Nell’autunno del 2018 chiediamo ai ragazzi della Curva Nord di Bergamo se fossero disponibili ad un’intervista e la loro risposta, positiva, arriva abbastanza rapidamente. Un po’ più complesso invece riuscire a conciliare tempi e luoghi di ciascuno, visto che alle nostre ed alle loro latitudini l’ultras di professione non esiste e la passione deve necessariamente incastrarsi con gli impegni di lavoro e di famiglia.

Fa un po’ strano pensare che anni ed anni fa sfogliavamo avidamente “Supertifo” per leggere le interviste ai gruppi storici ed ora ti trovi a farle, ma questo – senza falsa modestia – ci riempie di orgoglio e ripaga un impegno che dura da 15 anni.

Si arriva così a mercoledì 28 novembre 2018, la crew di Sport People (Valerio da Livorno, Simone da Roma, Lele della provincia di Lecco) si ricongiunge a Milano e parte verso il capoluogo orobico. Pranzo in trattoria e poi immancabile giro a Bergamo Alta, in attesa dell’ora concordata.

Ci troviamo a poche centinaia di metri dallo stadio, i nostri interlocutori non ci portano al “Covo” ma in una piccola vineria, dove, tra un bicchiere di rosso ed una fetta di salame, il registratore parte. Peccheremo magari un po’ di inesperienza, quello sì, perché il tempo che abbiamo a disposizione non consentirà di completare tutte le domande che volevamo porre. L’intervista sarà completata dopo un po’ di mesi, complice principalmente un 2019 intenso per i nostri interlocutori, vuoi per le vicende sportive che li ha portati fino alla finale di Coppa Italia ed alla qualificazione in Champions League e vuoi per le iniziative di controinformazione dopo i fatti di Firenze e a sostegno del “Bocia”.

Intanto va detto che sia nel primo che nel secondo incontro l’età dei presenti (tra i 30 ed 40 anni) risponde implicitamente ad una delle domande che ci eravamo posti, relativa al ricambio generazionale. È evidente che se intorno al tavolo ci sono loro, pur in un contesto ultras in cui il cinquantenne non è l’eccezione ma la regola, è perché i valori e le responsabilità sono state trasmesse efficacemente nel corso degli anni.

Alcune immagini della tifoseria atalantina sul finire degli anni 90, con i gruppi storici Brigate Nero Azzurre e Wild Kaos

Sono passati giusto 20 anni da quando in Curva Nord fecero la loro comparsa in via “ufficiale” i Supporters. Molti degli attuali frequentatori delle curve, e lettori della nostra rivista, probabilmente all’epoca non c’erano. Potreste ricordare le motivazioni che portarono ad intraprendere questa strada?

Nel 1998 la situazione aveva raggiunto uno dei punti più bassi della curva, a livello di unità, a livello di tifo, a livello di compattezza ed in più c’erano situazioni personali che hanno pesato nei gruppi con la scomparsa di Ivan, uno dei ragazzi più attivi in quegli anni. Da lì è nato tutto un discorso grazie ad alcune persone sia di un gruppo (Brigate) che dell’altro (Kaos) per cercare di rimettere in moto una curva che appunto era ai minimi storici. E quindi “dell’Atalanta Supporters”, non “i Supporters”, è un concetto che nasce proprio dalla volontà di unificare due realtà che erano quasi agli antipodi, almeno apparentemente, e dunque unirle per poi unire una curva intera.

Anche se non c’eravamo tutti noi al tempo, o comunque chi c’era era molto giovane ed è stato spettatore di quella svolta, sappiamo che è stato un percorso non semplice perché comunque le tante divisioni esistenti all’interno dei gruppi erano anche dovute a questioni personali: quello lì stava sulle palle a quello, quello là stava sulle palle a quell’altro e quindi queste cose influivano. Il discorso politico ha avuto sicuramente il suo peso perché erano anni in cui uno esponeva allo stadio quello che voleva: è uscito il problema del “Che” da una parte, della bandiera della Lega dall’altra e quindi subentrarono frizioni che magari anni prima non c’erano, anche se ognuno aveva la sua idea politica. Le Brigate sempre state marcatamente di sinistra, i Kaos non sono mai stati del tutto chiari, insomma c’è stato un po’ di tutto: si era arrivati ad un punto in cui la politica era diventata un altro problema che stava spaccando veramente la Curva. Grazie ad alcune persone di uno e dell’altro gruppo si è messo un freno e si è cercato di creare un qualcosa di nuovo e fortunatamente i risultati si vedono.

