Quattro giorni dopo la movimentata sfida di Liverpool. Quattro giorni in cui su Roma e i suoi tifosi si sono abbattute critiche, insulti e teorie spesso al limite del ridicolo. Simposi dove giornalisti e presunte menti eccelse hanno riportato in auge tutta la retorica anti ultras, firmando processi sommari e facendo dell’informazione distorta e propagandistica il proprio cavallo di battaglia.

Il grottesco di questa situazione ha chiaramente viaggiato sui social, ormai frequente luogo di ritrovo di quanto peggio possa partorire l’umanità in tema di comunicazione. I profili dei ragazzi attualmente detenuti in Inghilterra per gli incidenti pre partita sono stati chiusi a causa di insulti e minacce di morte mentre quello di Sean Cox, tifoso irlandese dei Reds attualmente in coma farmacologico, si è riempito di messaggi di solidarietà ma anche becere discussioni tra tifoserie rivali.

Un vero e proprio gioco al massacro in cui ci si dovrebbe chiedere quale sia l’utilità di rendere noti nomi e cognomi di persone indagate e soprattutto “spammare” letteralmente il volto, le foto più intime e i dati personali del supporter in ospedale. Il silenzio e l’utilizzo della cronaca fredda, attinente ai fatti, sarebbero le uniche modalità dovute.

Ma invece no: la linea su cui si è voluti insistere è quella dell’allarmismo, del terrorismo psicologico nei confronti dei 5.000 tifosi inglesi in arrivo a Roma quest’oggi, non facilitando così neanche il compito di chi sarà chiamato a gestire l’ordine pubblico e a giudicare per i fatti dell’andata.

Di certo la stampa inglese non è stata da meglio. Un ricettacolo di inesattezze e frasi di circostanza volte a non assumersi neanche una minima responsabilità per quella che – ormai si è capito pienamente – è stata una serata gestita quanto meno in maniera confusionaria dalla polizia di Sua Maestà.

Roma-Chievo si gioca in un ambiente strano, con la Sud che non presenta alcuna pezza e alcuno striscione in segno di solidarietà con i ragazzi arrestati. La mente è alla partita di ritorno e in più occasioni vengono infatti scanditi cori contro il Liverpool. Questo creerà addirittura qualche risentimento tra i tanti benpensanti che albergano le nostre televisioni e i nostri giornali, quando sarebbe invece meglio spingere affinché tutto ciò sia riportato nel classico recinto della rivalità calcistica. Un po’ come quando si sollevava dello squallido clamore mediatico per la celeberrima discriminazione territoriale. La stessa peraltro usata nei confronti dei tifosi per vietare le trasferte.

L’Italia è un Paese troppo spesso in mano a psicopatici chiamati a fare o muovere l’opinione pubblica. Ognuno si dovrebbe ricordare di svolgere il proprio mestiere, senza invadere campi che non lo riguardano.

Un piccolo focus sulla Sud: vedere ampi spazi vuoti (molti più del solito) è veramente un colpo al cuore, oltre che la chiara scelta per molti di “saltare” la partita, preferendo magari il mare o una scampagnata. Tempo fa un ragazzo tra i miei contatti Facebook commentò un mio pezzo dicendo: “Prima si andava allo stadio, ora si va a vedere la partita”. Non fa una piega. Sapere che però questo avviene nel settore che teoricamente dovrebbe rappresentare il cuore pulsante del sostegno  giallorosso, fa riflettere. Sembra quasi che al di fuori del tifo organizzato vero e proprio, ormai anche il supporter mediamente più caldo, abituato a frequentare la curva, abbia imboccato la strada di un imborghesimento latente. Così tanti spazi vuoti francamente non li ricordavo dal primo periodo post Raciti, quando una massiccia opera di demonizzazione e repressione svuotò in maniera importante la maggior parte degli stadi italiani.

Per l’occasione i tifosi del Chievo vengono “confinati” nella parte alta della Tribuna Monte Mario. Il loro numero esiguo permette alle forze dell’ordine di non aprire il settore ospiti. Tifo clivense pressoché nullo.

In campo finisce 4-1 per la Roma.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr.