Di solito, nei miei articoli, mi piace raccontare storie e aneddoti su ciò che scrivo, e sulla Fortitudo Bologna e sulla sua Fossa troppo potrei raccontare. Ma una bellissima intervista uscita quest’estate su Sport People, preludio alla ripartenza di un’unica Fortitudo Basket riconosciuta dai tifosi, racconta tutta la tormentata vicenda di un club che, negli ultimi anni, è stato vittima di speculazioni e giochi di potere. Ma la Fossa c’è sempre, non molla, e non aspettava altro che tornare a calcare i gradoni dei palazzetti, indipendentemente dalla categoria.

Il primo impatto con la Bologna biancoblu di basket l’ho avuto nella seconda metà degli anni ’90, quando frequentavo assiduamente il Palaeur al seguito della Virtus Roma Pallacanestro; la partita contro la Fortitudo, che talvolta capitava anche nei play-off, era senza dubbio la più attesa proprio per il valore della sua tifoseria e della Fossa, che non ha deluso neanche una volta. Era la Fortitudo degli anni migliori, squadra che rappresentava l’élite cestistica italiana anche in Europa, dopo lustri di sofferenze per i propri tifosi. I Fortitudini li ricordo anche per la prima iniziativa italiana anti-repressione coordinata a livello nazionale, coadiuvata dall’Archivio del Tifo che, a quel tempo, aveva ancora molte cartucce da sparare. Possiamo tranquillamente dire che, negli anni, non ho mai riconosciuto ai biancoblu un solo difetto. Non è una sviolinata la mia per quello che, non si offenda nessuno, personalmente è il miglior gruppo italiano di basket di sempre. Semmai questa introduzione serve a far capire perché, nonostante l’infima categoria (Divisione Nazionale B, ovvero il quarto gradino della gerarchia nazionale della pallacanestro), abbia atteso e programmato da mesi almeno 2/3 partite della squadra di Bologna in questa stagione.

La prima occasione arriva nella relativamente vicina Mortara, provincia di Pavia, volta verso Casale Monferrato. Un viaggio di non poco conto ma, dalla mia prospettiva sembra tutto facile: arrivo a Legnano, poi Inveruno, Magenta, Abbiategrasso, Vigevano e infine Mortara, tutto tramite “comodissime” strade statali o provinciali. Per l’occasione viene con me anche la mia ragazza, che non ha mai assistito ad un incontro di basket. Almeno ho il sostegno morale per un viaggio che si rivelerà un’odissea, soprattutto all’andata. Premetto che ho cercato in tutte le maniere di arrivare in treno, ma con la partita alle 21 e l’ultimo treno da Mortara per Milano alle 21.34 ho desistito in fretta.

Tutto bene fino ad Inveruno dove, però, un cartello saltato per Magenta ci costringe ad entrare in una città deserta che sembra un labirinto, dal quale è pressoché impossibile trovare un’uscita e troppo tardi per tornare indietro sui nostri passi. Facendo il cosiddetto “giro di Peppe”, riusciamo a rincrociare Magenta, dove si può proseguire, stavolta con cartelli chiari, verso Abbiategrasso, e da lì verso Vigevano; proprio dopo questa città e quasi due ore di viaggio, tra code e strade sbagliate ad Inveruno, il paesaggio cambia, e intorno a noi appaiono distese di buio totale, tinte da una sinistra nebbia che tende ad addensarsi. Mortara sembra vicina, ma qualche chilometro dopo un cartello che indicava “12” di distanza, ce ne ritroviamo un altro che indica “18”. Ci hanno penalizzato di sei punti. E l’ora della partita si avvicina. Il nervosismo, chiaramente, è tutto mio. Dopo una strana e imponente costruzione nel buio, che trasmette luci ad intermittenza rosse (mah), finalmente si arriva a questo sperduto paesone di 15.000 abitanti, incastonato nel nulla. Non essendoci, ovviamente, cartelli per il palazzo dello sport, si va prima in centro città. Un mortorio. Non per niente, Mortara deriva da “Mortis Ara”, altare dei morti, nomignolo simpatico affibbiato al paese dopo la cruenta battaglia tra i Longobardi di Desiderio e i Franchi di Carlo Magno dove perirono, stando alle testimonianze dell’epoca, ben 70.000 uomini. Abbinata al comune di Morimondo di cui abbiamo incrociato i cartelli tra Vigevano e Abbiategrasso, la zona non si presta assolutamente bene a chi vuole scegliere un posto dove vivere esclusivamente in base al nome. Ma dicevo, il centro città. Sono da poco passate le 20 e non c’è nessuno in giro, nemmeno qualche disperato che porta fuori il cane. Solo in una strada incrociamo un po’ di persone, delle quali una ci indica con estrema precisione come arrivare al palazzetto della squadra locale. E, finalmente, in pochi minuti si arriva a destinazione. Due ore e 15’ di viaggio per fare poco più di 100 chilometri. Un record non è di certo, nelle ferrovie andine vanno più piano.

