Ci sono posti e tifoserie per le quali provo una vicinanza affettiva particolare, alimentata anche da quella geografica che mi ha permesso, nel corso degli anni, di conoscerli più da vicino. Posti e tifoserie che mi riprometto ogni volta di ritornare a visitare e che poi, specie negli ultimi tempi, devo per forza di cose mettere in subordine ad altri e più importanti impegni personali.
Finalmente sabato, dopo un lungo inseguimento, sono riuscito ad incastrarmi per assistere ad una partita della Spal. La mia prima partita “alla Spal”, come dicono gli autoctoni, nel tanto agognato e lungamente inseguito campionato di Serie B.
Contravvenendo ai miei proverbiali ritardi, riesco ad arrivare a Ferrara con un certo vantaggio sul calcio d’inizio. Dopo aver girato un po’ in tondo, a causa dei vari sbarramenti stradali imposti dalle nuove misure di sicurezza, decido di allontanarmi un po’ per liberarmi quanto prima dell’auto e non bruciare tutto il vantaggio iniziale. Raggiunte a piedi le vicinanze dello stadio “Paolo Mazza” posso rallegrarmi della bontà della scelta operata, visti i giri infiniti a cui vari blocchi di polizia obbligano tanto me quanto i tifosi spallini: si capisce che la sicurezza è la ragione suprema che muove tutto, ma a volte è quantomeno kafkiano il rapporto fra benefici ottenuti a fronte dei disagi sopportati.
La prima cosa che ho amato della Ferrara calcistica è stato proprio il “Paolo Mazza”, uno stadio tanto vetusto quanto affascinante. Ricordo ancora, in maniera vivida, lo strano flashback quando calpestai per la prima volta gli scalini che dagli spogliatoi salgono verso il terreno di gioco; degli scalini talmente vecchi e deformati da quasi un secolo di calcio, su cui ogni passo mosso sembrava riecheggiare dei tacchetti di tanti campioni storici del calcio locale e nazionale. Tornare oggi al “Mazza” e trovarlo stuprato tutt’intorno di tornelli e prefiltraggi, cancellate e transenne, mette davvero una grande tristezza (oltre che rabbia in chi è costretto a file più stupide che utili). Se posso usare l’ennesima metafora letteraria, sembra ritrovarsi di fronte alla più grottesca delle rappresentazioni pirandelliane, di fronte ad una donna che potrebbe portare la propria età con sobria eleganza, ma si ridicolizza (in questo caso per costrizione e non per scelta) con belletti e paramenti a dir poco volgari e inadatti. Ma tant’è.
Dopo aver fatto una prima inutile fila ad un varco, tradito da un cartello equivoco, me ne tocca una seconda che include ancora i normali tifosi e solo per un soffio riesco ad arrivare per tempo al calcio d’inizio. Ci arrivo comunque con il sorriso: stempera la mia arrabbiatura una coppia di vecchietti avanti a me, marito e moglie, teneramente imbranati ed ignari di cosa sia diventato oggi il calcio, senza documenti ed incapaci di attivare il tornello con il codice a barre della propria tessera del tifoso/abbonamento. A rigor di logica, stando almeno alle cialtronate che sosteneva l’Osservatorio, la tessera varrebbe già e da sola come documento, ma in ogni caso gli inservienti hanno il buonsenso di derogare e farli entrare: non avrebbero meritato di restare schiacciati da questi pachidermici mostri di burocrazia che sono diventati gli stadi e sinceramente non lo meriterebbe nessun tifoso, per quanto gli sceriffi continuino a vessarli con la loro ipocrita retorica dei tifosi buoni/tifosi cattivi, scremati solo in base al possesso di un pezzo di plastica o da qualche altro assurdo cavillo. Il problema è che quasi tutti ragionano ormai in termini di clienti e non più di tifosi.
Dentro la Curva Ovest è già bella piena. Onestamente, anche nei tempi non sospetti della Serie D, ho sempre ritenuto proporzionalmente importanti i suoi numeri. Con una curva strutturalmente così imponente è facile (e a tanti in condizioni simili è capitato) scadere nel ridicolo. Loro, pur tra alti e bassi, hanno sempre conservato una loro decenza, anche da un punto di vista qualitativo. Dopo anni in cui hanno miseramente dovuto subire, ora raccolgono soddisfazioni e premi. La fortuna è una ruota che gira.
All’ingresso dei ventidue in campo, nulla di preparato per i padroni di casa: una manciata di bandieroni, alcuni di fattura davvero pregevole, un bel po’ di bandiere di dimensioni minori e diverse sciarpe aperte, seppur in maniera disordinata e non tale da definirla una vera e propria sciarpata. Gli ospiti sono in tutto una quarantina, sparpagliati nell’ampio settore loro destinato: una quindicina son quelli che si compattano fra loro, mostrando 5/6 bandiere con un teschio, simbolo del loro gruppo. Chiaramente non è nulla di eclatante, però devo dire che l’effetto è gradevole.
