Cinquanta sono i chilometri che dividono Bologna e Ferrara. Li percorri in treno, con le vecchie strade di campagna o in autostrada. L’ira funesta di Burian ha visivamente stravolto il paesaggio che solitamente vedo scorrere dal finestrino e oggi quell’immensa distesa pianeggiante, intervallata solo da qualche casolare ai bordi dei canali d’irrigazione è completamente bianca. Le perturbazioni nevose e il ghiaccio che ne è scaturito hanno creato non pochi problemi all’Emilia e anche oggi alcune partite (tra cui Parma-Palermo) verranno rinviate.

Al Mazza si giocherà, ma sotto una pioggia sottile e invadente, “rallegrata” da quel poetico banco di nebbia che rende il tutto molto nordico.

Cinquanta sono anche gli anni che intercorrono dall’ultimo derby di Serie A giocato nell’impianto di Corso Piave. Quarantanove e 358 giorni a essere precisi, essendo allora il 10 marzo del 1968. Vinse il Bologna, per 3-1. Vinse contro una Spal che si avviava alla retrocessione. Erano gli anni dei Dall’Ara e dei Mazza presidenti. Quelli in cui il Derby d’Emilia era inequivocabilmente tra felsinei ed estensi. Tra il capoluogo e la città di provincia. Tra la squadra Campione d’Italia pochi anni prima e quella operaia, garibaldina e volitiva che infervorava la folla biancazzurra.

Astraendoci dalla massima categoria, Spal e Bologna hanno incrociato le proprie strade anche successivamente a quel 10 marzo del 1968. E chi segue il calcio lo ricorderà molto bene. Erano gli anni novanta, un’epoca nera per i rossoblu, caduti fragorosamente in Serie C e costretti, loro malgrado, a divincolarsi nell’insidioso pantano che questa categoria rappresenta per chi non l’ha mai vissuta. Restano quindi celebri le immagini di quella semifinale playoff datata 1994, vinta dai ferraresi (che poi perderanno la finalissima col Como a Verona) e caratterizzata da pesanti tafferugli sotto la Curva Nord dello stadio Dall’Ara tra ultras bolognesi e polizia.

In questi dieci lustri tante cose sono radicalmente cambiate. Il calcio è divenuto uno sport assai diverso da quello di mezzo secolo fa e il modo di andare allo stadio non è neanche minimamente paragonabile a quell’epoca.

Eppure l’acredine non si è scalfita. La vicinanza delle città e il prestigio calcistico delle squadre hanno fatto il resto. Impossibile, almeno per i criteri italiani, che il campanile lasci spazio a simpatie o indifferenze. Ancor più se si contestualizza ciò nella geografia calcistica emiliana, da sempre ricca di sfide calde e segnate da aperte ostilità tra le varie città.

Quando metto piede in città, malgrado Giove Pluvio non lasci neanche un centimetro di marciapiede asciutto, c’è già un gran viavai di persone con la sciarpa biancazzurra al collo, mentre in zona stazione la presenza di forza dell’ordine è imponente. Per l’occasione, infatti, i Forever Ultras hanno deciso di raggiungere Ferrara con il treno.

Sebbene si tratti di una partita sentita, le gradinate del Mazza non registreranno il sold out. Ci sono sicuramente alcune attenuanti, fra cui quella del meteo. La temperatura prossima allo zero e una sicura doccia da prendere per 90′ non invogliano ovviamente i tifosi. Ma esiste anche un reale problema di caro prezzi. E mi permetto di dire che sia una delle poche cose imputabili in queste annate a una dirigenza, quella spallina, generalmente attenta ai propri tifosi e sicuramente capace di fare calcio in maniera quadrata. I prezzi della Gradinata variano dai 50 ai 70 Euro. Costi a dir poco esorbitanti, anche calcolando che si tratta di un settore scoperto, che in queste occasioni quindi non garantisce una visione “tranquilla” del match.

Nel settore ospiti sono andati invece a ruba i biglietti, terminati poche ore dopo l’apertura della prevendita. A riprova di quanto anche Bologna necessiti di sfide stimolanti, al netto di campionati ormai sempre anonimi e senza mordente che fiaccherebbero anche il più instancabile e appassionato dei tifosi. Soprattutto se si pensa agli exploit di squadre senza storia (oltre che seguito) che in questi anni si sono “permesse” il lusso di scalare le posizioni della Serie A, arrivando a vantare qualche partecipazione in Europa League.

Quando faccio il mio ingresso allo stadio, quaranta minuti prima del fischio d’inizio, l’unico settore che già risponde “presente” in toto è ovviamente la Curva Ovest. Il direttivo è vistosamente impegnato nella preparazione della coreografia, mentre di tanto in tanto si sente partire qualche coro per “stuzzicare” i dirimpettai. I quali rispondono per le rime, inaugurando nel migliore dei modi il derby del Mazza.

La Spal è reduce dalla vittoria di Crotone, un successo che ha rimesso gli estensi in piena corsa per la salvezza, dando un’iniezione di fiducia non indifferente alla squadra di Semplici. Proprio in virtù di questo, la sfida di oggi assume un significato fondamentale dal punto di vista prettamente sportivo.

Terminato il riscaldamento delle squadre, le due tifoserie si preparano per mettere in scena le rispettive coreografie. Su fronte bolognese si opta per un classico che fa sempre la sua bella figura: tanti palloncini rossi e blu colorano il settore ospiti accogliendo l’ingresso in campo delle squadre.

