Il saper ingarbugliare un qualcosa di facile e lineare in termini di gestione dell’ordine pubblico è evidentemente materia di studio e approfondimento da parte delle autorità italiane. Gli esempi a suffragio di tale affermazione sono davvero molteplici, ma restando nel solco di questo derby è sufficiente pensare a tutta la tarantella inscenata dalla questura di Treviso la settimana precedente al fischio d’inizio. Si sapeva da diversi giorni che i mestrini avrebbero affrontato la trasferta in treno, con orario di partenza già stabilito e pubblicizzato con vari post e volantini della Curva Nord: ritrovo in stazione alle 12:30, partenza alle 13:20. A rigor di logica, dunque, nulla di più facile per chi si ritrova a dover gestire l’afflusso e il deflusso relativo a una partita. Un contingente di tifosi che si muove in treno è facilmente controllabile e non ci sarebbero certo bisogno di limitazioni sui biglietti. Anche perché parliamo pur sempre di numeri contenuti e non certo a esodi di massa.

Eppure, anche in questa occasione, chi di dovere è riuscito a tirar fuori dal cilindro una pensata geniale: limite di 100 tagliandi per i tifosi ospiti ma possibilità per gli stessi di acquistare i biglietti negli altri settori dello stadio Tenni. Ci sarebbe da ridere se non fosse tutto vero. Di fatto in prima battuta la Questura trasforma una partita gestibilissima in un qualcosa di potenzialmente pericoloso considerata la promiscuità che si sarebbe andata a creare. Anche perché più di qualche mestrino sin da subito decide di acquistare i biglietti della tribuna di casa. A questo punto, forse qualcuno decide di collegare il cervello e si rende conto di quanto la strada intrapresa sia a dir poco idiota e controproducente. A margine del GOS, pertanto, le autorità decidono di fare un passo indietro e aprire liberamente la vendita del settore ospiti ai supporter arancioneri. Permettendo anche a chi aveva acquistato altri settori di entrare in quello a loro dedicato. Mentre per i tifosi di casa dapprima verrà imposta la chiusura dei botteghini il giorno del match e successivamente, anche qui, si farà un passo indietro permettendo loro di comprare i tagliandi anche la domenica. Come normale che sia. Una tiritera al limite del grottesco, che una volta tanto si è risolta dando priorità alla logica anziché al divieto. Di certo, per come il tutto si è dipanato, c’è ben poco da esultare. Anche perché non si può gioire per un diritto – quello di accedere in uno stadio – che neanche dovrebbe esser messo in discussione. Resta peraltro l’obbligo di biglietto nominativo, che teoricamente in Serie D neanche esisterebbe ma che ormai quasi tutte le Questure stanno implementando. E non solo in occasione di partite a rischio.

Più in generale direi che, anche leggendo i quotidiani e i siti locali, questa partita sia stata caricata neanche fosse il Derby di Belgrado in termini di ordine pubblico. Vero che si tratta di un derby sentito, forse il più sentito per le due tifoserie, ma vero anche che dall’approccio che le autorità trevigiane hanno avuto con questo evento si evince in maniera più che eloquente la non abitudine a lavorare in contesti un po’ più caotici e complessi. Il che lascia davvero basiti ma di fondo è pienamente in linea a quello che è stato fatto in questi ultimi quindici anni: spingere sul pedale del divieto e della restrizione disabituando letteralmente gli apparati competenti. E ogni qual volta che si verificano suddette, ridicole, situazioni, ne abbiamo la conferma.

Fatte queste dovute considerazioni, vengo all’aspetto più ludico e narrativo della giornata. Esordio assoluto per me all’Omobono Tenni, quanto basta per mettere ancor più pepe al mio lungo e tormentato viaggio. L’infame Flixbus, infatti, si dimostra più impervio che mai, impiegando ben undici ore da Roma a Mestre, grazie a un “bellissimo” percorso che mi permette di lambire Perugia (ben due fermate), Ancona, Pesaro, Rimini, Cesena, Ravenna, le Valli di Comacchio e Padova. Praticamente i viaggi di nozze degli anni sessanta erano meno lenti e impegnativi. Ma anche questo fa parte dell’esperienza e tutto sommato mi restituisce sempre un certo tocco di originalità, oltre che una stanchezza infinita.

