Non ne abbiamo mai fatto mistero: parliamo di ultras dal 2003 ma il più delle volte ciò avviene attraverso il nostro personale punto di vista, per questo preferiamo di gran lunga quando a parlare sono direttamente loro, gli ultras, in prima persona. Le interviste sono un nostro vecchio pallino ed è sempre bello quando ne riusciamo a raccoglierne una, ancor più quando, come nel caso del “Commando Neuropatico” della Sancataldese, si riesce a trarne interessanti spunti di riflessione, fuori dalla solita stucchevole retorica ultras. Proprio secondo questa stessa spesso stupida retorica, avvitata attorno a triti frasi fatte, l’ultras dovrebbe ossequiare una non meglio intesa ortodossia per potersi meritare il regno dei cieli o il titolo onorifico di “Duri & Puri”. Più verosimilmente c’è chi per prudenza dovrebbe trincerarsi dietro un serrato silenzio per non dare corpo ad immani fesserie e c’è invece chi può parlare a viso aperto, a prescindere da luoghi, tempi e modi, perché ha intelligenza sufficiente da usare a proprio vantaggio il potere immenso della parola.
Un grazie di cuore ai ragazzi del “Commando Neuropatico” e un personale invito a tutti i nostri lettori di spendere parte del proprio tempo per questa intervista davvero interessante.
Spazio al botta e risposta… 

 

Fanzine e Social network due modi differenti di comunicare….

Ricordiamo con piacere e nostalgia le fanzine di una volta, ma anche le interviste dei gruppi Ultras nelle riviste dedicate al panorama dei tifosi; la carta ha sempre quel fascino suggestivo che non ha eguali. Oggi c’è internet e soprattutto i social forum da tutti utilizzati o semplicemente letti e da tutti criticati.

La nostra posizione è decisamente controcorrente, riconosciamo ai nuovi mezzi di comunicazione un ruolo importante con una forza comunicativa che potrebbe e dovrebbe essere utilizzata meglio da chi Ultras lo è veramente e continua ad esserlo nelle opportune sedi; lasciamo invece questa enorme fonte comunicativa e di confronto in balia di persone con evidenti limiti mentali e caratteriali, che poco hanno a che fare con il mondo Ultras vissuto. Di conseguenza intere generazioni senza un’identità Ultras, senza alcuna originalità, scopiazzano ed imparano a memoria frasi fatte, luoghi comuni, o esempi fuori luogo per le loro realtà. Noi siamo contro tutto ciò che è la brutta copia di qualcosa o qualcuno…

La bellissima frase “di padre in figlio” è diventata un’ ossessione: si utilizzano bimbi solo per postare una foto o un video, senza trasmettere niente. Bimbi lanciacori che non capiranno mai il valore e la gavetta che va fatta prima di far partire un coro. Se all’inizio era una trovata simpatica e goliardica oggi è diventata una stancante mania.

Allo stesso modo non ci piacciono le foto di ragazzi con le maglie dei gruppi Ultras che si fotografano – per esempio – in zone terremotate e le postano sui social scrivendo l’inflazionatissima frase “di questo i tg non ne parlano”. La solidarietà è un gesto nobile, da trasmettere in maniera altrettanto nobile; mai deve essere uno strumento per guadagnarsi stima o notorietà, così come non lo devono essere le migliaia di messaggi e striscioni nei confronti degli Ultras che muoiono: spesso è sciacallaggio.

Un altro effetto negativo dell’utilizzo sbagliato dei social è quello per il quale oggi basta fare uno striscione di carta, appenderlo sul proprio balcone, fotografarlo ed eccoci in prima fila su tutti i social per lanciare il nostro messaggio o la nostra minaccia o le nostre condoglianze.  Noi preferiamo modi diversi: un profilo più basso, il mio messaggio te lo scrivo sulla carta quando ti ho di fronte. Ci fermiamo qui, ma ci sono anche altri esempi negativi.

 

Intelligente la destrutturazione del mito “di padre in figlio”, chiediamo la vostra anche su un altro mito ossessivo e spesso acritico: “Acab”. Che ne pensate e che rapporto avete con le forze dell’ordine?

Partiamo dall’idea che non ci piace tutto quello che è preconfezionato; di conseguenza anche l’acronimo Acab o il più moderno 1312 non fanno parte del nostro gergo, anzi siamo tra i pochissimi gruppi Ultras a non fare cori contro le forze dell’ordine. Troppo facile, troppo scontato e a tratti infantile. Non abbiamo mai pensato che tutti gli “sbirri” siano bastardi o infami, e il fatto di vivere in una piccola città, dove il carabiniere di turno può essere tuo zio o tuo fratello accentua questa nostra sensazione. Sappiamo che puoi trovare quello intelligente così come quello idiota, è così ovunque, anche tra gli Ultras. Guai a generalizzare.

