Per rompere la monotonia dei viaggi un po’ sempre uguali, ma anche per esigenze pratiche, per la prima volta decido di muovermi verso la Val Leventina in treno. Partendo già dal Sopraceneri per esigenze lavorative, e avendo al ritorno in mano il biglietto della partita (che mi consente un viaggio gratuito fino a Chiasso), unisco l’utile al dilettevole. Parto dopo le 17, e salgo sul treno dove c’è già qualche ragazzo con la sciarpa dell’Ambrì, ma il vero “carico” arriva alla stazione successiva, quella di Bellinzona, dove il convoglio si riempie specialmente di ragazzi tra i 14 e i 18 anni con la classica sciarpa bianca e blu intorno al collo. Il Ti.Lo. (Treno Ticino Lombardia), è un regolare servizio di linea, pensato però appositamente per la partita, visto che le uniche fermate dopo il capoluogo ticinese sono Arbedo-Castione, Biasca, e poi direttamente Ambrì, senza fermate intermedie. Il vero treno speciale, quello organizzato dalla società, partirà un quarto d’ora dopo il mio sempre da Bellinzona, ma toccherà altri centri dell’Alto Ticino, e sarà gratuito per chi ha già il biglietto del match in tasca.

Viaggiare in treno con un gruppo di adolescenti scatenati e senza freni credo non sia il sogno di nessuno. La carrozza, di fatto, diventa ostaggio dei “ragazzini terribili”, con la gente più normale che li guarda schifati. Per quanto mi riguarda, grazie al mio vissuto, se proprio non mi sento a mio agio poco ci manca. Poi, tra le tante cazzate che arrivano dirette, per forza di cose, alle mie orecchie, sento cori della Lazio, del Lecce, del Napoli, del Milan, e, per non farsi mancare nulla, il repertorio della Cirrosi Epathica Locarno e dei Bellinzona Boys, eseguito non senza un briciolo di goliardia. Non c’è che dire, i giovani svizzeri non sono assolutamente ignoranti riguardo alla scena ultras che sentono più congeniale. Non mancano birre a go-go, rutti, carta igienica che rimbalza da una parte all’altra del treno, ragazzine che vengono più che volentieri prese di mira, e chi più ne ha più ne metta. Ci sono persino un paio di steward dell’Ambrì, inermi di fronte all’orda di fronte a loro, che spesso vengono persino sbeffeggiati, al punto che si mettono in un angolino a farsi gli affari loro. Di sicuro non mi sono annoiato, e la piccola stazione di Ambrì è arrivata, nonostante i 50 minuti di viaggio, con incredibile rapidità.

La stazione è a due passi dalla Valascia, anzi, è la Valascia che dà pieno diritto alla stazione di esistere, visto che il piccolo centro abitato, immerso tra prati e montagne, contiene appena un migliaio di regolari abitanti. Ora posso pensare veramente alla partita, contro quel Davos capolista che sembrava dovesse ammazzare il campionato ma che, invece, ha subito una frenata, con l’incredibile Ambrì che è solo tre punti dietro: contro ogni pronostico di inizio stagione, questa sfida è da vertice. Per capire quel che dico, basti pensare che i bookmakers, in media, danno il Davos favorito da inizio anno con una quota di 3.50, mentre l’Ambrì era partito da 80.00. Mentre i gialloblu grigionesi vedono le loro quotazioni immutate, l’Ambrì è passato a 25.00, una quota comunque alta, ma che fa capire come sia cambiata la visione sui Leventinesi, che non disputano un play-off dalla stagione 2005/06.

Già dall’esterno dell’impianto, anche se manca più di un’ora dall’ingaggio di apertura, si registra un buon afflusso di pubblico, con diversi tifosi di Davos che girano tranquillamente nei paraggi. Nonostante qualche coro di ostilità in qualche partita, c’è da dire che tra le due tifoserie non c’è una rivalità sentita, forse anche per le diverse ambizioni dei due club. Ma stasera sarà un’altra storia, e la partita sarà rivelatrice soprattutto per i biancoblu ticinesi. Una vittoria può cambiare tutto.

Ritiro il mio accredito, e passo in sala stampa per godere di un breve break e della mia abituale postazione vicino al caldo termosifone. Che poi, nonostante siamo a fine Ottobre e a mille metri di quota, si sta persino bene, anche se è eccessivo chi, fuori e dentro al palazzetto, sfila a maniche corte.

Poi, senza neanche attendere la classica mezzora prima, mi riverso a bordo pista nell’area fotografi, dove attendo con molta serenità l’inizio della partita. C’è già qualche tifoso ospite nel settore, in curva si stanno montando gli ultimi striscioni, la Valascia si sta mano a mano riempiendo. Non smetterò mai di sorprendermi per quanto sia bello quest’ambiente, lontanissimo dai canoni dello spietato sport-business, anche se, a suo modo, anche lo storico impianto ha pagato dazio (per esempio, da quest’anno, quasi tutta la Curva Nord è stata smantellata per far spazio a dei salottini dai vetri oscurati destinati a gente d’affari, con tanto di champagne e camerieri in livrea).