Il “Guglieri”, l’impianto mortarese dedicato al basket e agli sport al chiuso, è il centro della “movida” del sabato sera locale. Tanta la gente che affluisce verso l’impianto, già parecchi i tifosi della Fortitudo, quasi tutti con sciarpe biancoblu. L’accredito, un biglietto anonimo con uno “Sport People” scritto a matita, non è nulla di indimenticabile, ma mi consente, dopo aver salutato la mia ragazza che va sugli spalti, di andare a bordo campo per fare i miei scatti fotografici quotidiani. La Fossa ancora non è entrata, mentre l’unica ma grande tribuna centrale si è praticamente già riempita. Osservo le squadre che si riscaldano, i gialloblu pavesi contro i biancoblu emiliani. Nella mia testa, nonostante la sconfitta della Fortitudo nella prima trasferta a Tortona, sono certo che sarà la Fortitudo a vincere. Tra l’altro, dopo le prime due partite, Mortara, all’esordio assoluto in DNB (22 anni prima l’ultima apparizione della cittadina in quarta serie, ma non si trattava dello stesso club), è ancora ferma sui suoi zero punti.

Il momento bello è l’entrata in corteo della Fossa, che avviene in maniera ordinata e scandendo cori. Non manca la goliardia, con lo stendardo della Campari “Dov’è il bar?” e un cartello “clementine senza semi” preso “in prestito” da chissà dove. L’arrivo degli ospiti è accolto dai fischi dell’impianto, dove l’unico striscione appeso è un “Ultras Mortara”, datato persino 2006, senza nessun effettivo dietro. Mi chiedo in cosa sia consistita l’attività del gruppo gialloblu in questi sette anni. Come da previsione, quindi, il bello e il cattivo tempo lo fanno i Felsinei; nel loro spicchio destro di tribuna saranno un centinaio abbondante, mentre un’altra cinquantina di tifosi normali si trovano nella parte bassa a sinistra della tribuna. Possiamo parlare tranquillamente di tutto esaurito, con oltre 800 spettatori.

La Fossa accoglie la squadra con una sciarpata, lo sventolio delle bandiere e i suoi canti, tutti scanditi con potenza e coordinazione, frutto di una tifoseria ben rodata. Fra urla, trombette e fischi, il pubblico di casa prova a zittire in tutte le maniere il tifo di marca Fortitudo, ma per loro non è cosa, dato che la Fossa non smette neanche un secondo di cantare, senza fare minimamente piega di fronte ad una partita più difficile, e molto, del previsto. Infatti, dopo il primo canestro da due ospite, il Mortara infligge un parziale di 13-0 pesantissimo, e alla fine della prima frazione è avanti di 9, sul punteggio di 23-14. Il pubblico di casa è in visibilio, ma gli ultras biancoblu non demordono e danno spettacolo: oltre al tifo più “regolare”, c’è goliardia e, in alcune situazioni, il settore si divide in due scandendo inizialmente strofe diverse per poi unirsi e cantare tutti insieme. Dalla mia centralissima postazione, tra i giudici di sedia e la panchina di casa, riesco a seguire sia il tifo che l’avvincente partita. Mortara fa quello che deve fare, non sbaglia quasi nulla, mentre Bologna è imprecisa, timida e talvolta impacciata.