Treviso e Mestre tornano a sfidarsi dopo otto anni. Una partita che da sempre in Veneto è annoverata fra i derby più sentiti, soprattutto a livello di campanile. Treviso rivale storica di Venezia e Mestre, nel calcio come nel basket. Ma anche città che nel football ha quasi sempre sofferto (se si toglie l’unico campionato di Serie A nel 2004/2005) e che spesso si è trovata a fare i conti con i giganti del rugby e della pallacanestro – lungamente finanziati e spalleggiati da Benetton – impegnati a conquistare trofei e successi al cospetto di un club calcistico che con le unghie e con i denti ha conosciuto il maggior splendore proprio a cavallo tra i ’90 e i 2000 grazie a una discreta militanza in cadetteria, per poi sprofondare (dopo il fallimento nel 2009) negli abissi del calcio regionale veneto, tra Promozione ed Eccellenza.

Sarà anche per questo che il tifoso trevigiano del calcio sembra quasi esser bistrattato da molti, anche da alcuni concittadini. Ho avuto peraltro modo di saggiare i due ambienti più frequentati dal pubblico sportivo locale: calcio e basket. E si colgono palesemente alcune differenze. Sicuramente il supporter della palla a spicchi – malgrado pure lui negli ultimi anni non navighi proprio in buone acque – si sente più legittimato a darsi un tono. Le vittorie e i buoni risultati aiutano a fortificare il proprio credo, oltre che i propri numeri. Quello del calcio mi è apparso più schivo, ruvido, tignoso. Con poca voglia di spolverarsi le spalle e tanto desiderio di confrontarsi e tornare quanto meno a livelli accettabili. Da amante dei due sport dico che è sempre un piacere imbattersi in una città che li seguo costantemente, sebbene con presenze diverse. Da calciofilo della prima ora dico che l’esser incastonati in una città borghese, sicuramente altezzosa sotto alcuni punti di vista, non favorisce il germoglio ultras. Poi, sempre mia impressione, credo che anche il modo d’essere dei ragazzi della Sud – tendenzialmente chiuso, rude – abbia posto qualche ostacolo a una radicazione totale del seguito pallonaro. D’altro canto, come avrò modo di dire, è anche bello osservare un modo proprio di essere, per certi versi differente da molte realtà italiane. Tutto ciò al di là dei gusti personali, che credo siano fondamentali ma possano mantenersi vivi proprio grazie alla diversità. E questo è un punto su cui il tifo italiano ha davvero perso tantissimo negli ultimi anni.

Treviso è la classica, bellissima, città di provincia del Nord Est. Un posto dove non ci si stanca di venire, anche per la non esagerata commercializzazione e per attività, ristoranti e siti culturali rimasti ancora alla portata di tutti. E per essere a venti minuti di treno da Venezia questo non è scontato. I canali solcati dal fiume Sile la intersecano in vari punti mentre la domenica mattina stuoli di ragazzi e famiglie bivaccano sul corso, nei pressi di Piazza dei Signori e attorno all’Isola della Pescheria degustando aperitivi e calici di vino. L’esser proprio sul percorso dell’antica Via Postumia – che univa Genova ad Aquileia – e l’aver sempre sfruttato il corso del Sile in termini di navigazione, ha reso l’antica Tarvisus un importante snodo commerciale. Aspetto che ovviamente ha giocoforza avvantaggiato l’economia locale. Nella raffigurazione campanilistica del calcio – ultimo baluardo di quell’Italia sagace e rivaleggiante – il trevigiano è additato come il “campagnolo” nella sua regione, mentre lo stesso ovviamente rinfaccia ai vicini veneziani i più disparati e spregevoli aspetti del vivere costantemente a contatto con la laguna. Diverso mi è parso l’approccio con i mestrini, definiti a più riprese “esperimenti”. Per chi non c’è mai stato non può sembrare, ma da un punto di vista di quella bella e salvifica cosa chiamata discriminazione territoriale, il Veneto è secondo a poche altre regioni. Mettiamoci poi che il modo di porsi degli autoctoni è spesso colorito e poco attento al bon-ton e abbiamo un mix letale. Che può solo incrementare l’interesse per questo genere di match.