La maggior parte dei ragazzi che diedero vita al nuovo gruppo avevano alle spalle una militanza, più o meno lunga, nelle BNA o nei WKA, gruppi che hanno fatto la storia del movimento ultras bergamasco e non solo: quali dei valori che caratterizzarono quei due gruppi si ritrovano ancora in Curva?

Lo striscione “A GUARDIA DI UNA FEDE”, collocato tra quelli di BNA e WKA, all’inizio della stagione 2000-2001: il percorso “dell’Atalanta Supporters” si è ormai consolidato e trova sempre più adesioni”

Dobbiamo collegarci alla domanda precedente. Erano gli anni più difficili dei due gruppi principali della Curva Nord e quindi c’era l’esigenza di creare una cosa forte, sapendo qual era la nostra realtà. Bergamo è una città di 120.000 abitanti e non è facile confrontarsi con metropoli che sono enormi anche a livello di “palestra” e di ultras ne escono a migliaia. Quegli anni sono stati fondamentali per questa svolta, una svolta che ha puntato soprattutto sull’unione. L’unione è diventata la forza della curva, il motore.

I valori che contraddistinsero gli anni di Kaos e Brigate innanzitutto devono essere contestualizzati perché la  curva non è una cosa astratta ma rappresenta la realtà di tutti i giorni: erano anni sicuramente diversi anche a livello cittadino, erano molto diversi anche a livello sociale. Però l’amicizia, la solidarietà, l’amore per la maglia e il valore dello striscione del gruppo sono cose che nonostante sia passato tanto tempo non sono mai cambiate. Il fatto di essere sempre capaci di aggregare e soprattutto di mettere la parola “gruppo” davanti a tutto.

Il problema fu che a un certo punto ognuno andava per i cazzi propri, senza una guida, senza un controllo. Era veramente tutto improvvisato e c’era bisogno di una riorganizzazione totale e non fu facile. Ma, tornando alla domanda, pensiamo che i valori più importanti di quello che è sempre stato l’ultras come baluardo siano rimasti: la nascita della nuova realtà di curva è riuscita a salvare quei valori che si stavano perdendo e che oggi, se si fa un’analisi, sono quelli che ancora portiamo avanti.

Tutto fu fatto, e vien fatto ancora oggi, con la massima umiltà e prendendo quello di sano che c’era all’interno di ogni gruppo: ecco perché il discorso Supporters è riuscito a trovare ascolto in quel momento storico difficile per la curva. Oggi si vedono i risultati perché in un mondo ultras sempre più vissuto all’estremo, con più o meno militanza, Bergamo è un’isola felice, come altre piazze del resto: non guardiamo in casa degli altri ma i Supporters sono stati una scelta vincente. Il senso stesso del primo striscione “A GUARDIA DI FEDE” e di quello “BERGAMO” è proprio l’emblema del voler tutelare non un singolo gruppo ma un’entità, una curva intera. E su questo discorso la maggior parte della gente ci ha seguito.

Già in occasione delle partite di coppa Italia, nell’agosto 2005, emergono tensioni all’interno della curva. Nelle foto: lo striscione esposto dalle BNA durante la prima partita di campionato, la folla fuori dalla Nord prima di Atalanta-Triestina (seconda di campionato) poco prima che i due gruppi arrivarono alle vie di fatto, la successiva partita casalinga contro il Torino con il comunicato di scioglimento delle Brigate e la balconata vuota

Dopo alcuni episodi di tensioni durante le partite estive, ad inizio del campionato 2005-06 si arrivò allo “scontro finale” con le BNA e prima della partita Atalanta-Triestina ragazzi della stessa tifoseria sono arrivati pesantemente alle mani. Poteva andare diversamente?

In parte ci ricolleghiamo alla risposta precedente sugli striscioni. Non è mai esistito uno striscione “Dell’Atalanta Supporters” e questo dovrebbe fare riflettere perché comunque tutti i gruppi che si formano hanno sempre avuto il loro striscione. Anche lo striscione “Curva Nord” da noi è uscito molto dopo e tutti gli striscioni che uscivano avevano frasi legate ai valori di curva.