Il tifo iniziale è molto potente nella Ovest, mentre nel settore dei loro dirimpettai si sente qualche coro sporadico, ovviamente limitato in potenza dallo scarso numero di effettivi che vi partecipa. In campo, dopo soli 7′ l’Entella passa già in vantaggio: la fazione casalinga stringe i denti e prova a tener botta, poi con l’innegabile aiuto della copertura, cassa di risonanza per i loro cori, riesce a superare senza drammi la perdita di volume e di partecipazione causata dallo 0-1.
La Ovest prova a spingere la propria squadra, la Spal prende in mano il pallino del gioco, ma esercita una supremazia territoriale sterile. Sembra che il pallone scotti fra i piedi degli emiliani, mentre l’Entella controlla con ordine gli spazi e sembra avere quella malizia e quell’esperienza nella categoria che i loro avversari non hanno ancora avuto modo di sviluppare. Prova ne è l’azione con cui, con molto mestiere, i biancazzurri ospiti raddoppiano.
Sembra la chiusura anticipata dei conti. Mi aspetto e spero giusto in una prova d’orgoglio della tifoseria che permetta di dare un senso ad un’altra metà di gara, ma cinque minuti più tardi è la Spal a metterci rabbia e cuore, segnando un devastante uno-due nell’arco di un minuto che le permette di acciuffare un pareggio tanto esaltante quanto insperato.
Gli ultimi minuti del primo tempo dunque, sono di un livello incredibilmente alto, con l’entusiasmo alle stelle e la partecipazione del resto del pubblico che permette di raggiungere picchi davvero notevoli. Nel frattempo, le due pezze “2013” e “2016” avevano fatto capolino lateralmente a “Otto Settembre”, e proprio in questo finale viene esposto a mano il cartaceo “FRATELLANZA, RISPETTO, AGGREGAZIONE. 3 ANNI DI PURA PASSIONE”. Proprio l’otto settembre di tre anni fa infatti, in uno Spal-Monza di Lega Pro, aveva fatto la sua prima comparsa lo striscione “NON CAMMINERAI MAI SOLA” che, da allora, è diventato un po’ la summa filosofica del tifo spallino, la bandiera ideologica sotto la quale tutte le anime si sono ricompattate. Aiutati in realtà anche dal crescendo parallelo della squadra, i ragazzi della Ovest hanno segnato una svolta ed una crescita del loro tifo che si può definire, senza tema di esagerazioni, davvero esponenziale.
Un altro striscione trova spazio nel secondo tempo, per dare il benvenuto a Nayara, una neonata tifosa dei padroni di casa. La prova viene impreziosita da una sciarpata questa volta eseguita in maniera impeccabile. Tantissimi i battimani e bella la coordinazione che li rende funzionali anche da un punto di vista coreografico. Il tifo vocale conosce sì qualche bel picco, ma in generale risulta più continuo che potente ed in fondo va bene anche così.
In campo, dopo soli dieci minuti della ripresa, la Virtus Entella resta in dieci per un’espulsione. L’inferiorità numerica finisce per incentivare la prudenza ed alla fine anche i padroni di casa, dopo qualche tentativo infruttuoso, realizzano che è meglio accontentarsi di un punto che sembrava quasi perso, anziché rischiare di essere puniti in contropiede per la propria arroganza.
La tifoseria ligure, dopo un primo tempo in cui aveva esordito con un buon sventolio di bandiere, qualche coro e qualche buona manata, in questi secondi 45′ perde mordente e si fa sentire davvero poco o niente. Non sono però deluso: conscio dei limitati mezzi numerici a disposizione e della giovane tradizione (tra l’altro azzerata dopo i fatti di Catania della scorsa stagione), stimavo addirittura qualcosa in meno in quantità e tifo. Con un po’ di generosità, diciamo che gli si può concedere una sufficienza d’incoraggiamento per aver onorato la trasferta, ma onestamente avrebbero potuto fare molto di più.
Molto buona la performance dei padroni di casa, con un giusto mix di potenza, colore, varietà dei cori e soprattutto continuità. Fuori dalla retorica dei meriti iperbolici, questa Serie B attesa per 23 anni è senza dubbio una categoria alla loro portata, in cui possono dire la loro e crescere ulteriormente come tifoseria, continuando a dimostrare, domenica dopo domenica, lo stesso piglio combattivo e mantenendo sempre la stessa umiltà di questi tre anni.
Matteo Falcone.