Prima della partita un bel siparietto, con un simpatico fotografo sulla cinquantina che fa il book completo, con gran spavalderia, a Babbo Natale, facendolo mettere in posa persino davanti alla Sud. E proprio in Sud entrerà il nostro amico, per “fotografare l’ambiente e la Gioventù da dentro”; in pratica in pochi minuti ha realizzato due ambizioni che, per timidezza e modestia, non riuscirò mai a soddisfare. Ma la differenza è che lui è un vero fotografo, io no.

Alla fine la Valascia è quasi piena in ogni ordine di posto, giusto nella tribuna in legno dietro di me c’è qualche seggiolino vuoto. Si contano 5.650 spettatori. Prima dell’avvio di gara viene fatto un minuto di silenzio (fatto molto più raro nell’hockey rispetto al calcio) per ricordare Remo Visconti, classe 1918, ultimo dei soci fondatori dell’HCAP nel lontano 1937. È passata veramente una vita da allora, ma non si può dire che i soci fondatori non abbiano creato qualcosa che resterà importante nel tempo.

Nel settore ospiti ci saranno, a occhio, 200 spettatori anche se, almeno all’inizio, manca ogni segno distintivo dei gruppi organizzati. Dopo l’esperienza con Losanna, spero si tratti solo di un ritardo. In Curva Sud, invece, la GBB e gli altri gruppi cominciano subito a sostenere la loro squadra. La potenza sembra più o meno quella della partita che ho visto due settimane fa, ma l’impressione è che la gente sia un po’ più coinvolta persino nella parte più alta della curva, segno di come la partita sia particolarmente sentita. Sventolano le solite bandiere, bandierine e bandieroni, e spicca, ma non è la prima volta, la bandiera di Pisa, che testimonia l’amicizia tra le due realtà di sport diversi.

Quasi subito, per fortuna, arrivano gli ultras grigionesi, che completano il contingente coi loro numerosi elementi di colore come bandiere e stendardi. Non ci sono striscioni appesi, fattore tipico della Valascia (se fossero messi in vetrata metà settore non vedrebbe la partita, e metterli sopra, oltre che un po’ acrobatico, sarebbe oggettivamente rischioso). La Sud si infiamma per il rientro di uno dei giocatori simbolo del roster attuale, il canadese Noreau che questa sera fa il suo rientro dopo un importante infortunio: il suo nome è scandito da tutta la Valascia, all’urlo di “Alé Noreau”. Che poi, a dire il vero, non è che siano poi tanti i cori a favore dei giocatori che di solito vengono lanciati. Fanno eccezione quelli per il “giovane Pestoni” (tra l’altro costantemente convocato in nazionale dal 2011), cresciuto nel vivaio dell’Ambrì, e per il portiere “Schaefer hooligan”. Per il resto, si tifa per la maglia e contro Lugano, visto che il prossimo match alla Valascia è proprio l’attesissimo derby.

Con le tifoserie al completo, prende il via anche la partita in campo. L’Ambrì all’inizio soffre il Davos, ma l’“hooligan” scalda subito i guantoni. Tuttavia c’è la squadra leventinese, e il pubblico si infiamma ogni volta che il dischetto si avvicina dalle parti del portiere del Davos. Una buona metà della curva canta costantemente e, vedendo le movenze, cantano pure gli ultrà ospiti, che però, devo essere sincero, non riesco a sentire quasi mai, e quando vi riesco non è nemmeno in maniera limpida. Il motivo è presto detto: la Sud è in forma strepitosa, non ha mai o quasi un attimo di silenzio, e il resto lo fa la Valascia partecipando sonoramente ad ogni singola azione di gioco.

All’8° minuto l’Ambrì fa esplodere di gioia la sua gente con la rete di Giroux, nella prima situazione di power-play della partita. L’imponente esultanza del popolo biancoblu, che già urlava a squarciagola, viene strozzata neanche un minuto di cronometro dopo, quando Paulsson ricorda a tutti che i grigionesi sono la squadra favorita del campionato, oltre che la più titolata, di gran lunga, della Svizzera. Si riparte da capo, ma è un altro Ambrì, capace di stordire letteralmente gli avversari, che sembrano alle corde. Il suggello di un gran primo tempo, in campo e sugli spalti, arriva al 18° con l’attesissima rete di Noreau che, per la seconda volta, vede il suo nome scandito con potenza da tutto il pubblico di fede HCAP. Poi arriva il momento della sirena per me e per il resto de pubblico: per il sottoscritto vuol dire un secondo break in sala stampa, per gli altri riversarsi all’esterno, dove si trovano bar e chioschi per bere e mangiare.

