Quando si parla di stadi militarizzati è ormai facile estendere il concetto anche a categorie laddove, almeno fino a qualche tempo fa, era davvero difficile imbattersi in servizi d’ordine, controlli ed eventuali limitazioni. Perciò è quasi scioccante, in questa domenica mattina, girare l’angolo di una delle strade del quartiere residenziale Fonte Laurentina e trovarsi di fronte una camionetta della Polizia, una della Guardia di Finanza, un paio di funzionari dotati di telecamere e un nutrito numero di agenti in tenuta anti sommossa a presidiare l’ingresso dell’impianto sportivo Fonte Park, dove il Tor de’ Cenci ospiterà la VJS Velletri. Siamo in Prima Categoria, in un campo dove non è presente una tifoseria di casa e su una gradinata unica che oltre alla sessantina di veliterni ospiterà giusto qualche altro spettatori.

“C’era più gente per la partita prima, quella dei Giovanissimi. Ovviamente i genitori si sono attaccati tra loro, come sempre”, mi dice un inserviente del campo, commentando tra il serio e il faceto l’assetto esageratamente militarizzato che ci ritroviamo di fronte osservando la tribuna. Personalmente non mi abituerò mai a questo psicosi da aggregazione e tifo organizzato. Posso comprendere – fino a un certo punto in realtà, almeno in queste circostanze – il voler tenere sotto controllo la situazione, ma quando si palese un tale sperpero di denaro pubblico e di forza che probabilmente dovrebbe trovare migliore destinazione, davvero avrei soltanto voglia di girare i tacchi e passare la domenica solo ed esclusivamente di fronte la più tradizionale delle lasagne.

Venendo all’aspetto prettamente sportivo, la squadra di “casa” gioca leggermente fuori la sua reale sede. Tor de’ Cenci, infatti, è una frazione posta fra la Via Pontina e la Via Cristoforo Colombo, in quel quadrante della Capitale che volge a Sud. Il club in questa stagione sta disputando un discreto campionato, occupando la terza posizione alle spalle della capolista Torrino e, per l’appunto, della VJS. Si tratta pertanto di una sfida importante, soprattutto per gli ospiti che non vogliono perdere la scia del primo posto, distante cinque lunghezze.

Per l’occasione la Banda Volsca ha organizzato un pullman, raggiungendo la Capitale con discreto anticipo sul fischio d’inizio e incamminandosi verso l’impianto con un corteo alquanto rumoroso. Ne faranno le spese i diversi romani intenti a smaltire la sbornia del sabato sera o semplicemente a godersi gli ultimi attimi di sonno domenicale. Del resto questo è il giorno del pallone, non certo del riposo, come qualcuno vorrebbe far credere (sic!).

Dopo essersi sistemati in una zona delimitata dal cordone di finanzieri (in stile settore ospiti improvvisato negli anni ottanta) gli ultras veliterni appeno un’unica pezza e cominciano a sostenere senza sosta i propri colori. Qualche ragazzo di Sora presente viene salutato da un paio di cori che rimarcano un’amicizia ormai ben salda, mentre il tormentone di giornata sulle note di Another Love tiene banco e viene eseguito per diversi minuti, ben ritmato dal tamburo e forgiato dal megafonista, che in più di un’occasione sprona tutti i presenti a seguirlo in un’unica voce. La strutturazione della tifoseria castellana – come già evidenziato in altri articoli – è un dato di fatto, oltre che una piacevole conferma, basata sul grande lavoro di aggregazione e attaccamento all’identità cittadina e a quella sportiva fatta da questi ragazzi. Un lusso – diciamolo pure – per una squadra di Prima Categoria, che non a caso a ogni gol realizzato (la gara finirà con un sonoro 2-6) corre a prendersi l’esultanza della propria gente.

Dopo il triplice fischio c’è spazio per un piccolo “terzo tempo” in cui i supporter veliterni si dilettano in cori goliardici e di appartenenza. Gli agenti sembrano guardarli tra il divertito e l’annoiato, vogliosi anche loro di tornare a casa davanti alla suddetta lasagna. A me non resta altro che realizzare gli ultimi scatti e poi tornare lentamente alla macchina, posteggiata perfettamente sotto i pini ricolmi di resina. Uno dei pochi sintomi di una primavera che sembra tardare il proprio arrivo.

Mi allontano dal campo osservando il contingente rossonero incamminarsi nuovamente verso il pullman, marcato stretto dalla polizia. Ultimi cori e poi tutti sul torpedone, in direzione Velletri. Oggi, forse, è mancata quella libertà tipica di questi campi, quella naturalezza dove una birra in vetro e qualche torcia sono la cosa più normale del mondo da portare sugli spalti. Ciononostante non sono mancati i novanta minuti di tifo e la seriosa quanto scanzonata presenza di una tifoseria cresciuta negli ultimi anni ed evidentemente bisognosa di salire qualche gradino della piramide calcistica per trovare confronto con altre piazze.

Simone Meloni