La questione di fondo è un’altra: ci troviamo a condividere uno spazio comune con ruoli talvolta opposti, dove le parti senza rendersene conto ubbidiscono ciecamente a un disegno precostituito, scritto dai potenti del pallone, che negli ultimi anni hanno dato dei poteri immensi alle forze dell’ordine. Ora, se l’ordine pubblico viene gestito da una persona che ha una certa flessibilità mentale e intelligenza operativa, la situazione non degenera, se al contrario il responsabile di turno è un deficiente con caratteristiche caratteriali di basso profilo, utilizzerà l’enorme potere che gli è stato concesso nella maniera peggiore.

Il nostro rapporto con le forze dell’ordine dipende da chi domenica dopo domenica ci troviamo di fronte, dipende da cosa vogliono da noi e dipende soprattutto da come si pongono nei nostri confronti. Ed è proprio nel confronto che non ci siamo mai tirati indietro: abbiamo sempre sostenuto le nostre ragioni a testa alta, faccia a faccia, senza mai permettere a nessuno di sentirsi superiore a noi, chiunque esso sia. Siamo persone gli uni e gli altri e in quanto tali abbiamo sempre preteso rispetto e allo stesso tempo lo abbiamo dato a chi lo ha meritato. Poi, senza falsi moralismi né inutili piagnistei, sappiamo che a volte ci troviamo in situazioni in cui le nostre reazioni o azioni che siano sono punite dalla legge. A tratti non condividiamo, a tratti possiamo anche capire la legge e chi la applica e ne subiamo le conseguenze, consapevoli di quello che facciamo.

Per concludere, non gli abbiamo mai fatto un coro contro, ma allo stesso tempo, non abbiamo mai chiesto un permesso o una scorta. A volte abbiamo osato, a volte ci hanno lasciato fare, altre volte siamo andati oltre, a volte ci siamo capiti con lo sguardo, talvolta il confronto a quattr’occhi è stato cordiale, a volte aspro e rischioso. È il nostro modo di essere. Tuttavia il discorso va contestualizzato alla realtà San Cataldo, in altre città magari le situazioni sono totalmente diverse e di conseguenza è diverso l’approccio tra gli uni e gli altri.

 

La politica, tra chi la ritiene ulteriore collante per i gruppi a chi la giudica strumentalizzante ed escludente. Voi come vi collocate in merito?

La politica in senso stretto è qualcosa di stupendo, perché racchiude in sé l’interesse per la cosa comune: la città, lo Stato, la vita pubblica, l’arte e la tecnica di manifestarsi nelle innumerevoli sfaccettature che la riguardano. Politica è discussione, è confronto, sono idee talvolta contrastanti che dialogano tra loro, politica è fatta di punti vista, politica è esercizio per la mente.

Noi facciamo politica tutti i giorni e spesso partiamo da idee distanti tra loro, riuscendo quasi sempre a trovare un punto comune dove far coesistere le diverse riflessioni. Politicamente parlando il punto di vista del Commando Neuropatico è meravigliosamente variegato. Talvolta e su determinati argomenti interessato ed informato, su altri superficiale e disinformato. Per quanto attiene la vita da stadio, cerchiamo di non cadere nella trappola del Rosso e del Nero, che tante generazioni ha ingabbiato, atrofizzando il pensiero individuale. Come gruppo cerchiamo di allontanarci il più possibile dalle logiche del razzismo, anche se talvolta è complicato stabilire i confini tra razzismo, goliardia, permissivismo, superficialità, etc etc.

 

Gli Ultras… Ieri, oggi, domani che idea vi siete fatti ?

Da un certo punto di vista non è cambiato nulla. Ragazzi che sentivano e sentono la necessità di aggregarsi e di ritagliarsi uno spazio all’interno di una società che non dà spazio né possibilità di autodeterminazione. Era così in passato e lo sarà in futuro, con tutte le contraddizioni che un movimento così complesso porta dentro di sé.