Quando manca un’ora e mezza al fischio d’inizio mi concedo un giro attorno al Tenni. Sono curioso di vedere questo stadio, che dalle foto e dai video mi ha sempre affascinato. Inaugurato nel 1933 e intitolato negli anni sessanta al motociclista Omobono Tenni, mi colpisce subito per le sue peculiarità, in primis la sua conformazione all’inglese, il canale che scorre proprio affianco di una delle tribuna costringendo a superare gli accessi attraverso un ponticello (un po’ come avviene al Penzo di Venezia) ed infine per l’esser stretto fra case e condomini. Tutti aspetti che immagino irritino e non poco chi è chiamato a tutelare l’ordine pubblico. Tutti aspetti che, di contro, rappresentano una vera e propria boccata d’ossigeno per chi vuol vivere il calcio in un certo modo. Transito davanti alla Curva Sud, intitolata a Fabio Di Maio, ultras trevigiano scomparso nel 1998 a margine del match contro il Cagliari. Dopo il match con i sardi, infatti, ci furono alcuni tafferugli, sedati violentemente dai carabinieri (vennero ritrovati diversi fucili col calcio spezzato). In questo contesto Fabio – sebbene a debita distanza – cadde atterra in preda a un arresto cardiocircolatorio. Sta di fatto che da allora in qualunque campo giochi il Treviso, gli ultras scandiscono il suo nome per onorarne la memoria.

Tornando al mio tour, finisco per lambire il settore distinti (attualmente inagibile) e trovarmi di fronte allo sbarramento che porta al settore ospiti. A questo punto torno indietro, gettando ancora una volta lo sguardo sulle ammalianti cancellate retrò e riprendendo la via del centro storico, puntando più precisamente Porta San Tomaso, da cui sento provenire diversi cori e che scoprirò esser un punto di ritrovo degli ultras di casa. A più riprese si alzano i cori contro Mestre e quando da lontano sento le sirene capisco che gli arancioneri sono arrivati in stazione e la polizia li sta scortando allo stadio. Dopo qualche minuto, infatti, ecco sfilare i sempiterni bus arancioni con ampia scorta avanti e dietro. A questo punto pure per me è arrivato il momento di entrare, così mi incammino costeggiando il corteo spontaneo formato dai ragazzi della Curva Sud. Prima impressione: realtà molto inquadrata, palesemente schiva a riflettori et similia, chiari e ormai storicamente radicati riferimenti politici anche nel vestiario e l’impressione è che, sebbene i numeri non siano il loro forte, quest’oggi siano arrivati più che preparati anche sotto quel punto di vista. Cosa di cui avrò conferma dentro.

La tribuna centrale ha registrato sold out già i primi giorni di prevendita, mentre la Cuva Sud fino al sabato registrava circa 800 ticket venduti. Considerato che la capienza è di 2.000 spettatori, direi che se i biancazzurri non sono arrivati a mille poco ci è mancato. Su fronte ospite, invece, saranno circa 250 i presenti. A tutti i sopraffini analisti di numeri, ricordo che ogni tifoseria ha un suo bacino di utenza, una sua storia calcistica e un suo trend momentaneo. In virtù di tutto questo mi sento di dire che i 3.124 spettatori paganti sono davvero un dato importante a queste latitudini (ma non solo). E lasciano intendere quanto la sfida sia sentita.

A pochi minuti dal fischio d’inizio ecco entrare anche il contingente mestrino. Ora è veramente derby! Subito partono le rispettive offese, con i trevigiani che incalzano sul coro “Noi odiamo Castelfranco, noi odiamo Venezia (e Mestre!), noi odiamo la Spal, ma il Treviso noi amiam!” e i dirimpettai che rispondono per le rime, non dimenticando frecciatine all’ex Dario Sottovia, attaccante locale che in settimana ha gettato benzina sul fuoco ironizzando sul numero di tifosi mestrini che avrebbe presenziato al Tenni. Quello che subito risalta all’occhio è la differenza di stili con cui le due curve impostano il loro tifo: filo britannico quello dei trevigiani, con i classici cori secchi, a rispondere e composti su basi musicali in voga negli stadi d’Albione. Senza dubbio un modo di tifare che riprendere a grandi linee quello della Sud veronese. Su fronte opposto, invece, gli arancioneri fanno ampio uso del tamburo, accendono qualche fumogeno e sostengono la propria squadra riprendendo alcune delle hit più gettonate ultimamente dalle curve italiane. Come ho già avuto modo di dire, trovarsi al cospetto di due modi differenti di intendere lo stadio è senza dubbio salutare e invita a tutta una serie di riflessioni su quanto, ormai, troppo spesso nel nostro Paese si tenda a fare il compitino recitando il copione più avvezzo ai social e ai trend topic del momento.

