Frattese-Giugliano e Turris-Matera sono andate. Gli ultras lucani devono ancora abbandonare il proprio settore quando mi lascio alle spalle il Liguori imboccando la stradina che porta alla stazione della Vesuviana. Supero l’assembramento di Corallini che vogliono onorare la rivalità ed in pochi minuti sono sulla banchina. Alle 16.41 dovrebbe passare il mio treno per Piazza Garibaldi e ciò avviene stranamente in orario. Mi siedo e mi rilasso un po’, cominciando a sentire i primi segni della stanchezza. L’hinterland napoletano scorre fuori dal finestrino, con il cielo che non solo mi ha graziato, ma ora sta diventando lentamente azzurro lasciando spazio persino a qualche timido raggio di sole.  In poco più di mezz’ora sono a destinazione, facendo persino in tempo a prendere la metropolitana per Pozzuoli. Sono in perfetto orario sulla tabella di marcia e quando mancano venti minuti alle 18 eccomi alla stazione Cavalleggeri Aosta, proprio quella seguente alla celebre Campi Flegrei.

È la prima volta per me al PalaBarbuto, quindi ho visto solamente qualche sommaria indicazione su Google Maps. Siamo nel quartiere Fuorigrotta, a poca distanza dallo stadio San Paolo. Fermo un paio di persone che non senza qualche difficoltà riescono ad indicarmi la direzione per raggiungere il palazzetto. Così dopo aver attraversato il ponte che sovrasta la Ferrovia Cumana, mi ritrovo davanti ad Edenlandia, un celebre parco divertimenti attualmente chiuso ed in grado di provocare non poche polemiche in seno alle amministrazioni comunali partenopee. Percorro ancora qualche centinaio di metri ed ecco che finalmente da lontano intravedo l’impianto sportivo. Mi avvicino e ritiro l’accredito.

Dopo aver assistito all’insolita scena, almeno per il basket, di due steward che chiedono i documenti agli ingressi per confrontarli con gli abbonamenti, entro al PalaBarbuto. Diciamola tutta, ho visto di peggio ma ho visto anche di meglio. Sembra una grande palestra con dentro degli spalti prefabbricati in acciaio. Ho sempre avuto la curiosità di sapere come si vive a Napoli il basket. Forse perché è una città calciofila come la mia, con la piccola differenza che la Virtus Roma, seppur con campionati altalenanti, c’è sempre stata e quando ha rischiato di sparire lo scorso anno è stata prontamente salvata consentendo di portare avanti una tradizione ed un background sportivo di ormai 44 anni, mentre a Napoli negli ultimi anni le vicende legate alla squadra di pallacanestro sono state tribolate e piene di colpi di scena. Purtroppo negativi per gli aficionados della palla a spicchi in riva al Golfo.

In principio fu l’Associazione Pallacanestro Napoli, fondata nel 1931 con ottimi risultati nei primi anni di vita. Famosi restano i derby con la Partenopea Virtus e le sfide con i campioni in carica della Ginnastica Roma nelle stagione 1932/1933, annata in cui la società sfiorò di un nulla lo scudetto. L’ultimo anno di attività fu nel 1953, un undicesimo posto che decretò la retrocessione in Serie B e la chiusura definitiva dell’attività agonistica. Negli stessi anni muoveva i passi quella che forse è stata la società più solida e di successo nel capoluogo campano, parliamo della Partenope Napoli Basket. Fondata nel 1957, tenute di gioco gialloblu, nella sua storia quarantennale conquisterà una Coppa Italia (battendo in finale la Fortitudo Bologna nel 1968) ed una Coppa delle Coppe, quella del 1970 dove i napoletani ebbero la meglio sui francesi di Vichy. Gli anni ’90 segnarono una profonda crisi per i gialloblu, nel 1997/1998 l’ultima apparizione tra i professionisti, in A2. Un’annata terminata al 12esimo posto, l’ultimo utile per non retrocedere. Tuttavia i problemi finanziari costrinsero la Partenope ad alzare bandiera bianca, consentendo il ripescaggio della Serapide Pozzuoli che l’anno successivo si trasforma in Società Sportiva Napoli Basket raggiungendo in breve tempo la massima serie.

Agli inizi degli anni 2000 la Partenope si ricostituisce ripartendo dalla Serie D, dalla quale otterrà una promozione in Serie C Regionale, dove tutt’oggi ancora milita. La SS Napoli Basket affronta la Serie A facendo molti investimenti e restituendo alla città una squadra in grado di lottare al vertice. Spiccano in particolar modo la partecipazione all’ULEB Cup nel 2004/2005 e quella all’Eurolega nel 2006/2007. Ma il fiore all’occhiello è sicuramente la Coppa Italia conquistata nel 2006 a Forlì contro la Virtus Roma. Un canto del cigno per una società che nel giro di tre anni sarà prima declassata in Serie C Regionale e poi dichiarata fallita.