Purtroppo questo discorso non è stato capito da chi negli ultimi anni “guidava” le BNA, perché per loro non c’era la curva davanti a tutto, ma magari si dava più importanza a cosa c’era scritto su una sciarpa e non al fatto che quella fosse soprattutto una sciarpa dell’Atalanta. Secondo noi ormai non si accorgevano che forse un certo tempo era finito e c’era necessità di qualcosa di nuovo. I Kaos si erano già sciolti due anni prima e quello che è successo con le Brigate è stata una logica conseguenza di quello che dicevamo prima.

Ovviamente quando “muore” un gruppo ci sono anche episodi pochi piacevoli: il culmine è avvenuto prima di Atalanta-Triestina ma anche nel mese di agosto, in trasferta a Pisa e Massa, c’erano stati episodi simili dentro lo stadio. Si sapeva che prima o poi si sarebbe arrivati lì, la differenza rispetto ai Kaos è stata che in quel caso qualche esponente storico del gruppo, capendo la deriva totale che i WKA avevano preso negli ultimi anni, ha detto “Adesso basta!” e quindi la scelta di sciogliersi è stata presa totalmente da chi aveva portato avanti il gruppo negli anni più gloriosi, quando magari erano in trenta a difendere lo striscione.

Purtroppo questo non è successo per le Brigate, anche se va poi detto che tante persone storiche delle BNA sono confluite nel discorso Supporters, persone molto importanti come Giorgio, Oliviero e lo stesso Claudio, insomma gente che veramente aveva fatto la storia delle Brigate negli anni Ottanta. Altri invece sono rimasti nel gruppo ma ancorati ad una mentalità secondo noi ormai sorpassata e comunque non in grado di guardare ad una Curva che era cresciuta e che in quegli anni era esplosa: compagnie sempre più numerose, riunioni partecipatissime, il tifo fatto dalla parte centrale della Nord per coinvolgere tutti.  Era una cosa incredibile, lo si vedeva e lo si percepiva il cambiamento.

A livello simbolico in tanti si ricordano ancora il primo “Forza Atalanta”  in una trasferta a Bologna, fatto fare a tutta la curva e non solo al proprio quadratino di persone. Ma questo purtroppo qualcuno, secondo noi testardamente, non lo ha voluto capire anche se si è sempre cercato di dialogare e di coinvolgerli: alle riunioni, alla Festa della Dea, ma abbiamo sempre trovato la porta chiusa. Certo la cosa brutta è che siano successe certe cose tra Atalantini, ma siamo un ambiente di curva e alla fine la situazione è diventata insanabile.  Spiace semmai che a farne le spese in modo diretto non sono state le persone che “tiravano i fili” ma quelle che si sono trovate lì nel momento finale. Peraltro negli ultimi anni tanti di quelli che militavano nelle Brigate erano già usciti dal gruppo, cominciando a vedere quella che era la realtà dei Supporters, con una certa mentalità ed una certa voglia di fare (in tutti i sensi…) Se tanti ragazzi erano già andati via era perché nelle due realtà si respirava un’aria davvero diversa.

Negli anni il livello di organizzazione, che partiva peraltro da basi solide, è cresciuto esponenzialmente e con esso la capacità di coinvolgere in modo diretto le persone anche al di fuori del contesto della partita. Cosa ha contribuito in modo maggiore a questo: il legame tra le persone, le opportunità date dall’avere una propria sede, l’informazione diffusa con il giornalino “Sostieni la Curva”, altro?

