Penso che la canzone “Extraterrestre” di Eugenio Finardi sia una delle più belle parabole della vita di un uomo. O, almeno, dell’uomo che, per scelta o forza di cose, si deve allontanare da casa. Verso una meta agognata, voluta, sospirata, e che all’inizio può regalare una grande euforia e la parvenza di una nuova vita. Illusione che svanisce in fretta, prima del desiderio, quasi disperato, di ritornare indietro, a casa, verso le proprie origini. Personalmente sono ancora lontano da casa mia, e non so se e quando tornerò. Però con questi pensieri vado, con gioia, verso Seregno-Piacenza, prima giornata del campionato di serie D 2013/14.

A farmi fare questa pazzesca associazione mentale è la consapevolezza di essere persino felice di andare dove sto andando. Di non andare verso la Svizzera, o qualche altra meta al di fuori dei nostri confini. Sì, certo, penso che tra poco ricomincia l’hockey su ghiaccio, con le partite del Lugano e dell’Ambrì Piotta, e questa è una gran cosa. Ma, facendomi un paio di conti, ripassando in fretta tutto ciò che ho vissuto in questo ultimo e passa anno di vita, e tirando un po’ di somme, sono arrivato alla considerazione che siamo meglio noi. Noi in Italia. Abbiamo i nostri divieti, una repressione senza eguali, siamo discontinui, spesso poco originali, talvolta svogliati, abbiamo le tessere del tifoso e mille altre cose che ci hanno spaccato ma, in una qualche maniera, restiamo tra i migliori in Europa sotto mille aspetti. Nonostante rimaniamo lontani anni luce da ciò che eravamo pochi anni fa, e solo i numi sanno quanta luce è passata da allora.

Sono contento, e si capisce. Perché il mondo si è stravolto. Dieci anni fa non credo che mi sarei mai infiammato ad andare a vedere i Piacentini in trasferta, mentre oggi, già in anticipo, so che potranno riportarmi indietro con gli anni. Le premesse ci sono tutte: dopo il disastroso fallimento societario di due stagioni fa, il Piace è tornato fra i dilettanti, ripartendo dall’Eccellenza emiliana, col nome di Lupa Piacenza. Una cavalcata trionfale quella dei biancorossi lo scorso anno, promossi sul campo e accompagnati da un pubblico che si è stretto come non mai intorno alla squadra che rappresenta la comunità. Una tifoseria piacentina rigenerata, compito facilitato dalla mancanza di tessere del tifoso e restrizioni particolari che, di questi tempi, vuol dire tanto. Guardo per esempio il videotifo degli Andriesi in casa contro il Trani pochi giorni fa e, se non fosse stato per la didascalia, avrei giurato che fosse una loro partita del 2000. Oggi il dilettantismo è quasi una serie A per quanto riguarda il movimento ultras, nonostante non manchino le pecche ed una repressione che spesso non ha nulla da invidiare alle categorie superiori.

Prendo il mio comodissimo treno che, in poco meno di mezzora, mi porta nel centro di Seregno, piccola città dell’alta Brianza di 45.000 abitanti circa. Lo stadio è a poco più di 10 minuti a piedi dalla stazione, e per arrivarvici si passa unicamente per uno stradone dove si incrociano quasi solo capannoni industriali e distributori. Come mi accade nella maggior parte delle volte che vado in un nuovo campo di gioco, la mia stella polare sono i riflettori, che mi fanno arrivare alla meta con gran facilità. Manca poco meno di un’ora dalla partita, e intorno allo stadio c’è già tanta gente. È la prima di campionato, e spesso tale evento coincide con il ritrovato entusiasmo di andare allo stadio per una partita vera. Ci sono tanti Piacentini, come da previsione, ma anche diversi tifosi del Seregno.

Davanti all’ingresso due ragazze, su un banchetto, cercano di far abbonare più gente possibile. In città in pochi ricorderanno del passato dei biancazzurri in serie B, fino agli anni ‘50, forse a qualcuno andrà meglio ripensando alla serie C, vista l’ultima volta nell’ormai lontano 1982. Ma se il pur piccolo Seregno ha la sua storia da raccontare, fatta di momenti di gloria, oggi l’ospite d’onore è quel Piacenza che ha soggiornato quasi stabilmente in serie A dal 1993 al 2003, e che in molti ricordano per la politica di avere solo giocatori italiani in squadra, almeno fino al 2001.

Prendo senza problemi il mio accredito, lascio il mio documento all’arbitro (usanza tipicamente italica inutile e che fa perdere tempo soprattutto all’uscita), ed eccomi dentro allo stadio Ferruccio: due tribune, l’una opposta all’altra, di cui una grande e compatta con la parte centrale coperta, e l’altra scoperta e divisa in due spicchi: è là che troveranno posto i tifosi ospiti. In realtà, quando entro nel rettangolo verde, tutti gli striscioni sono già posizionati: ci sono da una parte le sigle dei gruppi piacentini al seguito e, dall’altra, con una mia certa sorpresa, gli striscioni “Seregno” dentro al tricolore (già visto al seguito della nazionale), “Boys” e “Vecchia Guardia”. Per il momento, però, non vi è nessuno dietro.