Quello che è cambiato è tutto quello che ruota attorno al nostro mondo. Sono cambiate le mode, le leggi, prima tutto era più spontaneo, Ultras era passione, colore, folclore, irruenza, non esistevano schemi precostituiti; oggi è tutto più rigido, meno spontaneo, ci si scontra su appuntamento, stabilendo regole numeri, etc etc. A nostro avviso questo è l’anti-ultras. Poi sono anche cambiate le regole del calcio e purtroppo è cambiato anche il ruolo degli Ultras all’interno dello stadio.

 

In che senso il ruolo degli Ultras ?

Dobbiamo cambiare prospettiva di analisi per comprendere questa nostra riflessione. Non più la nostra prospettiva, ma quella di chi questo mondo lo gestisce, lo controlla e ne trae dei profitti. Li chiameremo i Padroni del Pallone. Loschi individui che in passato avevano bisogno degli Ultras, delle curve colorate, degli stadi pieni. Lo stadio era, grazie agli Ultras, quel mondo suggestivo dove generazioni e classi sociali diverse si incontravano e più gente c’era, più i loro profitti erano maggiori perché gli sponsor pagavano a seconda di quanti spettatori c’erano negli stadi. E noi gli stadi li riempivamo.

Oggi succede l’esatto contrario: per massimizzare i profitti bisogna restare a casa davanti la Tv, con un abbonamento alla pay t. Un tifoso rende molto di più in questo modo. Ecco che il nostro ruolo cambia, ora siamo un ostacolo, sia direttamente – perché siamo diventati potenziali utenti da divano – ma soprattutto perché diamo fascino alle curve, perché abbiamo ancora un’enorme forza attrattiva.

Per massimizzare i profitti l’Ultras va combattuto, in primis denigrato a mezzo stampa, bisogna creare delle situazioni di criticità o semplicemente approfittare di quelle che succedono casualmente. Pomparle a dovere tramite stampa e televisioni, in modo tale da giustificare determinate leggi che altrimenti non sarebbero state recepite dalla popolazione come inasprimento delle leggi per reati da stadio, biglietti nominali, trasferte vietate, partite settimanali, divieti di introdurre allo stadio materiale coreografico, permessi da chiedere, tessere e impedimenti vari che rendono lo stadio praticamente inaccessibile.

 

Tessera del Tifoso. Quale il vostro pensiero a riguardo ?

La tessera è solo l’ultimo degli espedienti utilizzati per distruggere gli Ultras e l’efficacia di questo strumento non sta tanto nel fatto di poter assistere o meno a una partita, bensì nello spaccare al suo interno il movimento. Ci sono riusciti in pieno.

È scontato dire che la tessera non va giù a nessuno e l’articolo 9 ancor di più, anche se di fatto questo articolo spesso non viene applicato, e talvolta invece viene applicato anche nell’emissione dei biglietti nominali. Noi riteniamo valide entrambe le posizioni che oggi si contrappongono a riguardo; sia chi per una questione di ideale o semplicemente per posizione presa rifiuta il tesseramento, sia chi per l’amore di essere comunque presente in trasferta e vivere il fascino della stessa decide di tesserarsi.

Noi per nostra fortuna non ci siamo mai trovati costretti a decidere a riguardo, ma se un domani dovessimo farlo, sarebbe dura perché abbiamo sempre pensato che la trasferta è il momento di maggior fascino, sacrificio, crescita, confronto che un gruppo possa avere. Ma allo stesso tempo noi non abbiamo mai chiesto un permesso, un aiuto, una scorta, abbiamo sempre agito liberamente secondo coscienza. Se dovessimo dire “No” alla tessera non sarà sicuramente per moda (oggi va di moda in molti casi) o per renderci la vita più facile, o per apparire più estremisti.

Se dovessimo dire sì alla tessera non sarà sicuramente per andare in trasferta, perché tanto lo sappiamo che poi decidono dall’alto dove è possibile e dove no. È già così a prescindere dalla tessera, lo faremmo forse per far sì che tutta la tifoseria nella buona e nella cattiva sorte sia unita, e quindi se in trasferta non ci andiamo noi, allora non ci va nessuno!

 

San Cataldo, se pur una piccola città, negli anni è stata abbastanza presente anche nella lotta contro la repressione e le problematiche che hanno coinvolto il panorama ultras. Esibizionismo o reale consapevolezza della questione ?

L’esibizionismo è una caratteristica che fa parte del Mondo Ultras, guai a negarlo. Ci esibiamo con cori, coreografie e atteggiamenti tali da attirare l’attenzione e rubare la scena ai ventidue in campo. Ci piace ricevere complimenti e far sapere al mondo che esistiamo: non sempre è una qualità negativa. L’importante è che quello che viene esibito sia reale, che l’esibizione non avvenga in maniera ridicola e che ci sia la sostanza e la capacità di relazionare in maniera dignitosa.