Un insieme di queste cose. Certo la sede è stato un fattore importante: l’entusiasmo crescente dei primi anni ci ha portato intorno al 2003/2004 ad aprire la prima vera sede come Curva Nord. Anche oggi la frequentazione avviene da parte di tante persone: l’ultras o il tifoso più tranquillo oppure semplicemente il curioso. La sede è aperta a tutti e mentre prima le riunioni erano ristrette agli ultras e basta, si è cercato di coinvolgere anche altre persone. Certo sappiamo che alcune nostre posizioni non possono essere condivise da tutti, ma con questo tipo di lavoro, con trasparenza e maturità, forse possiamo dire che oggi la Curva Nord ha una credibilità totale. Anche quando abbiamo fatto degli errori, la gente ci ha criticati ma poi ha continuato o ha ricominciato a seguirci. Del resto in Italia ormai ci sono pochi spazi per fare aggregazione in modo libero. La militanza politica ti identifica e finisce per farti vedere un nemico anche nel tuo concittadino, e a Bergamo il discorso ultras è molto sentito: lo vedi ad esempio fuori dalle scuole dalla quantità di adesivi della Curva Nord attaccati dappertutto e dall’importanza che per tante persone ha la riunione settimanale. Se al “Covo” vengono persone di tutte le generazioni non è un caso ma il frutto del lavoro di questi vent’anni.

Anche la Festa della Dea è un appuntamento che richiama migliaia di persone di ogni età e di ogni estrazione sociale che apprezzano le iniziative degli ultras. Dopo due anni di stop, nel 2018 è stata nuovamente organizzata: come si è evoluto questo appuntamento e quali sono i fattori che vi hanno fatto prendere la decisione di rimettervi in gioco?

Una recente coreografia organizzata dalla Curva Nord in ricordo di Yara Gambirasio la cui famiglia, alle volgari ribalte mediatiche, ha preferito raccontarsi pubblicamente proprio ad una Festa della Dea

L’abbiamo fatta per 14 anni di fila, l’anno in cui non l’abbiamo fatta c’erano delle motivazioni, è stata una scelta sofferta ma coerentemente abbiamo deciso così. È stato quasi automatico smettere di farla perché in quel momento non era quella la priorità: vivevamo  una repressione pesante, abbiamo avuto per lunghi periodi delle persone in carcere. Quando si è ricominciato a parlare di riprendere la Festa ci siamo dovuti guardare negli occhi più volte perché sai che se cominci poi l’impegno devi portarlo avanti fino alla fine. Decidere di riprenderla quindi non è stato semplice e possiamo per certi versi paragonare la difficoltà a quella di riprendere a fare le trasferte dopo i noti divieti: sarebbe ipocrita dire il contrario però alla prima trasferta aperta col Chievo eravamo in 700, numeri bassi rispetto alle precedenti abitudini. Questo ti fa pensare come in tutte le cose è necessario ricarburare, anche perché in tema di trasferte si è persa di fatto una generazioni in otto anni di divieti.

Tornando alla Festa, l’organizzazione che sta dietro è in sé qualcosa fuori dal normale e in più c’è il fatto che non avendo per scelta degli sponsor, siamo senza paracadute e garanzie se, ad esempio, ci capitano anche solo due o tre giorni di pioggia. Possiamo contare solo sulle nostre forze e quest’anno abbiamo avuto un anno che ci ha prosciugato non poco, con le trasferte europee, anche per quanto riguarda gli impegni di lavoro. Per la Festa devi prendere una settimana e mezza di ferie, perché comunque devi esserci la mattina quando arrivano i fornitori e la sera quando devi servire ai tavoli…. è una cosa tutta nostra e genuina e devi sperare che vada tutto bene.

Di certo la Festa ti lascia tantissimo quando è finita, perché vedi che si muove tutta la città, la gente ti incontra per strada e ti ringrazia per quello che stai facendo. E poi si respira quella “Atalantinità” che è una cosa unica: alla Festa abbiamo visto arrivare persone non solo da tutta Europa  ma da tutto il mondo, sia perché tifosi sia perché incuriositi dalla Festa in sé. Persone dall’Argentina, dall’Australia, da paesi dell’Europa dell’Est che nemmeno sapevamo esistessero: tutta gente che arriva perché sono folgorati dal fatto che una città per una settimana praticamente si ferma e vive di questa Festa dove sul palco si respira la storia dell’Atalanta.

