Aeroporto di Charleroi Sud, ore 20 circa: l’aereo Ryanair proveniente da Bologna Marconi atterra finalmente al suolo, dopo due ore di viaggio non propriamente tranquille, causa una piccola turbolenza (piccola, poi, secondo le hostess…) capace di sballottare qua e là l’aereo a mo’ di montagne russe tra le nuvole dell’Europa Centrale.

Il primo contatto vero e proprio col Belgio, se possibile, è però ancor più traumatico: la partenza imminente della navetta per la stazione costringe il sottoscritto ad una scena simil fantozziana, quella della presa al volo del bus, finita – a differenza del film – col lieto fine.

Alle nove in punto l’arrivo alla stazione dei treni di Charleroi: tutto procede secondo i piani, anche grazie al ritardo del convoglio da prendere (ah, ma allora non succede solo in Italia!).

Alle dieci e mezza, forse anche qualcosa di meno, l’arrivo definitivo in quel di Liegi, città dell’Est belga al confine con Olanda e Germania, meta di un weekend diverso dal solito, per trovare amici da quelle parti per motivi di Erasmus e dare un’occhiata alle bellezze locali.

Metti poi che il destino veda casualmente in programma proprio in quel weekend il derby del Belgio, la sfida tra le due squadre più titolate e tifate della nazione, lo Standard Liegi da una parte, e l’ Anderlecht di Bruxelles dall’altra, e allora sì che la festa è davvero completa.

Da buon italiano, ancor prima che bolognese, ovviamente, sfuggire alla sindrome dell’Ivano di Carlo Verdone nel film “Viaggio di Nozze” (intesa come la malattia tutta italica di ricercare lo stadio di ogni città) risulta qualcosa di impossibile: il calendario della serie A belga, inoltre, fornisce in tal senso un ottimo assist (nota a margine: l’autore dell’articolo non ammetterà mai, nemmeno sotto tortura, di aver fatto coincidere il suo arrivo in quel di Liegi con una bella partita sul calendario, per mantenere un minimo di serietà e non fare le figura del “cine-panettiere” medio, quale forse in fondo è…).

Il sabato sera le strade del centro non sembrano trasudare quella spasmodica attesa che farebbe presagire il sold-out registrato già in settimana (per fortuna il contatto “belga” ha provveduto per tempo a prendere i biglietti…), forse semplicemente perché, come in tutte le città, la movida notturna nelle zone centrale è meta preferita da Erasmus e, in generale, studenti che vengono da fuori, piuttosto che dai locali.

A proposito: un piccolo excursus sul Belgio, prima di continuare, pare necessario, per capire in che contesto ci stiamo movendo. Quando si parla della piccola nazione tra Francia, Olanda e Germania, nonostante le irrisorie dimensioni, bisogna infatti pensare ad una composizione di tre aree totalmente diverse e in disaccordo tra loro: le Fiandre, rappresentate da Bruges ed Anversa, zona di lingua fiamminga, Bruxelles e dintorni, il vero cuore della nazione, e la Vallonia, regione ad est di cui Liegi è appunto il centro principale, francofona come la capitale, ma con territori nei quali si parla tedesco. Francese dunque, più tedesco, olandese e fiammingo: un mosaico di elementi da cui viene fuori il Belgio, il vero cuore dell’Europa unita, attraversato anch’esso, come realtà ben più grandi, da profonde differenze interne ritradotte dal pallone, in epoca moderna, in rivalità calcistiche.

Quello che ci interessa approfondire in questa sede è ovviamente l’astio esistente tra la capitale e la Vallonia, trasportato sul campo dall’eterna rivalità tra Anderlecht e Standard Liegi, una sorta di Juve-Inter in salsa belga: 34 scudetti la prima, 10 la seconda, entrambe con un passato glorioso pure a livello europeo, ma che oggi stentano in campionato.

Se infatti dopo l’ennesima vittoria del titolo, il terzo posto attuale dietro a Brugge e Charleroi suona per i brussellesi come un campionato fin qui a dir poco modesto, toni decisamente più duri vanno usati per la stagione dello Standard, attualmente al decimo, di posto, e dunque momentaneamente fuori dai sei primi posti necessari per partecipare ai playoff-scudetto.

Ma il Clasicò, con accento sulla “o” finale in stile francese, è sempre il Clasicò e dunque, nonostante una classifica non esaltante, il pubblico è quello delle grandi occasioni: 30mila, con almeno 1.500 o forse più dalla capitale, a dimostrazione di un match sentitissimo capace di andare ben oltre il semplice aspetto sportivo.

Dopo un pranzo domenicale in pieno stile “liegeoise”, con Boluets e Jupiler, arriva l’ora di dirigersi verso lo stadio cittadino, lo Stade de Sclessin, che si trova a diversi chilometri fuori dal tessuto urbano; durante il tragitto in bus (che costa € 2,40!!!) saranno tanti i tifosi con sciarpa biancorossa presenti sul mezzo, visibilmente tesi per l’importante match alle porte.

Si respira una bella aria: aria di football.

Molto all’inglese, a pensarci, con il corrispettivo belga dei “bobbies” a cavallo e lo stadio che, visto da fuori, pare molto quello di un Sunderland o un Southampton, per il colore rosso e la struttura tipica da Nord Europa, che prevede copertura completa e assenza di piste d’atletica.