Noi ci sentiamo parte di un movimento e in quanto tali diamo il nostro piccolissimo contributo numerico, consapevoli che grandi idee possono nascere anche dai piccoli centri. Quello che può essere un dibattito o un confronto dialettico, riusciamo a portarlo avanti chiunque sia il nostro interlocutore.

La questione Ultras a tratti ci riguarda marginalmente, ma sotto altri punti di vista ci coinvolge e talvolta travolge prepotentemente, vedi i quasi 100 anni di Daspo che il nostro gruppo ha subito in questi anni. E allora abbiamo sentito la necessità di relazionare e ascoltare anche altri Ultras.

Abbiamo avuto la capacità di smuovere decine di persone a migliaia di Km senza che ci fosse una partita di calcio, ma semplicemente per un ideale Ultras. La capacità di organizzare il primo raduno Ultras Siciliano a cui hanno partecipato più di un centinaio di persone e varie iniziative nel territorio, volte a dare una informazione un po’ più reale sul nostro mondo. Senza mai rinnegare il nostro modo di vivere determinate situazioni.

Gradualmente ci allontaniamo sempre più dal calcio milionario. A oggi un’alta percentuale di ragazzi del Commando Neuropatico non ha alcun interesse per squadre di Serie A, non ha nessun abbonamento alle Pay Tv e questo cerchiamo di trasmetterlo anche alle nuove generazioni.

 

La vostra storia si è svolta esclusivamente in campionati dilettantistici, pensate sia un limite o è indifferente per l’attività Ultras ?

Indifferente sicuramente no, a tratti è un limite a tratti un vantaggio. È un limite perché i campionati professionistici ti danno la possibilità di confronti più interessanti e ti impongono una organizzazione logistica differente dal punto di vista delle distanze e del costo delle trasferte, specialmente per noi isolani.

Il vantaggio è evidente, spesso vivi in un mondo incontaminato, in uno scenario totalmente diverso da chi ha sempre disputato campionati professionistici. Andare in trasferta diventa più agevole dal punto di vista economico e logistico, ma arduo dal punto di vista degli stimoli e del clima che si respira in queste categorie. Tranne le eccezioni delle classiche tifoserie di passaggio, che invadono i campetti di provincia, con centinaia di tifosi e dettano legge quasi ovunque, la realtà è fatta di gruppi Ultras di 20/40 unità che girano campetti spesso senza settore ospite, con assenza di forze dell’ordine, tutti appassionatamente nella stessa  tribuna.

Di conseguenza impari a rispettare ed impari anche a farti rispettare, altro che gesticolare da dietro una vetrata. Abbiamo vissuto decine e decine di situazioni e scazzottate genuine, con Ultras, tifosotti di paese e mafiosi del luogo, talvolta circondati da centinaia di spettatori, situazioni che taluni in altre categorie non hanno mai vissuto e non vivranno mai. E allora non rinnegheremo mai quei campetti polverosi e quelle categorie dove abbiamo vissuto gli anni più belli della nostra vita Ultras, campetti che ci hanno insegnato tanto.

 

Codice Ultras, Mentalità Ultras: cosa significano per voi ?

Tutto e niente. Nella vita prima di essere Ultras dobbiamo imparare ad essere Uomini con la U maiuscola, perché Ultras lo puoi essere in mille modi diversi, Uomini è molto più complicato. Non pensiamo che esista un codice Ultras, tutto è relativo alle situazioni che si verificano, alle città dove si vive, a chi si ha di fronte e alle problematiche interne ai gruppi.

Nella nostra piccola realtà del centro Sicilia proviamo a non perdere mai di vista delle parole importanti come “Dignità”, “Coerenza”, “Rispetto”, “Aggregazione”. Parole che ci insegnano tanto sia nell’essere Ultras che Uomini. Ci siamo aggregati formando un gruppo Ultras, amiamo la nostra città e ci piace portare in giro il nostro modo di essere. Quella che noi chiamiamo la Sancataldesità, quel sentimento che ti stampa in volto la fierezza di sentirti Sancataldese, cerchiamo di farlo con coerenza e dignità nel rispetto altrui, e siamo pronti a farlo ovunque, comunque e contro chiunque, attenendoci a regole e filosofie nostre, ma con la consapevolezza di far parte di un modo contraddittorio, dove ognuno ha le sue regole e dove talvolta le regole della strada prendono il sopravvento su quelle che sono le regole Ultras che ognuno di noi si impone.