Oltre a questo ci ritagliamo anche i nostri spazi a livello ultras che sono sempre molto importanti, però la storia della tua squadra, portata a tutti in questo modo, resta qualcosa che dà sempre grande emozione. Anche grazie alla Festa la Curva si è guadagnata grande credibilità agli occhi della gente. Vogliamo ricordare come ad esempio il papà di Yara Gambirasio ha parlato per la prima volta in pubblico proprio sul palco della nostra Festa: non è andato da Barbara D’Urso né in altri posti, ha voluto farlo apposta alla Festa della Dea. Per noi è un grande motivo d’orgoglio pensare che quando i genitori di Yara hanno voluto parlare alla propria gente abbiano scelto quel luogo. Lo stesso vale per le tante altre persone che abbiamo invitato e sono venute, tra tutti Giorgio Sandri e la famiglia Cucchi. A loro poi si aggiungono tanti personaggi del mondo del calcio, da Mariella Scirea ad Antognoni, da Cabrini  a tanti altri che anche se non conoscevamo, conoscendo lo spessore della manifestazione, ci hanno detto subito di sì alla prima telefonata. Per fare un esempio, nel 2018 la Fiorentina ha spostato la presentazione della squadra durante il ritiro precampionato perché Antognoni ci teneva a partecipare alla serata in cui abbiamo ricordato Astori. Quindi il bello della Festa è che tocca tutti e tutto: dall’Atalanta alla solidarietà, alla passione.

Due tra le tante occasioni in cui, dal 1993, la tifoseria bergamasca ha ricordato la vicenda di Celestino Colombi, in prossimità del 10 gennaio di ogni anno e la tifoseria che assedia pacificamente la Questura cittadina dopo Atalanta-Brescia 2002-03

Cambiamo completamente argomento e torniamo al 10-1-1993: la morte di Celestino Colombi ha segnato forse il punto più tragico della violenza definibile “da stadio” a Bergamo ed è diventata di dominio pubblico grazie all’opera di controinformazione che la tifoseria mise in atto a quel tempo, smentendo le versioni ufficiali della Questura che circolarono nell’immediato. Forse per la prima volta c’è stata la presa di coscienza che esiste un eccessivo interventismo da parte delle Forze dell’Ordine anche in circostanze tutto sommato tranquille. È possibile pensare che le tante iniziative giudiziarie, che a distanza anche di molti anni hanno visto protagonista, suo malgrado, la Curva Nord abbiano origine da quella vicenda e dalla “verità scomoda” che fu svelata? Oppure è il solito discorso per cui colpire gli ultras serve a qualcuno per fare carriera?

Secondo noi la vicenda di Celestino Colombi è troppo datata per collegarla alla repressione di questi anni. Quindi è più vera la seconda ipotesi, anche perché l’ascesa della curva ha dato molto fastidio a certi livelli. La morte di Celestino è avvenuta in anni in cui veramente, in ogni partita, erano sempre botte tremende con la polizia, con dinamiche di vera e propria guerriglia urbana che si scatenava anche per stupidate. Era quasi un rito, ma erano anni pesanti nel confronto di strada con la Polizia. Lì è accaduto purtroppo che una persona che non c’entrava niente si è trovata in mezzo ad un casino più grande di lui ed il cuore non lo ha retto, perché si è visto arrivare addosso un plotone di poliziotti con la bava alla bocca e si sa che in certe situazioni si va alla cieca… 

Per la curva comunque è stato un passaggio difficile, alla prima riunione dopo la morte di Celestino c’erano non più di 80 persone e quando abbiamo esposto sul piazzale lo striscione “Celerino la tua giustizia si chiama violenza” c’erano 200 persone: erano anni  in cui non c’era l’attenzione che c’è oggi su quell’episodio, era difficile fare capire il messaggio. Però grazie a quei 200 la memoria di Celestino Colombi non è stata infangata come qualcuno ha provato a fare, dicendo che era un tossico che doveva morire lo stesso, che era un violento quando in realtà forse nemmeno sapeva di che colore avesse la maglia l’Atalanta. Insomma una situazione veramente paradossale ma che non ha un collegamento stretto con l’accanimento che abbiamo subito.

Forse altri episodi hanno avuto più peso, come quando nel 2002-2003, per protesta per delle “semplici” diffide in Atalanta-Modena, siamo andati in 5.000 sotto la Questura dopo Atalanta-Brescia, bussando e facendoci ricevere dal Questore. Lì abbiamo fatto vedere la forza che avevamo e da quel momento in poi l’obiettivo di qualcuno è stato quello di limitarci perché la nostra forza era diventata quasi inarrestabile.

