Che la criminalità organizzata tenti da sempre di invischiare nel proprio circolo vizioso ogni sfera di pubblico dominio, per corromperla ed agevolarla così da avere un ampio bagaglio di putridi consensi, oppure meno anime che si scaglino contro certi sistemi fraudolenti, è dato acclarato da tempo: in Paesi ove sia possibile rivoltare l’illecito in lecito, avendo tutele legali che garantiscano di non incappare in contenziosi civili e penali, è abbastanza assodato che la fantomatica mafia abbia avuto la strada spianata.
In Italia i soggetti in prima persona coinvolti, direttamente attivi o collusi che siano, hanno in questi settanta anni di repubblica avuto praticamente libertà di azione. Vuoi per una classe politica e dirigente inconcludente ed enumerante tra le sue fila inquisiti e condannati per capi di accusa di stampo malavitoso. Vuoi per un impianto giurisprudenziale composto da infinite disposizioni e sfiancanti gradi di giudizio. Vuoi per una struttura mediatica completamente assente ed assoldata da quei poteri che dovrebbe denunciare e combattere con onestà intellettuale. Vuoi per l’inettitudine di ministeri alla pari di quello della Giustizia e degli Interni, i quali da decenni sviano costantemente sui punti essenziali, additando elementi estranei ai problemi come cause degli stessi, piuttosto che applicarsi pragmaticamente su direttive che possano apportare migliorie ai codici di procedura.
Nella fattispecie, il bersaglio preferito dai cervellotici burocrati di Roma e dai giornalai italioti negli ultimi tempi è stato (tanto per cambiare!) il movimento ultras, che si trova nuovamente sul banco degli imputati nonostante abbia subito una persecuzione manipolante per l’intero arco stagionale. In un nostro articolo di qualche giorno fa, si sottolineavano le cronache di due recentissimi eventi presumibilmente di malvivenza che pare abbiano interessato, marginalmente o completamente, degli esponenti di alcune realtà ultras italiane: malgrado sia stato egregiamente spiegato nel pezzo precedente, è bene che si rimarchino i concetti più rilevanti e non quelli che la stampa vorrebbe passassero.
In primis, fin da Adamo ed Eva, o dal Big Bang, – si scelga tra i due il più gradito – la mafia e le associazioni a delinquere al seguito hanno cercato di radicare i loro tentacoli nei centri di aggregazione che potessero assicurare netti guadagni e rotonde utilità, sia che si tratti di fruizione di sostanze psicotrope, sia che il business abbracci la detenzione impropria di biglietti di ingresso; l’indispensabile è che le entrate (rigorosamente non dichiarate) superino le uscite (altrettanto losche) e soprattutto che nessuno si inframezzi nel fruttuoso commercio.
In secondo luogo, tutto ciò non ha nulla a che spartire con gli ultras e l’ideologia intrinseca nella dedizione riservata ad un sentimento: i media non capiscono che artiglieria pesante e armamenti vari non siano parte di questa cultura. L’esempio più lampante di quali vette possa raggiungere il livello di mistificazione di rotocalchi ed emittenti dalla impareggiabile faziosità è riconducibile ai fatti della finale di Coppa Italia del 3 maggio scorso, con protagonisti l’unica vittima C. E. e il carnefice sbagliato G. D. T.: la facilità della decodificazione degli accadimenti sta nella condizione che sia maggiormente agevolante e meno impegnativo recensire a metà e riportare le peripezie di un “mostro” che possa essere sbattuto in prima pagina. In questo modo, G. ‘a C. è assurto ingiustificatamente e meschinamente alla ribalta in quanto icona della peggiore indecenza, mentre il presunto sicario D. S., su cui gravano attualmente i maggiori sospetti del sangue grondante del defunto C., è citato soltanto in qualche capoverso e viene derubricato, tralasciando che si sia macchiato di un gesto assolutamente non confacente con la mentalità e i valori ultras.
Perché questo non si riesce a cogliere, che l’ultras sia passione, abnegazione, spirito di condivisione, di attivismo, di mobilitazione per un ideale. E che per il perseguimento di una tradizione popolare, necessita di proliferazione e di testimonianza, affinché si tramandi da padre a figlio, da generazione a generazione. Ultras significa amore incondizionato, disinteressato, non corrisposto ma comunque profondo ed intenso, non certo la sintesi delle truculente conseguenze di un grilletto facile né di un regolamento di conti; chi senta sua una data forma mentis, denota eccedenza persino nell’uso di spranghe e bastoni, figurarsi di una pistola.
La corrente ultras è convocata a dare risposte di perseveranza e continuità in un periodo ostico come questo. In virtù di ciò dovrà sforzarsi affinché non passi che sia una costola della criminalità o la corsia preferenziale per l’attuazione di manovre fraudolente di contorti affari, che possono portare solamente allo sfaldamento di quel legame indissolubile e viscerale tra il sostenitore ed un’idea immortale, che inquadra stadio, gradoni ed emotività in un connubio indissolubile.
Alex Angelo D’Addio.