Mi avvicino al settore dei Piacentini, dove scambio quattro chiacchiere con uno dei capi ultras, e dove cominciano ad esserci i primi problemi. Infatti fa caldo, molto caldo, il settore è completamente sotto al sole, non vi sono servizi igienici e non vi è un punto di ristoro. Il conciliabolo tra alcuni dirigenti di entrambe le squadre, un carabiniere piuttosto spaesato e i tifosi, porta prima ad un rifornimento di bottigliette d’acqua offerte dal Seregno, e poi alla saggia quanto opportuna decisione di spostare i Piacentini nella tribuna centrale, dal lato opposto degli ultras di casa. Il tempo è già passato, la partita sta per cominciare e, in fretta e in furia, gli Emiliani sbaraccano i loro striscioni, la coreografia che avevano preparato con una certa cura e improvvisano un corteo per andare compatti verso il nuovo settore a loro destinato. Sono in tanti i sostenitori della Lupa e, anche se non lo vedo bene al 100%, il corteo fa il suo effetto.

Prima del posizionamento degli ospiti nel nuovo settore, fa il suo ingresso un reparto di carabinieri arrivato appositamente da non so dove, che comunque resterà completamente inoperativo per tutto il tempo. La soluzione di cambiare la tribuna ai Piacentini soddisfa un po’ tutti, me compreso che posso vederli compatti e non divisi in due tronconi come sarebbe avvenuto dall’altra parte. Un po’ più preoccupati invece i tifosi del Seregno, con qualche ultras di casa che comincia a posizionarsi dietro le proprie pezze.

I Piacentini fanno il loro ingresso in maniera rumorosa, ma assolutamente tranquilla. Nessuna ostilità verso i Seregnesi ma più cori tendono a sottolineare che il Piacenza gioca in casa, e i numeri stanno completamente dalla loro. Non solo per le cifre crude in sé, ma anche perché la maggior parte degli oltre 400 Piacentini arrivati in Brianza sono ultras, e quindi tutta gente che sosterrà attivamente la squadra mentre, a conti fatti, i ragazzi biancoazzurri saranno circa una quindicina.

I minuti immediati che precedono la partita sono un ottimo antipasto, con gli ospiti che cominciano ad alzare le loro bandierine bianche e rosse, intonando cori con ottima potenza. Anche i Boys del Seregno entrano in clima gara e cominciano a cantare. Dopo una certa attesa entrano le squadre in campo e il colpo d’occhio è veramente notevole: la tribuna nel suo complesso non è piena, ma la gente c’è. I ragazzi di Seregno cantano ed accendono un paio di torce, cosa piuttosto rara di questi tempi anche tra i dilettanti. Nessuna pirotecnica su sponda piacentina ma il settore si colora di bandierine bianche e rosse, con uno striscione di carta alzato che incita “Forza lotta vincerai”. Un vero spot per il calcio come piace a noi.

La partita comincia e anche io posso godermi in primissima linea lo spettacolo degli spalti. In più occasioni ho detto che quando manca l’originalità nei cori, si può sopperire nel modo in cui vengono fatti. Quando c’è la voglia è tutta un’altra cosa. Prendiamo per esempio il coro della “malattia che non va più via”: beh, a me non piace. Ai miei tempi che furono, la malattia che non va più via era un’altra cosa e faceva pure rima. Eppure, lo stesso coro, fatto da tutto il settore dei Piacentini, con potenza e non sottovoce, mi ha fatto venire più di qualche brivido, per la prima volta. Ma non è solo questo. Tanti anche i cori vecchia maniera, cantati bene e tenuti a lungo. Un mix che mi riporta indietro negli anni e che mi fa vivere con trasporto quanto sto vedendo. Il coro più bello degli ospiti è una canzone che non conosco assolutamente, cantata in dialetto da tutti e terminata con un “Piacenza Piacenza”. In più anche una sciarpata dove, chi non ha la sciarpa, sventola una bandiera biancorossa.

Non manca l’incitamento anche sul versante opposto, dove i Seregnesi provano con tutti i loro mezzi a farsi sentire, a tratti con buoni risultati. Come detto sono una quindicina gli ultras, anche se poi alcuni tifosi là vicino danno una mano nel sostegno. Forse un po’ poco originali i cori e tenuti non a lungo, più una certa svogliatezza nell’eseguire i battimani come si deve, segno, questo, che probabilmente là in mezzo in molti non seguono regolarmente la squadra. E, se devo essere sincero, neanche io ero sicuro di trovare del tifo organizzato al seguito dei Lombardi. Invece eccomi servito, in queste categorie dove è ben difficile vedere due tifoserie contemporaneamente all’opera e, quando ci sono, raramente arrivano alla sufficienza. Invece la meritano i Seregnesi, mentre, almeno per ora, a fine primo tempo, pieni voti per gli ospiti, evidentemente molto carichi e motivati.