Altro passaggio cruciale sono stati i fatti in occasione della Berghem Fest: a quel punto abbiamo avuto l’impressione che la repressione non era più nemmeno gestita localmente ma arrivava  dai piani alti. Del resto scene del genere, con coinvolto un Ministro, a Bergamo non si vedevano forse dagli anni Settanta…

Due momenti di Atalanta-Milan del 11 novembre 2007, giorno dell’omicidio di Gabriele Sandri, con gli ultras orobici che pretendono ed ottengono la sospensione del match. La vicenda costerà la chiusa per varie partite della Curva Nord ma, un anno dopo, si ribadiscono le proprie ragioni con un lungo striscione

Un’altra data che ha segnato la storia della Curva Nord è stata l’ 11 novembre 2007, giorno dell’uccisione di Gabriele Sandri, quando Atalanta–Milan venne sospesa per le intemperanze della Bergamo ultras. La vicenda costò diverse giornate di chiusura della Curva e molte diffide ma, a bocce ferme, la stessa Curva fece autocritica nei confronti soprattutto della tifoseria atalantina “non ultras”. Ma realisticamente c’era un’alternativa quel giorno per fermare il “circo calcistico” o comunque per dare il giusto risalto all’assurda morte del tifoso laziale?

Non c’era altra alternativa per un semplice motivo: quel giorno lo Stato non voleva sentire, non gli interessava, considerava quella una morte di Serie B. Nessuno invece quel giorno ha dato risalto al fatto che un folle in divisa avesse sparato da una parte all’altra dell’autostrada ed ucciso un ragazzo. Quel giorno lo Stato non voleva dare la giusta importanza alla morte di Gabriele e quindi noi c’era altro modo per fare sentire la nostra voce. Ci  abbiamo provato prima con i cori a chiedere la sospensione della partita, poi è ovvio che già covava tanta rabbia nei confronti delle forze dell’ordine e la nostra reazione si è scatenata anche per questo. Anche in occasione di quella partita, peraltro, gli arresti avvenuti sono scientificamente andati a colpire le persone del direttivo. Comunque a livello ultras non poteva esserci una risposta diversa, le scuse le abbiamo fatte a chi, frequentatore della nostra curva, può non avere condiviso il gesto e le modalità, ma quando c’è di mezzo la vita delle persone noi non potevamo che ragionare da ultras.

La repressione subita dal tifo atalantino dopo quell’Atalanta-Milan e dopo gli incidenti alla Berghem Fest è stata molto dura. Ad essa hanno fatto da corollario i vari divieti degli strumenti di tifo e l’introduzione della Tessera del Tifoso, nei cui confronti la vostra linea ultras è sempre stata ferma e rigida: quanto è stato difficile in quegli anni portare avanti il discorso ultras? Ci sono stati momenti in cui  si è pensato di modificare la propria posizione contro la TdT per poter seguire la Dea? Com’è stata vissuta la scelta di una parte della tifoseria orobica, sebbene ristretta, di tesserarsi?

La componente ultras a Bergamo non si è tesserata, la gran parte della tifoseria atalantina invece si è tesserata anche per motivi contingenti, di convenienza spiccia diciamo. Si pensi infatti che, per quanto riguarda la nostra realtà, l’entrata in vigore della Tessera del Tifoso ha coinciso con il ritorno alla Presidenza di Percassi che, dopo la retrocessione in serie B, decise di “regalare” gli abbonamenti a costi bassissimi. Non si poteva pretendere che l’intera tifoseria non si tesserasse perché diversamente non sarebbe stato possibile avere l’abbonamento. Comunque gli 800/1000 ultras non l’hanno fatta al tempo e dopo quasi 10 anni sono ancora senza tessera, che la si chiami “del tifoso” o “Dea Card”. I fatti accaduti alla Berghem Fest si spiegano anche col fatto che noi ultras in quel tempo, avendo deciso di non tesserarci, eravamo di fatto senza un posto: per tutta la stagione la curva era quasi esaurita in abbonamenti e per essere onesti in quel momento eravamo un gruppo isolato in mezzo al popolo bergamasco che aveva deciso di tesserarsi.