Ma già ben prima della ripresa mi ritrovo nuovamente in postazione, e assisto all’esposizione, da parte della Sud, dello striscione “Hasta siempre Gianco, la Sud ti aspetta”, a firma GBB. Un’altra differenza fondamentale, col calcio, è che anche le pause tra un tempo e l’altro, di 15 minuti ciascuna, sono a cronometro, ed esattamente tre minuti prima del rientro in campo il suono avverte che il tempo sta per finire, ed è utile sia a giocatori e arbitri, sia ai tifosi. Fatto sta che non ho mai visto un gruppo tardare la ripresa del tifo dopo la pausa. A proposito di arbitri, ho omesso di dire che, per quasi tutto il primo tempo, di fronte a decisioni dubbie, sono stati offesi a gran voce e ripetutamente dal pubblico di casa, e questo sarà il leitmotiv di quasi tutta la parte restante della partita. L’altro leitmotiv è il continuo sostegno di entrambe le tifoserie, con le solite difficoltà degli ospiti di fronte ai decibel della Valascia. C’è da dire che però, soprattutto a livello di colore, non difettano, e gli stendardi sono di ottima fattura, così come alcune bandiere. Il problema è la voce e forse il fatto che a cantare non sia tutto il settore intero, se non in rare occasioni. Una di queste è il pareggio, all’11°, di Koistinen in superiorità numerica, che ringalluzzisce i gialloblu in difficoltà. Ma, devo dire, la partita di questa sera, per quanto l’occhio ricada quasi sempre sugli spalti, è stupenda, forse la migliore da quando calco il suolo svizzero: azioni per entrambe le squadre, improvvisi capovolgimenti di fronte, velocità, persino poche interruzioni. Va da sé che il pubblico si faccia trascinare da quello che è uno spettacolo completo, anche se l’Ambrì sembra costantemente avere qualcosa in più dei quotatissimi avversari. E non è un caso che, a tre minuti e mezzo dalla fine della seconda frazione, Giroux trova la doppietta che regala un nuovo boato che chissà fin dove è arrivato all’esterno, fra il silenzio dei monti e poche case addormentate. Il vantaggio è meritato, e, alla sirena, l’Ambrì esce tra l’ovazione dei suoi supporter.

Arriviamo così alla parte finale, quella che di solito definisco “del tutto per tutto”, dove i dadi vengono tratti e i nodi vengono al pettine. E in un clima veramente coinvolgente, dove faccio fatica a stare dietro agli scatti da una parte e dall’altra, arriva quasi subito la rete di Reichert: ora solo una prova perfetta può salvare il Davos. Ma l’Ambrì sta meritando assolutamente l’aggancio alla vetta della classifica, e non perde un colpo. La Sud continua a tenere un ritmo da maratona, ma anche i tifosi di Davos non si azzittiscono, nonostante la difficoltà di salire sul palcoscenico da protagonisti.

Poi il finale, dove succede di tutto negli ultimi tre minuti: prima penalità per l’Ambrì, poi per il Davos ma, nel contempo, un’altra per l’Ambrì, fino a quella finale per il Davos. Poi gli ultimi secondi con l’inutile assedio del Davos, e il gol di Mieville a porta vuota per il definitivo 5-2, quando già buona parte delle sciarpe erano in alto per la “Montanara” che accompagna la sirena finale in caso di vittoria. Piccola esultanza e poi il coro più gettonato della tifoseria, con sciarpe e bandiere in alto. Quest’anno i Leventinesi ci stanno prendendo gusto a intonare il loro canto di vittoria, seguito da un “Yupi ya ya” con le sciarpe roteanti.

Infine, come da rito, le squadre che vanno sotto i rispettivi settori, anche se è chiaro che la festa è solo in casa Ambrì. Poi mi accorgo, prima in maniera velata, e poi esplicita, dell’approccio marcatamente osé dei tifosi del Davos verso la curva di casa, prima saltellando insieme alla Valascia al grido di “Chi non salta un Luganese è”, e poi scandendo, più volte un “Lugano Lugano vaffanculo”. Il problema è che in curva non vogliono proprio smetterla di cantare e festeggiare, e quindi gli ospiti non vengono sentiti. Mi piacerebbe proprio sapere come va a finire, ma il treno speciale parte alle 22.30 e al mio posticino ci tengo, ho una certa età, io. Mi sbrigo continuando a sentire, per strada, i cori contro Lugano e, all’ingresso della stazione, vedo un pre-filtraggio di steward. Penso che controllino chi ha il biglietto della partita, ma effettivamente è una cosa stupida visto che da Ambrì sale solo chi è stato alla partita; e, infatti, il controllo viene fatto per evitare che sul treno salgano alcolici. Io pure non mi salvo dalla perquisizione. Poi trovo posto, in un angolino dove, casualmente, si alza un po’ l’età media rispetto al resto del convoglio. Dal finestrino vedo l’opera degli steward, anche se l’impressione è che conoscano molto i tifosi e che vi sia un rapporto molto tranquillo e persino di simpatia. Poi il treno parte e mi riporta a Bellinzona, e ho l’occasione di sistemarmi un po’ con le foto, mentre qualche gruppetto intona cori per l’Ambrì. A Bellinzona poi il cambio per Chiasso, ma mentre tutti vanno sul Ti.Lo. già pronto, io provo con l’Intercity che salta diverse fermate. Il controllore guarda il biglietto dell’Ambrì, mi dice che non andrebbe bene, però poi “va bene, sali”. Le poltrone in velluto delle SBB (il corrispettivo svizzero delle nostre FS) sono il degno coronamento di una bella giornata. Che comfort!

Stefano Severi.