Quattordici anni. Tanto è il tempo passato da quel pomeriggio di inizio novembre. Una data che per molti di noi ha segnato un punto di svolta sia nel modo di vedere lo stadio che in quello di vivere le nostre quotidianità. Quattordici anni è un lasso di tempo lungo ma breve se preso con un metro storico. Tanto breve che quanto accaduto quel giorno a Badia al Pino è ancora fresco, e malgrado sia riuscito ad emergere e a creare un movimento d’opinione e di contestazione verso determinati atteggiamenti delle istituzioni e delle forze dell’ordine, funge da marchiana testimonianza di quanto nel nostro Paese, molteplici situazioni di questo genere passino sotto traccia o peggio ancora rischino seriamente di esser svincolate da qualsiasi giudizio o accusa.
Bisogna avere spalle forti in Italia per farsi carico di quella Verità che andrebbe sancita e difesa di per sé dalle istituzioni. Bisogna avere dietro una famiglia Aldrovandi, una sorella di Cucchi o una famiglia Sandri con il coltello fra i denti se si vuol pensare, anche solo lontanamente, che il torto di Stato venga messo in discussione. Sì, perché viviamo in un posto dove, nella logica della politica e dello scontro sociale, non si cercano mai le sfumature utili ad approntare analisi corrette ma quando di mezzo c’è una vita innocente spezzata da qualcuno che di questo apparato statale fa parte, allora si cercano quante più sfumature (o proiettili deviati) possibili. Nella piena tutela del presunto reo. Cosa giusta, sia chiaro. Se però fosse pratica bidirezionale, garantista ed utilizzata in egual modo. E se fosse pratica richiesta da chi sovente le vittime riesce ad ucciderle più volte: il circo mediatico.
In quel contesto storico che era reduce dalla morte dell’Ispettore Raciti ai margini del derby Catania-Palermo e che viveva nel calcio le prime forti limitazioni di libertà personali quali spostamenti e accessi in luoghi pubblici come gli stadi (prove tecniche per la tessera del tifoso), alla maggior parte dei giornali mainstream non parve vero di poter gettare benzina sul fuoco, perorando le politiche governative in fatto di ordine pubblico e non provando per lungo tempo a farsi domande scomode o cercare la verità dei fatti accaduti quella mattina. Nulla di nuovo ovviamente. È da sempre e lo è ancora oggi il modus operandi di un certo tipo di stampa italiana. Quella che riesce incredibilmente a spostare opinioni, pilotare scelte e isterie anche oggigiorno.
Quattordici anni dopo non viviamo un’epoca così lontana dalle conferenze stampa bulgare del Questore di Arezzo. Ve la ricordate, vero? Nessuna domanda ammessa. Quattordici anni dopo possiamo ancora sentire i peti di sindacati degni della più poliziesca delle dittature che, pur di tutelare Spaccarotella, cercarono in ogni modo di giustificare la morte di un cittadino italiano. Perché – malgrado la retorica comune – non è sempre vero che tutte le vite sono uguali tra loro. Quattordici anni dopo nel mondo verbale e fattuale della politica non ci scandalizziamo se deputati, senatori ed esponenti vari si scagliano per partito preso e per qualche manciata di voti (oggi tramutati in like sui social) contro il cadavere del mostro sbattuto in prima pagina senza un briciolo di approfondimento. Ieri “se l’è cercata” perché andava in trasferta, oggi magari “se l’è cercata” perché ha espresso a voce alta una propria idea. Il reato di voler vivere e volersi godere la vita è molto più attuale di quanto possiamo realmente credere.
A quattordici anni di distanza voglio nuovamente gettare una secchiata di fango in faccia a tutti quelli che definirono feccia i ragazzi di Bergamo, quelli di Taranto e tutti quelli che nel resto d’Italia, quella domenica, intervennero affinché non si disputasse una vergognosa partita. La moralità, a quella si appigliano questi moralisti. Ma che cos’è la moralità? È per caso quella di Clarence Seedorf che si rifiuta di osservare il minuto di silenzio perché “non so chi sia” salvo poi onorare morti e ricorrenze altrettanto sconosciute?
Mai più 11 novembre. Non dev’essere solo un motto ma un obiettivo da perseguire e ribadire ad alta voce giorno dopo giorno!
Simone Meloni