Il messaggio è chiaro

La difficoltà è stata inizialmente di fare capire questa problematica: noi eravamo fuori dalla nostra Curva, per ogni singola partita dovevamo fare il singolo biglietto… Con tutto il rispetto per chi aveva pagato 50 euro l’abbonamento per seguire l’Atalanta, magari anche per la prima volta, noi pensavamo di non meritare quel trattamento. Non abbiamo trovato nessun tipo di soluzione e quindi abbiamo cercato in qualche modo di fare capire le varie problematiche (compreso gli effetti dell’art. 9) ma bisogna anche essere onesti a dire che il tifoso “normale” a certe cose non è molto interessato. Per fare un esempio se vado da mio zio, che è abbonato da 43 anni, a dirgli dell’art. 9 e via dicendo non ne ricavo molto. Magari ti sa dire la formazione di Atalanta-Malines o degli anni Settanta ma non puoi coinvolgerlo sulle tematiche prioritarie per il mondo ultras.

Da un certo punto di vista la Tessera del Tifoso è stata una scelta perfetta perché è riuscita a dividere le tifoserie, cioè i gruppi ultras dal resto della tifoseria. L’obiettivo in parte è stato raggiunto però la nostra forza è stata quella di aver fatto un ragionamento molto importante, dicendo che al tifoso della mia squadra che si tessera, per esempio lo zio di cui dicevo prima, non posso cantargli “tesserato pezzo di merda” e se mi dicesse di stare al mio posto avrebbe anche qualche ragione: insomma avremmo litigato tra noi atalantini. Quindi abbiamo deciso di mandare giù un boccone sicuramente amaro realizzando che a tanta della nostra gente l’art. 9 non interessa, anche se per noi porta rispetto.

Dopo la Berghem Fest, che ci aveva messo all’angolo con 58 diffide, sono arrivate la pressione mediatica ed infine l’indagine con l’accusa di Associazione per delinquere. Sono  stati sicuramente tra gli anni per noi più difficili, davvero il movimento ultras a Bergamo poteva morire a causa della repressione che abbiamo subito. Siamo rimasti a galla per alcuni mesi e poi pian piano ci siamo ripresi la nostra credibilità: ricordiamo che la gente di Bergamo è sempre piuttosto bigotta e di mentalità molto ligia alle regole e quindi i fatti della Berghem Fest sono stati considerati una delle macchie più fastidiose per la città. Noi abbiamo fatto la nostra scelta, giusta o sbagliata che fosse, e poi ci siamo presi le nostre responsabilità come abbiamo sempre fatto.

Il clima nei nostri confronti era pesantissimo ed avevamo quasi timore ad andare in giro: mi ricordo una sera che ci siamo trovati in 150 in un campo, praticamente al buio, ci siamo messi in cerchio e ci siamo guardati in faccia chiedendoci: “Ma continuiamo o ci fermiamo!?”. Abbiamo deciso: “Continuiamo, avanti fino alla fine, se cadremo, cadremo in piedi”. Per questo vogliamo dire che senza quello che abbiamo subito, oggi noi non saremmo quello che siamo adesso, non saremmo la Curva unita che si è vista in questi anni, è nella negatività che è uscita la nostra forza: resistere non è stato facile ma siamo ancora in piedi e siamo riusciti a riavvicinare il resto della tifoseria.

Il fatto di avere rispettato comunque chi si era tesserato è stata una scelta non scontata ma vincente. Mantenendo la nostra coerenza e la nostra linea siamo stati poi capiti: molti tifosi, seppur tesserati, hanno smesso di andare  in trasferta e in vari casi hanno restituito la tessera. Col tempo hanno capito che andarci sottomessi alle regole che escludevano noi ultras, che rendevamo la trasferta qualcosa di unico, non ne valeva la pena. All’inizio non era così: ma dopo poche trasferte da tesserati molti hanno detto: “Senza di loro non ci vado” ed anche questa per noi è una vittoria. Succedeva che magari in trasferte tipo Bologna ci sono andati in 500 a seguire la squadra ma quando poi i giocatori rientravano a Bergamo ci trovavano in 3.000 ad accoglierli.

