Il treno è pronto là sul binario. È sabato sera. Per noi che ormai giriamo tutte le settimane assieme per guardare questa o quell’altra tifoseria, orfani di un nostro striscione, di una nostra battaglia e di un nostro campo di calcio, è la consuetudine. Taranto è un lembo di terra distante dalle nostre case e dalle nostre immaginazioni. È profondo sud persino per chi non è del Nord. Taranto per noi significa molto in termini ultras. Sappiamo che c’è la violenza, quella vera. Quella che forse a volte non si annida neanche nelle nostre turbolente e sconquassate periferie metropolitane.

Ci sono gli anni ’80, i ’90 ed i primi 2000. Un dazio da pagare, un pedaggio obbligatorio per i nemici che entrano nell’ex Capitale della Magna Grecia. Poi ci sono i Cavesi. Altro mostro sacro. Colori, tamburi, torce. Trasferte di massa che ancora a pensarci oggi sono quasi inspiegabili per il piccolo centro metelliano. Gente che ha saputo costruirsi una grande storia e che allo “Iacovone” osò come in molti non avevano fatto, entrando volutamente a contatto con gli jonici.

Un girone di ferro le ha rimesse contro dopo anni. “Cozzari” contro “Cavaiuoli”. L’onda del fomento sale fino a noi. Studiamo bene treni e tratte per arrivare a destinazione. L’appuntamento è di quelli classici al binario 1 della Stazione Termini. Con la spensieratezza tipica di quegli anni, si ride e si scherza mentre il convoglio comincia a prendere velocità lasciandosi alle spalle la Capitale. Dormire è roba per pivelli, per noi questo genere di gite che in futuro chiameranno “groundhopping”, sono diventate vere e proprie trasferte. Siamo in tre a scendere lo Stivale fin quasi al suo tacco. Ci dilettiamo nel far rimbombare vari cori presi a caso dal repertorio di svariate curve italiane, mentre il resto del treno vorrebbe almeno provare a schiacciare un pisolino. Ma la compagnia, le storie di curva e le cazzate varie che volano in queste occasioni sono meglio di qualsiasi droga. Rimani sveglio ed il tempo ti passa senza se e senza ma.

Il sole comincia a sorgere fuori al finestrino. Un fermo immagine che ho della mia adolescenza è l’alba che nasce al di fuori dei vetri degli Espressi e degli Intercity Notte. Una sensazione che non so spiegare ma che forse qualcuno capirà. Una luce che ti dava la forza per iniziare la giornata anche se la notte non avevi chiuso occhio. Ci sistemiamo e scendiamo le scalette del vagone. Un altro passo fuori e siamo in città.

È mattina presto. Domenica mattina. Poche persone in giro e tanto tempo da passare prima che arrivi la partita. Lo stadio non è vicino e sappiamo che nel quartiere dove è ubicato, la Salinella, c’è un mercato abbastanza conosciuto. “Perché non andare?”. Via si cammina. Taranto è una città completamente data in pasto alle sue industrie, con l’Ilva che giorno dopo giorno ne divora strade, case e persone. Normale che i ragazzi vengano su con la rabbia e la voglia di rivincita. Il mercato ci colpisce subito. Tanto caos già alle 9 del mattino. Tra le bancarelle ci sono cianfrusaglie, vestiario, oggetti usati e qualche chiosco che vende panini e birra. Siamo a Taranto, come dice la canzone? “Bevìme ‘a birra Raffo e nnijnde cchiù”. E allora tanto vale adeguarci. Per poco più di € 2,50 ecco nelle nostre mani un bel paninone con salame piccante ed un’ottima Raffo gelata. Continuiamo a girare, qualcuno ha persino la grande idea di rifarsi il cellulare pescando tra le offerte delle varie bancarelle. Ci aspettavamo forse più tensione invece ci accorgiamo che, nonostante il mercato sorga in una zona tutt’altro che bella, le persone sono allegre e tranquille. Forse ignare della partita che si disputerà a poche centinaia di metri da là.

Si è fatta l’ora di pranzo, decidiamo di andare. Non veniamo certo da un paesello sperduto e senza stadio. Ma l’impatto con lo “Jacovone” è sempre di quelli che lasciano a bocca aperta. Un colosso in mezzo ad un agglomerato grigio e tetro di case. Forse l’unica nota di colore della Salinella. Sappiamo che attorno al suo perimetro si sono scritte tante storie. Venire qua da ospite non deve essere affatto una passeggiata. Ci portiamo nei pressi della porta carraia. Su tre accrediti ne mancano ben due. Ma non è un grande problema. Non siamo ancora nell’era dei controlli capillari, dei nominativi e delle tessere stampa chieste anche in Serie C. La terza serie è ancora il campionato più bello d’Italia a livello ultras. Prendiamo la pettorina e siamo dentro. Manca una mezz’ora all’inizio e già il colpo d’occhio è di quelli significativi. Qua ancora non si parlava di riportare le famiglie allo stadio. Perché già venivano da sole, nonostante l’incontro fosse di quelli contrassegnati dal bollino rosso.

