoi “compiti” anziché volersi sostituire all’allenatore o a ergersi ad esperto di finanza. Tuttavia le dichiarazioni del serbo, oltre ad esser arrivate con una tempistica totalmente fuori luogo, possono tranquillamente essere inserite in quel contesto di esternazioni con cui questa proprietà ha sovente attaccato il proprio pubblico. “Fucking idiots” è la madre di tutte, senza dubbio.

E se le mie critiche precedenti riguardano i tifosi, agli stessi penso si possa dire ben poco per seguito e sacrifici: con i folli prezzi dei biglietti imposti dal club e gli scarsi risultati ottenuti, l’Olimpico fa registrare da anni ottimi numeri mentre in trasferta i settori sono ormai quasi sempre sold out. Allora sì, la gente capirà anche poco di calcio, ma andrebbe rispettata a prescindere perché è grazie alla sua passione che lor signori possono scendere in campo e sfregarsi le mani di fronte ai propri paradisiaci conti in banca.

Logica conseguenza sono dunque alcuni fischi che piovono al suo indirizzo durante il riscaldamento e la lettura delle formazioni. Mentre più corposa – anche se non totalitaria – sarà la contestazione nei confronti della società, con James Pallotta obiettivo principale.

Per quanto riguarda il settore ospiti, la situazione è alquanto grottesca: nella parte alta sono sistemati gli Ultras Sur, mentre in basso i RMCF 1902, gruppo che da qualche anno è al centro della curva del Bernabeu. Di sicuro questi ultimi tutto sembrano tranne che ultras. Una presenza molto da club, con un sostegno canoro pari allo zero. Un po’ diverso lo spicchietto occupato dallo storico gruppo madrileno: si fanno sentire di tanto in tanto con cori secchi, scambiando qualche opinione con i vicini dirimpettai della Curva Nord. Da segnalare, tra loro, la presenza dei veronesi con un piccolo drappo Brigate Gialloblu.

In campo finisce 2-0 per gli spagnoli grazie ai gol di Bale e Vazquez. Malgrado la sconfitta anche la Roma è matematicamente qualificata agli ottavi in virtù del contemporaneo successo del Viktoria Plzen a Mosca contro il CSKA.

Testo Simone Meloni

Foto Cinzia LMR