Ma le sofferenze della Napoli cestistica sono tutt’altro che finite. Nel 2011, infatti, a raccogliere l’eredità della S.S. ci pensa Salvatore Calise con la sua Napoli Basketball, che viene ammessa, tramite wild card, al campionato di DNA, perdendo la finale play-off con Trento. Una sconfitta che tuttavia non impedisce a Calise di raggiungere un accordo con la Pallacanestro Sant’Antimo (a sua volta ripescata in Legadue nella stagione precedente per l’esclusione di Trapani) per il trasferimento del titolo sportivo utile a disputare il campionato cadetto. Ma si tratta solamente di un’illusione per i tifosi azzurri, dopo sole tre gare disputate, infatti, il Giudice Sportivo Nazionale esclude i partenopei dal torneo. La società prova a presentare ricorso, ma questo viene respinto mettendo la parola fine ad una delle società dalla storia più breve e chiacchierata del basket italiano.

Napoli si fa sentire, c’è voglia di basket. I gruppi ultras tappezzano la città con volantini e manifesti e nell’estate 2013, un nuovo sodalizio dal nome Azzurro Napoli Basket, acquista il titolo della Biancoblu Basket Bologna (un contorto tentativo di restituire la Fortitudo a Bologna, avversato sin da subito dalla Fossa e dalla maggioranza dei tifosi fortitudini) e riparte nuovamente dalla Legadue.

Un excursus storico necessario, prima di raccontare questa mia giornata. So cosa significhi per una città dove domina il calcio, portare gente al palazzetto. Si fa fatica a Roma, dove negli ultimi anni si è visto anche dell’ottima pallacanestro e si è disputata qualche finale, pensate a Napoli in virtù di quanto raccontato nelle righe precedenti. Eppure lo zoccolo duro del tifo partenopeo non ha mai mollato. Sono cambiati gruppi, striscioni e ragazzi, ma qualcuno a vegliare sulla storia cestistica della città c’è sempre stato. Educazione Napoletana, questa è la pezza che identifica gli ultras campani. Un omaggio a Nicolai Lilin e a Gabriele Salvatores, un nome originale in un mondo, quello ultras, che troppo spesso vive di copiature e storpiature.

Trovo il mio posto al centro della tribuna. Alla mia sinistra ci sono i ragazzi di Veroli. Poco meno di trenta quelli posizionati nella parte bassa del settore, che già si fanno sentire con manate e cori secchi. Un’altra cinquantina di semplici tifosi ciociari sono invece seduti nella parte alta dove, peraltro, spicca lo striscione della Brigata Ciociara. Comincia la gara e per almeno 2/4 vanno meglio i tifosi ospiti. Costanti, continui e davvero potenti nei cori. Veroli è una città di appena 20.000 abitanti che, seppure ormai militi in Legadue da diversi anni, è costretta a disputare le gare interne a Frosinone (il che implica il dover percorrere trenta chilometri andata e ritorno ogni due domeniche). Si potrebbe quasi dire che per i giallorossi è un campionato di sole trasferte. Il gruppo è formato quasi in toto da ragazzi giovani, che tuttavia non sono da meno rispetto a molte altre tifoserie della pallacanestro.

Dicevamo dei napoletani. La cosa che mi colpisce è il fatto che aumentino con il passare del tempo, mentre attorno a loro il palazzetto presenta ampi buchi vuoti, penso che i presenti non superino i mille. Ci vorrà del tempo e soprattutto dei risultati per riaccendere la passione dei semplici spettatori della palla a spicci. Anni di fallimenti, delusioni e prese in giro hanno certamente allontanato molti tifosi dall’impianto di Fuorigrotta. Tornando agli ultras, negli ultimi 2/4 aumentano l’intensità dei cori e si mettono in mostra con battimani e cori a rispondere. Ovviamente, gran parte del repertorio è ripreso dalle curve del Napoli, ma non manca qualche coro originale. Molto bello il bandierone raffigurante Totò. In campo gli ospiti sembrano dominare e si rilassano subendo il ritorno dei partenopei che, nell’ultimo quarto, prima ristabiliscono la parità e poi si portano avanti conquistando la vittoria e mandando in visibilio il palazzetto.

Non ho molto tempo per trattenermi. Consultando gli orari dei treni mi sono accorto che pochi minuti dopo la fine della partita passerà un Regionale per Formia, ottimo nodo di scambio per Roma. Rimetto apposto la macchinetta e velocemente mi porto verso l’uscita. Allungo il passo ed in poco meno di 10 minuti sono di nuovo alla stazione Cavalleggeri Aosta. Come da tradizione, il treno porta ben 25’ di ritardo, facendomi maledire Trenitalia per l’inutile corsa.

Ho il tempo per riguardare le foto e riordinare un po’ tutta l’attrezzatura. Poi il viaggio filerà liscio fino a Pomezia: là, a causa di un guasto all’impianto di segnalazione, il convoglio si fermerà per oltre mezz’ora, facendomi perdere l’ultima metropolitana. Così tra un’imprecazione e un’altra, prendo gli ultimi due bus “diurni” in servizio e l’ultima tratta fino a casa la faccio sul classico notturno della domenica sera: stracolmo, puzzolente e bollente. Ma poco male. In tutta questa mia full immersion campana, con i mezzi mi è andata anche troppo di lusso. Ovvio che almeno alla fine la sorte presentasse il conto. Gli ultimi passi verso casa sono contrassegnati da una stanchezza fisiologica. Ho fame, ma sono così stanco che non ho voglia di mangiare. Mi metto nel letto avendo davanti agli occhi bandiere, battimani, sciarpe e cori. Oggi ho dato il meglio di me.

Simone Meloni.