Ma, nel secondo quarto, inizia la rimonta della Fortitudo. Tutto lascia presagire al sorpasso ospite ma, in qualche maniera, e con qualche canestro di tanto in tanto, nonché una certa precisione dalla zona da tre punti, Mortara tiene la testa avanti, sospinta dallo spontaneo, improvvisato ma genuino pubblico di casa. La Fossa ci crede eccome, ma è quasi impossibile notare variazioni rispetto al quarto precedente, visto che il volume rimane alto e l’incitamento assolutamente costante. Si va al riposo sul punteggio di 32-29. Le quote live formulate nella mia testa dicono che i Bolognesi restano favoriti, anche se in campo c’è un ottimo Mortara.

Nella ripresa i biancoblu ci mettono giusto qualche secondo a ricompattarsi, per assistere al 32-32. Sarà il miglior momento della Fortitudo. Perché Mortara non si farà mai sorpassare, e, pur con scarto minimo, dai 5 ai 2 punti, resta sempre avanti. La Fortitudo, buona in fase di pick and roll ma troppo imprecisa sotto canestro, deve far fronte a delle percentuali micidiali, almeno per queste categorie, di Mortara, che sbaglia pochissimo. Inoltre, tranne che nel secondo quarto, Bologna raggiunge sempre troppo in fretta il bonus che porta i gialloblu al tiro ad ogni singolo fallo subito. E le percentuali del Mortara dalla lunetta sono eccellenti. È su questo che si fa la partita. Nel settore della Fossa si continua a tifare incuranti di tutto e di tutti, soprattutto del baccano prodotto dal pubblico di casa che, in mancanza di un sostegno organizzato, fa del proprio meglio. Difficile tifare in queste condizioni, ma i ragazzi arrivati dall’Emilia sembrano avere i tappi alle orecchie per quanto non sono condizionati dal clima acusticamente ostile (per il resto il pubblico di fede gialloblu è stato correttissimo). Il terzo quarto finisce 53-47, ed evidenzia l’incapacità della Fortitudo di venire a capo di una matassa che definire intricata è poco.

Nell’ultimo quarto Bologna tiene ancora per sei o sette minuti, mancando sempre di quel qualcosa per riprendere gli avversari. Ma la partita è veramente tesa, lo si capisce dal frastuono dei tifosi del Mortara che cominciano a battere le mani in maniera coordinata e a scandire il nome della loro città in maniera sempre più frequente col passare dei minuti. Anche la Fossa, quando il possesso palla è gialloblu, a volte interrompe i propri cori per fischiare l’azione avversaria. Ma niente, Mortara non ne vuole proprio sapere di cedere e, nei due minuti finali, allunga, in maniera decisiva. In questo sperduto palazzetto di provincia c’è festa, e la tifoseria della Fortitudo decide soltanto di continuare a cantare, come nulla fosse, facendosi sentire come ha sempre fatto in questo 40 minuti effettivi di gioco. Se ci fosse stata una vera tifoseria di casa, lo spettacolo sarebbe stato completo. Finisce 76-68, coi giocatori della Fortitudo che, a 20 secondi dalla sirena, già battono il cinque agli avversari in segno di resa e per complimentarsi con gli avversari. Il bello del basket è anche questo, e oggi ho assistito ad un’impresa, anche se, a questo punto, è lecito capire se la Fortitudo è una squadra che può veramente salire in divisione Silver o se ha bisogno di qualche correttivo.

Nonostante i due punti in tre partite, la Fossa continua a sostenere i propri beniamini anche quando escono dal campo, cantando un possente “Salutiamo la Fortitudo”. Anche la Fossa sa, che, a questo punto, i tempi migliori devono per forza arrivare e, almeno per ora, ci si può anche accontentare di vedere in campo quella “F” alata che tanto ha dato al movimento della palla a spicchi italiano.

Mi ritrovo alla macchina con la mia ragazza che, sorpresa, si è divertita non poco. Allora è proprio vero che la serata è stata all’altezza. Riprendiamo il cammino, stavolta più velocemente, per riperderci verso Magenta, complice la mancanza di riferimenti stradali. Allora ecco Trezzano sul Naviglio, e la sua tangenziale Ovest. La prendiamo e ci risparmiamo un’ora circa di viaggio. A saperle prima le cose…

Stefano Severi.