Quando ero un ragazzino, una vita prima di Internet, a creare in me il mito di determinate partite contribuivano il postino, che giornalmente mi portava qualche nuova busta con le fototifo di qualcuno dei miei corrispondenti, oppure l’edicolante con il nuovo numero di “Supertifo”, che avidamente e segretamente sfogliavo nascondendolo all’interno dei libri di scuola, il più delle volte durante l’ora di matematica.
A prescindere dalle categorie, ognuna di queste sfide aveva per me un motivo di fascino, ognuna portava dietro con sé strascichi dell’Italia dei Comuni, degli odi antichi per le più svariate ragioni di campanile e spesso, per compensazione a quanto perso per scarso interesse a scuola, riuscivo a cogliere scampoli di storia e di geografia che dai professori non avrei mai imparato. La storia della Secchia rapita contesa tra Modena e Bologna, le differenze ai più impercettibili tra popolazioni distanti pochi km come ciociari e volsci, ecc. Agli striscioni allo stadio devo anche le mie prime curiosità sulla Palestina, così come è da quegli striscioni che riesco a risalire a Sforza, Estensi, Scaligeri e tutte le varie dinastie che hanno regnato in questo o quel posto d’Italia, spesso spargendo il primo seme dell’odio tra confinanti.
Da sempre, questa ricchezza di diversità identitarie, spesso strette in un fazzoletto di terra, è stata il fiore all’occhiello e la forza del movimento ultras italiano, e pochi altri posti nel mondo del tifo possono annoverare tanti derby, tante sfide ricche di contrapposizioni, dalla massima serie fino alle più infime categorie dilettantistiche, con un tale bagaglio di interessi extra-calcistici.

Una di queste sfide, a cui da sempre mi ero ripromesso di partecipare, ma che non sapevo se ci sarei mai riuscito vista l’era dell’Ultra-Inquisizione, è quella fra Vis Pesaro e Alma Juventus Fano. Pochi i km di distanza tra le due città, inversamente proporzionali all’astio che corre tra le parti, alimentato oltre che dalla contiguità geografica, anche dalla lunga tradizione calcistica (1898 la Vis, 1906 l’Alma) di entrambe che, con alterne fortune, si sono contese lo scettro di regina calcistica locale.

Oggi, più mestamente, le due compagini si ritrovano appaiate in Serie D, dove il Fano è precipitato dopo quattro stagioni in chiaroscuro nella vecchia C2, mentre la Vis Pesaro, dopo una costante presenza in Serie C1 e C2 tra la fine degli anni ’80 e gli inizi del 2000, continua a barcamenarsi nelle categorie dilettantistiche ormai quasi da dieci anni. La gara a cui mi appresto ad assistere però, non è già di campionato: sono passati solo dieci giorni da Ferragosto, per cui siamo ancora all’antipasto della stagione calcistica, nello specifico al Primo Turno della Coppa Italia di D.

Al “Tonino Benelli” di Pesaro, dopo aver superato la Fermana nel Turno Preliminare, arriva dunque il Fano. Dopo essermi assicurato, non senza stupore, che Osservatorio e sceriffi non c’avevano messo su le loro grinfie, e che non ci fossero divieti di sorta a stuprare il gioco più bello del mondo (tanto poi hanno sempre il capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe), faccio rotta verso la città adriatica corrompendo la famiglia in cambio della promessa di un giro al mare.

Arrivo con un giusto margine di tempo per ritirare l’accredito e gironzolare curioso fuori dai settori per annusare l’aria che tira. Premessa: dico la verità fuori dai denti, dopo lo scioglimento degli “Ultras Vis Boys”, non ho più volutamente seguito i biancorossi perché il nuovo corso della tifoseria pesarese mi ha sempre dato l’impressione di essere composto più da tifosi, magari sfegatati, che non da ultras propriamente detti, se cogliete le sfumature di ciò che senza offesa voglio dire. Quando però capito sotto il loro settore, vedo davvero belle facce in giro, tanto che penso da subito di aver sbagliato completamente valutazione su di loro. Magari è gente che gira da cani sciolti e non con l’attuale gruppo principale, questo però lo scoprirò solo più tardi, in base al piglio e all’attitudine che lo stesso gruppo saprà dimostrare.
Faccio anche una capatina nei pressi del settore ospiti, dove il movimento è molto blando: probabilmente sono già entrati tutti, oppure il blocco degli ultras non è ancora arrivato ma, non potendomi permettermi il lusso di accertarlo, visto che ormai non manca moltissimo al fischio d’inizio, mi avvio verso l’ingresso.