L’attesa comincia a farsi spasmodica mentre il calcio d’inizio s’avvicina ed i tifosi ospiti ancora non fanno capolino all’ingresso del proprio settore. Ovvio che, come di consueto, verranno fatti entrare in ritardo. Le squadre entrano in campo, la Nord tarantina è in ebollizione. La parte inferiore si mette in mostra con una sciarpata e diverse torce accese. Il megafonista è di quelli giusti, sprona noi che siamo in campo, figuriamoci chi è in curva e deve cantare. Gli striscioni ci sono tutti. Quei lembi di stoffa che hanno acceso le nostre fantasie da bambini. Quei lenzuoli che sono impregnati di storia e senso di appartenenza. Chi non ha vissuto almeno qualche anno di vero movimento ultras non può forse comprendere a fondo. Lo striscione è il gruppo. È l’insegna, l’effige. Un qualcosa che va difeso anche a scapito della propria incolumità personale. Senza lo striscione un gruppo non può esistere, e se a rubartelo poi sono i tifosi avversari non c’è storia. Il gruppo è finito. Almeno nella teoria. Poi sappiamo che a rispettare questo codice non scritto sono stati davvero in pochi negli anni.
Ma torniamo a noi. Nel pezzetto di Curva Sud riservato ai Cavesi qualcosa comincia a muoversi. Si capisce che stanno per entrare. I celerini si muovono freneticamente comandati dai propri superiori. Uno, due, tre, dieci, cento. Eccoli entrare gli ultras di Cava de’ Tirreni. E l’ambiente inevitabilmente si surriscalda. Volano subito le prime offese mentre i circa 200 campani espongono lo striscione “SS CAVESE 1919” assieme ad una pezza per il compianto Catello Mari ed una a favore dei diffidati. Le torce, i fumogeni ed i bandieroni non mancano neanche da parte loro. Ma nessuno se ne sorprende e mi viene solo da ridere di me stesso nel pensare allo stupore che provo oggi nel vedere 4-5 torce accese assieme. Un altro marchio di fabbrica per loro sono dei potenti bomboni fatti esplodere a ripetizione.
La gara sugli spalti è intensa ed avvincente. Spuntano i primi striscioni, ad aprire le danze sono gli ospiti con un ironico messaggio che fa riferimento agli scontri della stagione 2000-2001: “Chiudete bene la gradinata, altrimenti entriamo di nuovo”. Non manca la risposta dei pugliesi: “Bugie e falsità, la tua mentalità. Cava merda” mentre nell’anello superiore rimarrà appeso per tutta la partita uno striscione che recita: “Se viaggi con i blu, chi è colluso io o tu?”. Prima dell’intervallo gli jonici mandano un altro messaggio ai dirimpettai: “Dal 1919 di padre in figlio coniglio”, con i biancazzurri che non si fanno pregare ed espongono un “RiazZUFFiAmoci”, chiaramente rivolto al Gruppo Zuffa, ed un telo raffigurante un ultras tarantino vestito da agente con la scritta “Tarantino secondino”. Che dire? Come primi 45’ niente male. Le nostre aspettative non sono state deluse. Le due squadre vanno negli spogliatoi sullo 0-0.
Dopo i canonici 15’ di sosta ecco le due compagini sbucar fuori dal tunnel degli spogliatoi. Ancora i Cavesi punzecchiano gli avversari con lo striscione “A Taranto la legge funziona, ultras e polizia la stessa persona”, ed in seconda battuta con una serie di t-shirt che formano la scritta “Secondini”. La Curva Nord c’è e si fa sentire rispondendo con decisione ai nemici. Ma proprio durante questo scambio di opinioni la Cavese trova la rete del vantaggio. Un gol che fa letteralmente esplodere il settore con seguente accensione di numerose torce e lancio di petardi. Uno spettacolo. E siccome ogni sfida degna di chiamarsi così va onorata anche da chi è in difficoltà, i rossoblu non abbassano affatto i decibel ed anzi ci sono e si fanno sentire con un tifo massiccio, colorato e completo. Così, qualche minuto più tardi, arriva il pareggio su calcio di rigore, firmato dall’ex Cagliari e Verona Fabrizio Cammarata.

Se la sfida in campo è interessante, quella sugli spalti è da rimanere a bocca aperta. Gli ultras metelliani si confermano per ciò che sono. Una tifoseria unita, compatta ed in grado di fare un tifo che in Italia conosce pochi eguali. Alla fine sono proprio le Aquile a spuntarla, grazie ad un rigore calciato beffardamente da Tarantino. Esultanza smodata con tutta la squadra che si porta sotto al settore ospiti. Finisce con l’inaspettata sconfitta del Taranto ma con il suo pubblico a battere comunque le mani alla propria squadra. Per noi rimangono gli ultimi scatti ed una giornata da incorniciare.

Sotto il profilo dell’ordine pubblico la macchina organizzativa ha funzionato alla perfezione e non si registreranno incidenti. Segno che quando questure e prefetture vogliono, sono assolutamente in grado di gestire eventi di questo calibro. Un lungo viaggio alla volta di Roma ci attende. Una volta trovati i biglietti per le nostre rispettive collezioni lasciamo alle nostre spalle lo “Jacovone” e questa giornata indimenticabile. Stavolta dobbiamo prendere l’autobus per non perdere il treno. Il tragitto del ritorno è chiaramente incentrato sul resoconto della partita, su quanto hanno tifato Cavesi e Tarantini, sul bel movimento ai gol, sulle torce, sui bomboni e sugli incidenti che non ci sono stati. Il nostro Espresso parte, scendiamo a Foggia e là cambiamo finalmente per Roma. Dal capoluogo Dauno alla stazione Termini ora si dorme. Ricominceremo a parlare di curve quando il treno transiterà nei pressi di Ciampino e le prime luci dell’alba ci sveglieranno. Questi erano i nostri fine settimana. Forse zingareschi, ma talmente belli, intensi e divertenti che firmerei con il sangue per riaverli. Rimangono i ricordi. Quelli custoditi gelosamente in un cassetto del nostro cervello. Quelli che difficilmente apriremo davanti al primo che passa. Perché il nostro mondo non lo può capire chi non lo vive o non l’ha vissuto. Ti guardano sorridendo, quasi compassionevoli. Ma girare l’Italia per me resterà sempre sinonimo di Ultras.

Simone Meloni.