 

Il modello del tifo Italiano, sembra aver perso fascino: siamo realmente indietro rispetto al tifo dell’est?

Due mondi, e di conseguenza modelli, attualmente imparagonabili. L’Italia Ultras è da oltre un decennio sotto attacco, impossibilitata a manifestare il proprio fascino, stiamo combattendo una guerra senza armi, contro un nemico dotato di armi micidiali.

Nei paesi dell’Est, ma, se vogliamo anche nel nord Africa – buon per loro – vivono nel massimo splendore e libertà d’azione. Bellissime coreografie come l’Italia ha insegnato, ottimo sostegno corale come insegnato dai Britannici, per il resto ci pensa il fisico e tanta attività in palestra. Onestamente sono belli da vedere, belli da sentire e brutti da incontrare. Oggi va molto di moda questo modello tra i giovani sbarbatelli, tante scimmie che copiano senza consapevolezza, che elogiano senza conoscenza, che si masturbano vedendo sfilare a corteo bei ragazzi dal fisico esplosivo, possibilmente ben tatuati ed obbligatoriamente a torso nudo nelle prime file.

Noi gli riconosciamo il ruolo importante che si sono ritagliati nel panorama mondiale, ma restiamo ancorati al nostro mondo, quello fatto di pance pelose, di vino e birra, di tamburi e striscioni, di torso nudo solo se c’è estremamente caldo, o per goliardia, freddo, neve e pioggia, consapevoli di vivere nella nazione con il maggior numero di città e paesi in cui c’è aggregazione ultras.

A differenza della maggior parte dei paesi al mondo, questo tipo di aggregazione la si trova solo nei grossi centri, mentre in Italia anche una semplice parentesi Ultras la trovi praticamente ovunque: ecco perché il modello Italiano è così complesso e particolare, che difficilmente può essere paragonato con quello di altri Stati e difficilmente può essere definitivamente cancellato.

 

Commando Neuropatico storia ed organizzazione…

Commando Neuropatico nasce come striscione per  colorare le ringhiere della gradinata, nella trionfale stagione 1994/95. Dopo qualche anno, a causa di una violenta pioggia e conseguente allagamento dei magazzini dello stadio, un cumulo di stracci e striscioni putridi viene accumulato per essere buttato. Qualche ora prima che il camion caricasse il tutto, un ragazzo raccolse tutto quello che riuscì, tra cui il lungo striscione Commando Neuropatico, che venne ripulito e asciugato.

Lo portò con sé e cominciò a girare i campi del sud Italia. Dal 2002, dopo un incontro con una decina di ragazzi, Commando Neuropatico diventa un gruppo Ultras. Da quel momento in poi, sempre presenti. Oggi, a distanza di 15 anni, Commando Neuropatico conta una settantina di persone, più o meno attive, 3 o forse 4 generazioni, una sede che autogestiamo da 10 anni, tantissimo materiale prodotto e soprattutto persone totalmente diverse, per stato sociale, cultura, idee, età che riescono a stare unite nel nome del Commando.

Non abbiamo un direttivo, non abbiamo capi né sottotenenti, tutto avviene con naturalezza e rispetto di una gerarchia che si è creata nel tempo e in base a quello che ognuno può dare al gruppo. Di conseguenza se tizio è più capace a ideare una coreografia e viene riconosciuto tale, sarà quello che avrà l’ultima parola, dopo aver ascoltato le osservazioni degli altri. In pratica poi 4/5 persone sono quelle che hanno maturato più esperienza, ma non pensate che tutte le decisioni vengano prese nel massimo della calma e dell’ordine, il confronto talvolta è aspro e combattuto, ma alla fine l’unione del gruppo ha sempre prevalso e quelli di 15 anni fa siamo quasi tutti ancora attivi.

 

Tra i rapporti delicati del mondo del tifo, ci sono quelli con le società e con i calciatori. Come li gestite? Credete o avete mai creduto nelle bandiere?

La Sancataldese Calcio è una società che ha sempre disputato campionati dilettantistici, quindi gli interessi che ruotano attorno a questa società non sono mai stati importanti e di conseguenza il dialogo è sempre stato abbastanza sereno, anche perché i  presidenti che si sono alternati sono stati sempre Sancataldesi. A chi negli anni ha gestito il tutto abbiamo chiesto soltanto di esistere, a chi ha indossato la maglia verde amaranto abbiamo chiesto impegno e rispetto.