L’accesso al campo avviene in self-service, senza troppi omini fosforescenti ad instradarmi (che non è certo un male, anzi…), senza neppure la pettorina perché “le abbiamo finite tutte”. Mi ritrovo subito di fronte la Curva Prato piena in tutti i suoi effettivi, così come abbastanza pieno è il settore ospiti, direi con circa 200/250 persone, anche se la sensazione che gli ultras ancora debbano arrivare, trova definitiva conferma. I giornali spulciati nei giorni successivi parleranno di 2.500 spettatori totali: io che con i numeri non sono un fulmine, non ho mezzi per confutare, ma credo altresì che questo dato non sia poi così distante dalla realtà, magari giusto una “gonfiatina” auto-celebrativa dei cronisti locali ma, grosso modo, siamo là.

Incrocio, saluto e faccio due chiacchiere con un vecchio amico, nel frattempo nella curva di casa spunta un copricurva che mi costringe a salutare in fretta per concentrarmi sui doveri domenicali: il quadrato di stoffa è un “I love Vis” molto semplice ma bello a vedersi, in tempi in cui l’assenza di colore è pressoché totale. Questa, in pratica, è l’accoglienza alla squadra che entra in campo, accoglienza che risulta molto più timida per gli ospiti, salutati giusto da qualche battimani e qualche coro, tutto poco coordinato e frutto dell’iniziativa di qualche volenteroso singolo. La scena, almeno in questo scorcio iniziale, è tutta ad appannaggio dei padroni di casa, molto potenti nei cori e con una serie di battimani che riscontrano il gradimento di larga fetta dei presenti, con conseguenti ottimi risultati. Non c’è paragone fra le parti, almeno in questo inizio.

Il copione comincia a cambiare radicalmente e a diventare molto più interessante con l’arrivo degli ultras fanesi, giunti in treno ed arrivati in corteo, che portano il totale granata sui 400 circa. Nessun “incidente di percorso”, vuoi anche perché la gara era iniziata già da qualche minuto e l’ordine pubblico era molto più facilmente gestibile per chi di dovere. Si parte da subito e con veemenza ad insultarsi reciprocamente, senza mezzi termini, anzi i padroni di casa aprono anche un ulteriore copricurva che è una sorta di rebus: “Ciao retro…” e poi il disegno di una tazza del water che dovrebbe completare la frase in “Ciao retrocessi”.

Mani, mani e ancora mani per gli ospiti, con giusto tre o quattro bandiere a dare colore; speculari i pesaresi, anche loro a farsi notare con una dose massiccia di manate, esercitando però una certa superiorità dal punto di vista del colore, grazie a diverse bandierine biancorosse che sventolano con sufficiente continuità. Il tifo vocale non è meno piacevole e potente: entrambi gli schieramenti ci mettono tutto il cuore e il fiato, nessuno ha voglia di sfigurare in questo derby e devo ammettere che le mie aspettative non sono affatto andate deluse, anzi devo constatare con soddisfazione, tra me e me, che questo inizio di stagione si sta rivelando molto interessante dal punto di vista ultras. Sarà il caso, sarà la mia lunga astinenza dello scorso campionato, sarà che anche gli sgherri dell’ONMS sono ancora in ferie, sarà pure un sogno ma spero che duri a lungo e che sia finalmente tempo per una nuova ripresa del movimento dopo anni di pesante convalescenza.

I fanesi, nel frattempo, espongono anche uno striscione per Ezio, sottolineato da lunghi e ripetuti applausi che mi fanno intuire sia rivolto ad un ragazzo scomparso. Di lì a poco, dopo il momento del cordoglio, è l’ora della gioia sfrenata: l’Alma passa in vantaggio ed il settore esplode in un’esultanza che è un bel ruggito. Peccato che dopo pochi minuti c’è un rigore per la Vis Pesaro che è come una doccia gelata per loro, ma almeno ha il vantaggio (dal mio punto di vista di osservatore neutrale) di far ripartire a voce grossa i tifosi locali.
A pochi minuti dal termine della prima frazione, arriva la seconda rete casalinga, bella soprattutto per l’esultanza del giocatore che s’arrampica sulla rete per abbracciare fisicamente i tifosi, anche se visto il momento in cui arriva, non sposta particolarmente gli equilibri del tifo. Si chiude qui il primo tempo, con i biancorossi in avanti sul campo, ma con la gara sugli spalti che è più o meno un pari e patta: belli entrambi nel tifo canoro, migliori nel colore i pesaresi, anche se i fanesi, con una bella sciarpata (poi prolungata con un “Tutti a destra, tutti a sinistra…”), recuperano un po’ nell’ambito per così dire coreografico.