Prima di entrare c’è il tempo di bersi un’altra Jupiler (la vendono fuori, a blocchi di cinque-sei pinte, per la tutto sommato modica cifra di 10 euro), la birra locale che, tra le altre cose, sponsorizza anche il campionato. Temporeggiamo di fronte al pub che raduna tutta la tifoseria: qui ci spiegano che lo stadio è sviluppato su tre livelli, e che noi saremo al T3, il posto più alto, pagato 23 euro (che, considerando la partita di cartello, è un prezzo tutto sommato giusto).

Controlli minimi, fatti velocemente e senza ledere la dignità dell’individuo (i riferimenti a certe pratiche nostrane son tutt’altro che casuali) e a cinque minuti dall’inizio si entra finalmente ad assaporare la calda atmosfera dello Sclessin, che supera sinceramente ogni rosea aspettativa: sarà per via della partita sentita, delle due squadre che di fatto si dividono il tifo del Belgio meridionale, ma il clima è davvero elettrizzante, con addirittura interi settori dei distinti in piedi, quasi a voler incutere ulteriore timore allo storico avversario e creare un’ambiente maggiormente favorevole ai propri beniamini.

All’annuncio delle formazioni i forti fischi per i rivali di Bruxelles si acuiscono alla lettura del numero 25, Adrien Trebel, ex capitano dello Standard, passato in estate ai rivali dell’Anderlecht: ogni suo tocco di palla sarà accompagnato da una selva di fischi degna del miglior San Paolo per Gonzalo Higuain (nulla però in confronto al trattamento riservato a Steven Defour, altro ex simbolo dello Standard macchiatosi di “alto tradimento”, per cui fu organizzata una ben più macabra coreografia con la sua testa mozzata da Jason, il protagonista dell’horror “Venerdì 13”)

Per quanto riguarda il capitolo ultras, invece, c’è il ritorno proprio oggi, nella curva opposta a quella principale, dei PKH, il gruppo più famoso dello Standard, astenutosi dallo stadio fino ad oggi dopo il furto dello striscione, fonti di parte dicono eseguito in maniera non troppo “limpida” proprio dai capitolini nella gara d’andata.

Gli ospiti riempiono i due settori a loro dedicati, ma non fanno una grande impressione: solo la parte destra in basso, quella con le pezze, si dimostra un minimo attiva nel sostenere i propri colori.

La bellissima coreografia su tre piani degli Ultras Inferno, quelli del nostro lato di curva, fa da preambolo per un grande spettacolo dentro e fuori dal campo.

Perchè spettacolo sarà anche e soprattutto sul rettangolo di gioco: neanche cinque minuti e lo Standard è in vantaggio, mandando in tripudio il proprio pubblico che, sulle ali dell’entusiasmo, raddoppia i decibel dei propri cori, ovviamente in francese, ma su ritmi inglesi e italiani ( ad un certo punto c’è perfino la versione locale di “Un giorno all’improvviso”), coinvolgendo spesso e volentieri tutto lo stadio, con picchi d’intensità notevoli raggiunti coi cori di scherno contro i rivali ( grottesco e simpatico insieme il “ Bruxelles vaffanchiulò”, che suona da ennesimo omaggio al tifo del Belpaese).

La partita non ha un attimo di sosta: nel giro di pochi attimi gli ospiti pareggiano e i locali tornano in vantaggio con un goal in rovesciata di Luyindama, difensore-goleador dello Standard da tenere d’occhio, ma negli ultimi minuti di primo tempo un uno-due micidiale porta clamorosamente in vantaggio l’Anderlecht, che sfrutta al meglio alcune incomprensioni della difesa casalinga.

Nell’intervallo c’è tempo per una breve sosta al bar interno della curva, con tutti i tifosi intenti a seguire sullo schermo gli highlights: fa sorridere, in tal senso, sentir parlare in un’altra lingua degli stessi argomenti trattati qui da noi tutte le domeniche (e non solo), a dimostrazione della potenza del calcio, vero e proprio linguaggio universale capace di superare qualsiasi barriera linguistica e  radunare attorno a sé popoli e nazioni aventi spesso nulla in comune.

Nella ripresa lo Standard pareggia e sulle ali dell’entusiasmo, ormai incontenibile, dei propri tifosi tenta il colpaccio: può succedere di tutto, a questo punto.

Nel frattempo i PHK danno vita allo spettacolo coreografico annunciato, creando una vera e propria bolgia tutta bianca e rossa: presenti anche gli amici di Marsiglia ed un’altra pezza che potrebbe essere del Rapid Vienna o del Celtic di Glasgow, ma, non essendoci scritto alcunché, non riusciamo a capire a chi appartenga (qualche esperto potrebbe aiutarci nel risolvere lo spinoso enigma!).

La partita finisce con un incredibile 3-3 che fa davvero tutti contenti, per lo spettacolo visto sugli spalti e sul campo: alla nostra domanda diretta, se cioè tutte le domeniche si assiste a spettacoli del genere in quel di Liegi, alcuni tifosi dello Standard ci rispondono che siamo stati fortunati e che quell’anno di partite così, da quelle parti, se ne son viste davvero poche (e del resto la classifica parla chiaro in tal senso!)

Ma insomma, un po’ di fortuna non guasta mai: nella strada per il ritorno a casa, nonostante una stanchezza fisica e mentale, le discussioni su quelle due ore di calcio vero, vissuto sugli spalti e non attraverso il filtro di uno schermo, la faranno ovviamente da padrone, con la certezza che un’altra visita da quelle parti, magari per ispezionare le Fiandre e relativi club (Club Brugge in particolare) sarà ovviamente al primo posto in agenda, in un futuro si spera non troppo remoto…

 

Testo di Stefano Brunetti.
Foto di Riccardo Zabatta.