L’ex stabilimento del pastificio Antonio Amato si staglia a pochi metri dalla ferrovia. La Strada Statale 18 lambisce il quartiere Mercatello continuando la sua corsa prima attraverso la Mariconda e poi sempre più a Sud, rimanendo abbracciato con quel Mar Tirreno da cui, di volta in volta, viene investito da sabbia e salsedine.

È Primo Maggio e la festa invade le strade di Salerno. Sebbene qua non ci troviamo in centro ma – camminando verso l’Arechi – ci spostiamo sempre più verso fuori e il vento comincia a soffiare più libero sui grandi spiazzi che lentamente si aprono verso il lungomare.

Mi sono avvicinato alla spiaggia per qualche istante. Solo per sancire l’arrivo dal Sannio. Venendo da Benevento ho attraversato montagne e paesaggi scoscesi e ora poter sentire l’odore del mare francamente mi completa la giornata. In Italia ci sfottiamo tra pecorari e pesciaroli (uso il mio dialetto, per non far torto a nessuno) ma credo che nel nostro profondo sappiamo quanto questo sia un privilegio. Perché permettere all’olfatto di distinguere l’essenza del bosco appenninico e l’asprezza del mare è un qualcosa che ti inorgoglisce, benché ti faccia anche pensare a quanto buona parte del nostro territorio sia costantemente in mano a beceri speculatori pronti a distruggerlo o inquinarlo.

Giusto il tempo di aspettare la metropolitana e in qualche minuto la sagoma dell’Arechi si materializza davanti ai miei occhi. È relativamente presto, malgrado mi attenda la camminata per ritirare l’accredito al Campo Volpe, tre chilometri più in là. Ne approfitto per scattare qualche foto al sole che lentamente va a morire dietro la città e cominciare a vedere le strade riempirsi di sciarpe granata.

La Salernitana è salva ma sta accarezzando il sogno di disputare i playoff. Sarebbe quasi una giusta ricompensa per un pubblico che dopo il fallimento di qualche anno fa ha conosciuto l’onta del dilettantismo e tutto quello che ne consegue: da campi sperduti nei più reconditi posti d’Italia alla ricostruzione di un sentimento che sembrava esser andato perso.

Ci sono stato ormai diverse volte, ma Salerno ha un suo fascino particolare. Sarà il fascino che su di me hanno sempre esercitato le città di mare, sarà la sua storia travagliata e comunque piena di aneddoti o forse sarà semplicemente la liturgia della Salernitana. Tipicamente meridionale. Squisitamente “terrona”. Se vuoi vedere oltre una sfera di cuoio e undici giocatori guarda sugli spalti: questa è una delle città che difficilmente ti deluderanno.

Ore 20, sono pronto ad entrare nella pancia dello stadio. Espleto velocemente il fastidioso rito del controllo biglietto/documento e mi preparo a salire le scale che portano sulle gradinate. Una curiosa sorte vuole oggi sul manto verde si tenga un’iniziativa per il piccolo Genny, bambino affetto da una grave malattia rara, la CDG, che in questi ultimi mesi ho avuto modo di incrociare in diverse situazioni, non ultima proprio a Frosinone contro lo Spezia. L’Arechi applaude e la Sud gli dedica cori e anche una coreografia all’ingresso dei giocatori, mentre dal settore ospiti spunta uno striscione per il bambino. Minuti in cui tutto lo stadio si unisce in un applauso.

Ma è il solo momento di coesione tra le due tifoserie. Granata e giallazzurri si stanno tutt’altro che simpatici. Dovremmo andare indietro nel tempo e nelle storie delle due curve per capirne le motivazioni. Di certo le amicizie hanno fatto il loro: lo storico gemellaggio tra campani e reggini non può passare indifferente agli ultras laziali, che proprio con i calabresi vantano una rivalità ormai storica. Così come il vecchio rapporto tra baresi e granata non giova a un’eventuale indifferenza. Mentre dall’altra parte la recente amicizia con gli avellinesi ha ovviamente pesato sull’economia del modi di vedersi.