Il secondo tempo riprende sulla falsariga del primo, con le due fazioni che si rispondo colpo su colpo. Va però detto che i pesaresi, maggiormente esposti rispetto ai fanesi ad un sole veramente feroce, cominciano a perdere visibilmente colpi man mano che passano i minuti: diminuisce sia la partecipazione che la potenza e la continuità, a fronte dei rivali che rimangono più o meno sullo stesso volume e sulla stessa frequenza dei cori, aiutati dall’ombra che li ripara.
Da segnalare, da parte degli ultras della Vis, l’esposizione dello striscione “Alma Tennis Fano Zemanlandia”, riferimento all’ex allenatore granata Karel Zeman, figlio del più famoso Zdenek, che con il padre ha in comune la predisposizione a subire goal e sconfitte di portata tennistica. Nell’ambito degli sfottò, viene più volte levato al cielo il due aste “Salma Fano”, tanto simpatico quanto brutto nella fattura come il simile “Fano merda” ancora più brutto, se possibile. In generale, comunque, il tifo contro non diventa mai stucchevole, merito di tutte e due le parti che non dimenticano di avere, prima di tutto, qualcosa per cui combattere piuttosto che contro cui combattere.

Anche Pesaro prova a fare una propria sciarpata, ma se non fosse stato per le diverse bandiere sventolate, che ne hanno salvato parzialmente la riuscita, sarebbe stato un disastro totale, visto che le sciarpe tese erano davvero pochissime.

In campo, come sui gradoni, i protagonisti sembrano soffrire molto il caldo, riuscendo ad imbastire poco o nulla di meritevole. Un derby però è sempre un derby ed è capace di offrirti emozioni incredibili proprio quando ormai lo ritenevi impossibile. Così, alla mezz’ora circa, la squadra ospite guadagna un calcio di rigore che sembra una sorta di ricompensa morale ai suoi tifosi, che in questa seconda frazione non hanno mai smesso di crederci e di sostenere i propri ragazzi.

L’Alma Fano firma il suo pareggio dagli undici metri ma, anziché sedersi sull’alloro appena conquistato, continua ad esercitare quella stessa caparbia volontà che l’aveva portata al pari e raggiunge, ad un soffio dalla fine, il goal del clamoroso e definitivo 2-3. Il marcatore corre da una parte all’altra del campo pur di abbracciare idealmente e condividere la sua gioia con il proprio pubblico, con i tifosi che impazziscono letteralmente per questo goal sul filo di lana.

Il contraltare è la cupa rassegnazione dei tifosi di casa, ma quando giunge il fischio finale penso che in fondo, per quanto visto nei 90 minuti, i fanesi meritavano qualcosa in più. Non che i pesaresi non abbiano fatto la loro parte fino alla fine, anzi devo pur ammettere che ho dovuto rivedere quella sorta di mio pregiudizio iniziale su di loro, almeno in parte: hanno tifato 90 su 90, calando di brutto verso la fine ma con l’alibi del caldo che li ha massacrati, facendo venire meno intensità e potenza, anche se il gruppetto al centro che si dannava l’anima lo si vedeva bene.
Dico “in parte” non a caso, perché stilisticamente m’è rimasta l’opinione negativa che avevo: i caratteri degli striscioni, i due copricurva esposti, un paio di due aste veramente osceni, ci sono alcuni piccoli particolari che mi portano a pensare che non ci sia stata una linea di continuità tra passato e presente, che per strada s’è perso parecchio dal punto di vista “creativo”. Beninteso, non sono le cose esteriori a fare l’essenza degli ultras: ho già detto e ripeto che hanno fatto bene quest’oggi e tanto, ma spero mi si perdoni la schiettezza se dico che la strada da percorrere è ancora parecchia per loro. Possono pure riuscire ad andare lontano, ma tocca che prendano coscienza di questi loro piccoli limiti per superarli e ritornare al livello che faceva di questa piazza, pur nella sue limitata dimensione numerica, una delle piazze storiche del movimento ultras italiano.

Matteo Falcone.