Dei supporter biancazzurri apprezzo in assoluto la buona fattura degli stendardi, tirati su a più riprese durante la partita. Mentre, se devo muovere una critica: il loro tifo non sarebbe neanche male, peccato si concedano qualche pausa di troppo tra un coro e un altro. Ma credo che faccia parte del loro stile, quindi sarei più onesto nel dire che forse non è proprio il mio genere, seppure ne rimanga complessivamente ben impressionato. Va anche detto che, rispetto a una “normale domenica”, l’alto numero di presenti non facilità la coordinazione continua e costante del tifo. Molto belle, comunque , le manate che a più riprese coinvolgono tutto il settore. Significativa l’esultanza al gol siglato da De Respinis all’89’, con cui padroni di casa vincono un derby oggettivamente brutto ma teso fino all’ultimo secondo.

Capitolo mestrini: ho avuto modo di vederli un paio di volte in vita mia (la prima a Teramo in Serie C, la seconda a Pomezia in occasione di un playoff di Serie D). In ambo i casi mi hanno ben impressionato da un punto di vista del tifo, anche perché far ripartire il movimento dopo anni di inattività calcistica non dev’esser stato per nulla semplice. Ma è lapalissiano dire che a Mestre la tradizione tracciata negli anni ottanta e proseguita anche nei novanta, con la ripartenza dopo la cancellazione del vecchio club a causa della fusione voluta da Zamparini, non sia mai morta. Tanti sono i giovani che oggi gestiscono la Nord e che, con tutte le difficoltà del caso, riescono sempre a produrre un qualcosa di buono. Anche per loro vale un po’ il discorso fatto per i dirimpettai: quando si è abituati ad avere uno zoccolo duro fisso di 60/70 persone è chiaramente difficile ritrovarsi con numeri ben più grandi e oleare sin da subito gli ingranaggio. Tuttavia la performance è di buon livello, con ottimi picchi rappresentati da cori a rispondere e manate e un paio di bomboni esplosi durante i novanta minuti a dar un tocco di pirotecnica al derby. Malgrado la sconfitta, dopo il triplice fischio ci sono applausi per il Mestre, che perde la testa della classifica ma si dimostra comunque squadra arcigna e valida. Il vero neo, per gli arancioneri, rimane il vecchio e glorioso Baracca. Impianto che non può tornar utilizzabile in caso di Serie C e che, di conseguenza, complica terribilmente i progetti sportivi del club. Anche per questo, probabilmente, negli ultimi anni si è assistito a un calo di spettatori: il pubblico “normale” non vede prospettiva e pensa di non poter andare oltre il massimo gradino del dilettantismo. Del resto su tutto il territorio veneziano/mestrino quello dello stadio (ma degli impianti sportivi in generale) resta un problema irrisolto e annoso.

Grande festa della Sud, che per diversi minuti gioisce assieme alla squadra mettendosi in mostra anche con una sciarpata. Dopo un avvio di campionato titubante, questa vittoria fa il bis a quella conquistata la settimana precedente sul campo del Portogruaro e proietta i biancazzurri nelle zone alte della classifica. L’entusiasmo sembra esser tornato prepotente al Tenni e vedere questo vecchio campo di provincia così vicino ai giocatori è sicuramente un piacere, che conclude alla grande una giornata particolare nel suo insieme. Almeno per me.

Ultimi sfottò e poi è tempo di recuperare il mio documento e correre verso la stazione. La domenica non è ancora finita, per la prima volta metterò piede al Pala Taliercio per una partita del Basket Mestre. Ripercorro tutti gli alveoli stradali del centro di Treviso. Li rimiro con piacere e con altrettanta soddisfazione mi lascio alle spalle un pomeriggio che per l’ennesima volta mi ha dato l’opportunità di conoscere un posto nuovo e arricchire il mio modo di ragionare non solo in termini di tifo organizzato. Resto un fervido sostenitore della trasversalità italiana in fatto di stadio. Passare da Nord a Sud e viceversa rappresenta uno stacco a dir poco vitale, per ringiovanire la propria fantasia e la propria passione curvaiola.

Il treno muove lentamente i suoi primi passi verso Mestre. La Marca Trevigiana tutto d’un tratto passa sotto i miei piedi e finisce alle mie spalle. Esattamente come questa storia da scrivere e questo derby ormai già raccontato!

Simone Meloni