A livello scenografico, non me ne voglia nessuno, sono però gli spallini a primeggiare quest’oggi. Quando si alza il sipario della Ovest lentamente viene a formarsi uno spettacolo di rara bellezza: San Giorgio (patrono di Ferrara), sul proprio cavallo, fronteggia un drago rossoblu, sullo sfondo le mura della città. Una coreografia che raccoglie gli applausi convinti dello stadio e che rimanda a qualche anno fa, quando regolarmente le curve si dilettavano in simili opere mettendo in mostra tutta la propria creatività.

Il lavoro della Curva Ovest prende spunto da un quadro del pittore toscano Paolo Uccello, attualmente conservato alla National Gallery di Londra. Da una breve ricerca su internet si legge: “L’opera ritrae il cavaliere San Giorgio mentre dall’alto del suo cavallo sta trafiggendo lo spaventoso drago. Secondo il racconto della Legenda Aurea, San Giorgio, dopo averlo ferito, invita la principessa a legarlo senza timore con la sua cintura perché la segua in città ‘come una mansuetissima cagna’, dove verrà poi ucciso dal Santo per convertirne la popolazione al cristianesimo. San Giorgio è l’emblema della ragione che trionfa sulla bestialità e della fede che vince il male”.

Quando le scenografie calano le squadre stanno già sgambettando sul terreno di gioco. Chi si aspettava una partita bella dal punto di vista tecnico sarà sicuramente rimasto deluso, chi invece voleva un incontro maschio e duro avrà sfregato le proprie mani. Spal-Bologna si capisce subito che non sarà la solita contesa all’acqua di rose, tipica di un campionato ormai morbido come quello di Serie A. Contrasti, liti, fanghiglia che sporca le maglie e arbitro circondato sono il leitmotiv della partita. Ne fa subito le spese Gonzalez del Bologna, espulso per un intervento da bollino rosso.

E gli spalti? Inizio con i supporter felsinei, alla mia destra. È vero che stare un’ora e mezza sotto l’acqua battente non funga certo da stimolo ed è altrettanto vero quanto detto sopra: il Bologna ormai da anni non regala emozioni al proprio, fedele, pubblico. Ma da loro mi aspettavo francamente qualcosina di più. Troppo discontinui, poco colorati e, nel secondo tempo, quasi impalpabili. I bolognesi non offrono una gran prova a essere onesti. Fatto salvo per un paio di picchi e i tanti cori contro dirimpettai, quelli sì, gridati con la convinzione di chi vuol arrivare al “nemico”.

Il capoluogo emiliano rimane sempre un rompicapo per il sottoscritto. Città che amo (sarei ipocrita se dicessi il contrario) e di cui ho sempre riconosciuto un grande attaccamento allo sport (basta sommare i numeri delle persone che vanno a vedere il calcio e le due squadre di basket) ma che proprio nello sport più popolare del Paese ha spesso riscontrato una certa incostanza nel tifo. Sicuramente i numerosi cambi nella geografia della Costa non giovano a convogliare l’unità d’intenti e a mettere in mostra la compattezza, questo è vero.

Cambiando versante, la performance degli spallini si attiene su ottimi livelli, seppur in crescendo tra primo e secondo tempo. Per metà della prima frazione, infatti, gli ultras ferraresi sembrano non trovare appieno il bandolo della matassa, forse anche per la mancanza di un lanciacori nella parte destra del settore. Non a caso quando vedo arrivare un megafonista da quelle parti, la situazione migliora e il settore lentamente spicca il volo, mettendosi in evidenza col solito modo partecipativo e continuativo di fare tifo.

Nella ripresa Grassi porta in vantaggio la Spal, facendo esplodere il Mazza e galvanizzando l’ambiente. Il Bologna tenta la reazione, ma sembra non avere idee e fiato. I minuti passano e i tifosi di casa cominciano ad assaporare un successo atteso da anni, aumentando ancor più i decibel dei propri cori e colorando la Ovest con una bella sciarpata sulle note di “Che sarà sarà”.

Al 94′ Destro avrebbe l’occasione per gelare (ancor più) il pubblico di casa, ma a porta sguarnita e a distanza praticamente nulla, riesce nell’impresa di spedire il pallone fuori. Gli spallini esultano come se avessero segnato il raddoppio. Da lì a poco arriva il fischio che sancisce il successo dei ragazzi di Semplici e dà il via alla festa sotto la curva.

Delusione in casa bolognese, con i tifosi rossoblu che vedono inflitta loro l’ennesima delusione stagionale.

Continua a piovere, non ha smesso praticamente per un solo istante. E chissà quanta ancora ne dovrà venire giù. Uscendo mi imbatto nella lite tra un attempato tifosi biancazzurro e una steward. Motivo della contesa? L’ombrello sequestrato all’ingresso e non trovato dal signore all’uscita. Inutile sottolineare la ragione da quale parte sia. Del resto si è voluto dare potere e libertà a personaggi che spesso non sanno neanche come sia fatto un pallone di calcio e ragionano sulla mera paura di ripercussioni da parte dei loro superiori, incapaci di formarli e forgiarli lavorativamente parlando. Questa è la polemica finale, lasciatemela passare.

Saluto Ferrara e il derby, con la certezza di aver messo in cascina un’altra sfida storica del nostro sgangherato calcio.

Testo di Simone Meloni
Foto di Fabio Bisio