Dall’interno dello stadio si sentono i tifosi tifare da fuori, dal ponte sotto la tribuna e questa volta no, non è a causa di incidenti tra tifoserie che la partita si gioca a porte chiuse, è a causa del virus che il calcio chiude le sue porte. Quel Coronavirus forse inizialmente troppo sottovalutato e che sta mettendo il sistema sanitario nazionale a dura prova.

Il clima all’interno dello stadio è spettrale, si sentono distintamente le urla dei giocatori e le indicazioni tattiche dei due tecnici, anche quelle impartite a bassa voce: si sente tutto ed è veramente surreale.

Gli spalti vuoti come se fosse un allenamento prepartita in cui vengono definite le ultime impostazioni tattiche al riparo da occhi indiscreti.

Questo è il resoconto di Venezia-Cosenza, coi tifosi fuori che cantano, sia i ragazzi del gruppo “1987” sia quelli del gruppo “curva sud veneziamestre” assieme a qualche ragazzo di Cosenza, tifoseria gemellata. Gli ultras non hanno voluto mancare di far sentire la propria voce alle squadre, seppur in un numero risicato ma significativo: la partita è fondamentale per non sprofondare ulteriormente nei bassifondi di una classifica deficitaria, mentre il Cosenza che naviga in acque ancora peggiori, prova a riagganciare la zona playout.

C’è una riflessione da fare in questo contesto, è giusto oppure no far disputare le partite a porte chiuse senza peraltro rimborsare il costo delle partite perse agli abbonati? O sarebbe più giusto rimandarle, non farle giocare proprio? Finire qui un campionato che si è deciso, per ora, di continuare nonostante un clima da coprifuoco, con i divieti che vengono imposti anche a esercizi pubblici e uffici, palestre e scuole, matrimoni e funerali?

Forse no, forse sarebbe più giusto anteporre la sicurezza della popolazione a partite giocate in stadi deserti, senza tifo né tifoserie, il cui unico pubblico è rappresentato da forze dell’ordine e steward oltre a giornalisti e dipendenti delle società.

Altro non possiamo fare che sperare che questa situazione venga presto superata e si torni a giocare regolarmente a porte aperte a partire dalla prima settimana di aprile, ma se così non fosse sarebbe più giusto ripensare le cose e valutare le priorità, che in questa situazione non è certamente quella del campionato di calcio ma la salute di decine di migliaia di persone

Luca Marchesini