Nel 2004 abbiamo rischiato seriamente il fallimento, parecchie squadre locali vivevano grazie al cospicuo contributo comunale, ma i tempi erano cambiati e si è passati da un eccesso all’altro. A promesse non mantenute, a presidenti che consegnavano la squadra nelle mani del sindaco. Noi eravamo nati da pochi anni e seppur inesperti abbiamo da sempre lottato per evitare il fallimento. Un anno abbiamo invaso l’aula consiliare durante una seduta del consiglio comunale, prendendo la parola e sospendendo la seduta. Qualche mese dopo la situazione era arrivata al limite: disfattismo generale, mancanza di fiducia e solite lamentele di un popolo inerme. La Sancataldese interessava solo al Commando Neuropatico e così, tra lo scetticismo generale, abbiamo preso e gestito tutto noi.

Abbiamo preteso di ricevere tutte le carte: contabilità, registri e timbro con matricola. La situazione era disastrosa, ma abbiamo scritto una delle più belle pagine del gruppo, evitando il fallimento e riuscendo a ottenere il ripescaggio nell’anno successivo. Arrivammo primi in graduatoria, una società che arrivò prima delle non ripescate ci offrì 20.000 euro per rinunciare al ripescaggio, così sarebbero rientrati loro. Nonostante fossimo tutti ragazzi senza un euro in tasca, rinunciammo per orgoglio e soprattutto perché il campionato d’Eccellenza dell’anno successivo si prospettava pieno di confronti interessanti sugli spalti.

Loro ottennero lo stesso il ripescaggio, in quanto un’altra società rinunciò e il caso volle che la prima giornata giocammo contro: loro lo squadrone da battere, noi la probabile Cenerentola del girone. Ebbene pareggiammo 0-0. Fu l’ultima partita di gestione Commando, riuscimmo a trasmettere all’ambiente fiducia e coinvolgere persone che avevano maggior disponibilità economica rispetto a noi.

Questa esperienza da dirigenti-Ultras ci ha lasciato qualcosa dentro, ci sentiamo e ci sentiremo sempre parte del progetto, ci sentiamo i garanti, quindi non accettiamo che si possa prescindere da noi. Cerchiamo di farlo con intelligenza, lasciando che le decisioni vengano prese da chi gestisce, ma restiamo sempre guardinghi e quando serve, pretendiamo diritto di parola. Comunque, nonostante qualche punto di vista divergente, i rapporti attualmente sono buoni e incentrati sul dialogo reciproco.

Per quanto riguarda i calciatori non abbiamo rapporti particolari, non facciamo cori per loro, ma solo per la squadra. Pretendiamo solo rispetto e professionalità. Sappiamo che quello che fanno lo fanno per mestiere e quindi quando valutano dove giocare, tra i vari aspetti, quello economico riveste sempre un ruolo primario. Non ci sono problemi, ma l’impegno non deve venire mai meno. In passato siamo anche arrivati alle mani, con irruzioni negli spogliatoi a fine partita. Oggi le cose sono un po’ cambiate, ma il rischio è sempre dietro l’angolo.

Le uniche bandiere che conosciamo sono quelle che occupano i gradoni della curva, ci sono calciatori che verranno sempre ricordati con stima e con estremo piacere, ma non oltre: sono degli stipendiati ed è giusto così. 

 

Per finire la classica domanda su amicizie e rivalità

Alla classica domanda cerchiamo di non rispondere con la classica risposta, ma proviamo a spiegare cosa vuol dire per noi amicizia e rivalità. “Molti nemici, Molto onore” scriveva anni fa una nota tifoseria Italiana e questa frase è stata utilizzata e spesso abusata da tantissimi gruppi Ultras.

Il nostro punto di vista, naturalmente è differente. Partiamo dal presupposto che una città ostile o una tifoseria rivale non hanno mai rappresentato un limite alla nostra presenza, anzi l’esatto contrario, uno stimolo a essere presenti e possibilmente in numero adeguato, quindi tutto più semplice. Al contrario portare avanti  con onore un’amicizia con un altro gruppo Ultras è compito arduo, ci vuole tanto spirito di sacrificio, ci vuole lungimiranza, ci vuole condivisione, ci vuole sensibilità, rispetto, vicinanza, ma non invadenza. E allora a nostro avviso meritano più onore quei gruppi che sono riusciti a conservare nel tempo splendidi rapporti con ragazzi di altra fede calcistica ed altre città.

 

Intervista realizzata da Simone Meloni.