La squadra ospite, tra le favorite del campionato, sembra in apparente difficoltà, spesso sulle gambe nel dover respingere gli assalti dei giovani giocatori della squadra di casa che, oltre ad essere comunque dotati tecnicamente, hanno voglia di emergere e di farsi vedere. Le occasioni migliori quindi sono dalla parte dei Brianzoli, anche se si vede che il Piacenza sornione, coi suoi giocatori più navigati, può far male in qualsiasi momento. Fatto sta che il primo tempo finisce col parziale di 0-0 e comunque tanto divertimento per gli appassionati.

Se, al solito, mi aspettavo un intervallo tranquillo prima della ripresa, stavolta vengo smentito. Infatti, un buon gruppo di Piacentini va nella parte sottostante in mezzo alla tribuna, con Davide Reboli che esegue uno dei suoi riti che lo hanno reso celebre,  la messa ultras, ovvero lui dice delle frasi alla folla davanti (che nel marasma non riesco a distinguere), con le persone sedute che, alla fine di ogni frase, rispondono “amen” come fossero in chiesa. E, alla fine, tutti in piedi a cantare “tifosi che ci picchiano non ce ne sono più”. Poi altre istantanee di fomento ed entusiasmo che terminano, prima di riprendere il posto sugli spalti, con un “Siamo gli ultras del Piacenza e facciamo la violenza”. Riti e momenti che, a mio avviso, cementano il gruppo, dandogli una forte identità. Prima volta in vita mia che assisto ad una cosa del genere, e non giro proprio esattamente da ieri.

Per me che di ultras ci vivo, oggi si sta al di sopra delle aspettative, che già erano ottimistiche di per sé. I due gruppi si compattano subito, dalla parte destra e dalla parte sinistra della tribuna, e tutto torna esattamente come prima, con lo stesso colore, con lo stesso entusiasmo e con la stessa partecipazione alle azioni di gioco. È ovvio, dal Piacenza ci si aspetta tanto, e il Piacenza deve quindi dare tutto. Ma le cose non vanno proprio così, il calcio segue le sue leggi che non sono quelle degli spalti. Infatti il Seregno riparte col turbo nelle gambe e, dopo qualche prova generale, al 7° minuto passa in vantaggio con un gol su respinta di Lacchini. Esplode, e ne ha ben donde, la parte di tribuna che tifa Seregno. Però il Piacenza è una squadra costruita per vincere, alla quale basta sfruttare, appena quattro minuti dopo, la prima disattenzione difensiva dei padroni di casa per pareggiare, con l’esperto Volpe che, di fronte al portiere, non può sbagliare. Stavolta sono gli ospiti a esultare e a sperare nuovamente nella vittoria. Ma, mentre l’incitamento rimane su decibel alti, il Piacenza sembra essere nuovamente andato in corto circuito, incapace di contenere le folate offensive dei biancazzurri. Stavolta è Comi, in velocità, a battere per la seconda volta il portiere Ferrari e a riportare in vantaggio i suoi. Esplode di nuovo la gioia dei Brianzoli mentre, per la prima volta, serpeggia il malumore di chi è venuto dall’Emilia. Mancano meno di venti minuti alla fine della partita e lo spettro di una clamorosa sconfitta all’esordio comincia a materializzarsi. Tra un coro e l’altro i Piacentini avvertono con un “Noi vogliamo gente che lotta”. Sostengono la loro squadra anche gli ultras del Seregno, quasi increduli di ciò che sta succedendo al Ferruccio, con il loro undici che vince e merita.

È qua che un mix di paura tra i padroni di casa, aggiunta ad un po’ di inesperienza, controbilanciata dall’esperienza degli ospiti ed un po’ di giusta rabbia associata ad orgoglio, fa sì che il Piacenza emerga prepotentemente nei minuti finali. I tifosi capiscono che la loro squadra ce la sta mettendo tutta e la spronano a gran voce. Il Seregno è intimorito e lo si vede da come prende il secondo gol: da calcio piazzato Martino viene lasciato senza marcatura e trafigge l’incolpevole Soriente per il 2-2. Possono tirare un sospiro di sollievo ed esultare gli ospiti, ma non è ancora finita. Sotto un tifo veramente ad alto volume, il Piacenza stringe ora d’assedio l’area brianzola che, in una maniera o nell’altra, ci mette una pezza. Il fischio finale arriva un po’ come una liberazione per entrambe le squadre e il pareggio appare come il risultato più giusto che, in fin dei conti, può accontentare tutti.

Qualche timido saluto dei giocatori seregnesi al proprio pubblico, e poco di più dalla parte ospite. È vero che la squadra va sotto al settore dei propri tifosi ma, essendo abituato ormai ai campi svizzeri dove le squadre vanno a battere il cinque ai propri ultras anche se perdono, trovo ridicolo vedere le maniere sbrigative dei giocatori che, dopo aver battuto per due secondi le mani ai propri sostenitori – a debita distanza – se ne vanno di gran carriera. Punti di vista che nascono inevitabilmente quando si viene a contatto con più culture sportive. In ogni caso, è stata una giornata godibilissima per quanto mi riguarda, e il rientro verso casa è senza dubbio più leggero.

Stefano Severi.