Insomma, l’antipatia è reciproca e le due fazioni non ci mettono molto a chiarirlo con cori e gestacci. Per uno spettatore neutro come il sottoscritto tutto ciò va soltanto a rinfocolare la contesa, ed è pertanto salutare. “È buono qui, è buoni qui” diceva un direttore d’orchestra nella pubblicità del Tè Infrè, indicando prima il cuore e poi la bocca, in segno di gusto.

Che in campo non sarà una partita come le altre si capisce già all’8′, quando il Frosinone va in vantaggio con Mazzotta, trovando il raddoppio qualche minuto dopo con un autogol di Bittante. Esplode il settore ospiti, mentre schiuma di rabbia il popolo granata. Ma il “peggio” deve ancora venire per i tifosi campani: Minala protesta in maniera veemente con l’arbitro e viene espulso mentre qualche minuto più tardi il direttore di gara concede, in maniera generosa, un penalty agli ospiti che Ciofani realizza chiudendo virtualmente la gara.

Le proteste di pubblico e giocatori sono furibonde, mentre sugli spalti gli animi si contrappongono con i giallazzurri ovviamente in visibilio e la Sud intenta a mostrare il proprio disappunto. In questa situazione potrebbe essere difficile fare la cronaca del tifo, perché di solito ci sono diverse reazioni, tra cui quella di abbandonare o smettere di tifare da parte del pubblico che si sente vittima di un’ingiustizia.

Non succede per i salernitani e gliene va dato atto. Anzi, dopo una buona prestazione nel primo tempo, i granata mettono anima e cuore nella ripresa e si rendono autori davvero di una bella prova. Che va elogiata soprattutto per l’attaccamento. Ovviamente a tirare le redini di tutto è il nuovo coro – ripreso dalla tifoseria del San Lorenzo – sulle note di “Despacito”.

Faccio una premessa: non sono un amante dei cori sudamericani importati in Italia. Il 90 percento delle volte vengono trasformati in stucchevoli litanie che non concilierebbero neanche il sonno di un minatore reduce da due giorni consecutivi di lavoro. Ciononostante la Sud è riuscita a farmi apprezzare una canzone che di suo detesto (come tutte queste arie spagnoleggianti che ormai hanno invaso le nostre giornate) imprimendole il giusto ritmo e coinvolgendo il resto dello stadio. Un po’ come quando uscì lo “Jamm a vrè” che a un certo punto i tifosi intonavano pure prima di entrare allo stadio. In questo davvero nulla da dire per una tifoseria che, quando ha voluto, è riuscita a dare un chiaro stampo al proprio tifo.

L’unico appunto che posso fare è per la poca coordinazione nella parte superiore e spesso il poco movimento nell’angolo alla sinistra (rispetto al mio punto d’osservazione) della curva. Ma considerato l’andamento della partita, ripeto, davvero poco da dire.

Per quanto riguarda il settore ospiti, i ciociari si producono in una buona prestazione: tanti battimani, cori a rispondere, bandieroni sempre in altro e un paio di sciarpate nel finale. A livello numerico forse si poteva fare qualcosina in più considerata la distanza e la buonissima posizione in classifica. Tuttavia, come dico sempre, di questi tempi spesso è meglio che in trasferta ci vada chi ha intenzione di tifare, rispetto a quelli che vanno a fare scampagnate rappresentando una vera e propria zavorra. Diversi gli “scambi di vedute” con il vicino gruppetto dei Distinti; anche questo è sicuramente salutare e frizzante per chi guarda da fuori.

Al triplice fischio ci sono insulti sonori per la terna arbitrale mentre le due squadre, per motivi diversi, vanno entrambe a raccogliere gli applausi delle proprie curve.

Mi trattengo effettuando gli ultimi scatti e respirando quel pizzico di aria da stadio che mi rimane per poi prendere la vita del ritorno. È stata una giornata intensa. Una giornata che finisce solo perché si spengono i riflettori. In attesa che se ne accendano altri, facendo risplendere un campo e due curve da raccontare.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Giuseppe Scialla.

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