La Nord protesta contro l’Eco di Bergamo, principale quotidiano di città e provincia

Parlando ancora di mass-media, non si può non ricordare alcuni striscioni piuttosto forti contro la Gazzetta dello Sport e soprattutto contro L’Eco di Bergamo, una vera e propria istituzione in città e provincia. Non si contano più  gli articoli diciamo “sui generis” o apertamente denigratori nei confronti della curva nord. È solo il vecchio gioco dei giornali di fare cassa con cronaca nera o c’è altro che può spiegare questi attacchi frontali?

Secondo noi oggi L’Eco ha molto meno seguito di un tempo. Sicuramente ha sempre fatto comodo parlare degli ultras perché  faceva vendere di più, anche perché l’approccio del giornale in sé è sempre stato di tipo molto provinciale. Però c’è stata una volta, intorno al 2004-2005, quando l’Atalanta andava male e si cominciava a dire che Percassi era interessato a tornare, in cui la Curva, sempre denigrata, è stata invitata in sede ed intervistata da L’Eco di Bergamo. Girandoci molto intorno, cercarono di portarci dalla loro parte col fine di spingere l’allora Presidente Ruggeri a passare la mano, anche perché la Società aveva deciso di non fare rilasciare interviste al giornale per tutti i propri tesserati e questo per loro era un bel problema. Hanno cercato in un certo senso di comprarci, visto che dall’averci sempre dipinto come i delinquenti della città sono rapidamente passati al definirci “ultras da scudetto” mettendoci in prima pagina. Noi non ci siamo cascati e siamo rimasti sulle nostre posizioni, loro hanno quindi ripreso ad attaccarci come dicevate.

Ci sembra invece che altre testate della città, ci riferiamo in particolare al “BergamoPost”, hanno avuto un approccio diverso con la Curva.

 A Bergamo obiettivamente è difficile competere con L’Eco nella cronaca di tutti giorni, perché ha una rete di “perpetue” che lo rende un colosso e lo rende capace di arrivare ovunque. “Bergamo Post” si dedica all’approfondimento ed abbiamo avuto la fortuna di incontrare Xavier Jacobelli, che è stato uno dei pochi a volerci conoscere da vicino. È venuto ad una Festa della Dea nel 2010 senza sapere quasi nulla di noi, ha visitato la Festa e si è innamorato. Da lì ha cominciato a interessarsi alle tematiche dei tifosi e del mondo ultras, quindi va dato atto a questa testata di essersi schierata in modo diverso rispetto alla linea sempre tenuta da L’Eco. Non dimentichiamoci poi che certi attacchi de L’Eco sono stati davvero vergognosi, ad esempio quando hanno scritto che Claudio faceva gli show ai funerali delle persone. Cosa vuol dire fare uno show, mettere la sciarpa su una bara sulle persone che hanno fatto la storia dell’Atalanta? Non hanno mai avuto il decoro di chiedere scusa, hanno mantenuto un’arroganza imbarazzante. Comunque queste cose gli sono tornate addosso, come quando associavano le rapine in banca con gli ultras solo perché c’era di mezzo una sciarpa dell’Atalanta.

Altro passaggio chiave delle vostre lotte è stata la continua sensibilizzazione del mondo politico. Con una rappresentanza che qualche tempo fa andò anche in Senato per discutere sulle limitazioni presenti in tutti gli stadi. È veramente possibile intavolare un discorso costruttivo con un universo – quello della politica – che troppo spesso ha sfruttato i tifosi e gli ultras per le proprie campagne elettorali, le proprie carriere e i propri fini? 

Molto semplicemente: per prima cosa noi non abbiamo mai avuto alcun problema a metterci la faccia, anche quando l’interlocutore era un politico, e poi eravamo arrivati ad un punto in cui tanti gruppi, come il nostro, non vedeva nessuna luce in fondo al tunnel. Non andare in trasferta  per otto anni è pesante e quindi a quel punto le provi tutte. Ci siamo messi insieme ad altre tifoserie e ci siamo confrontati con tutto l’arco parlamentare. Certo ognuno è comunque libero di criticare iniziative come queste, non c’è problema, ma noi abbiamo la coscienza pulita perché l’unico fine era il bene del movimento ultras. Del resto se i divieti arrivano dallo Stato con chi dovevamo parlare se non con la politica? Non avevamo nulla da offrire in cambio, ma solo la nostra voce per dire che il calcio era alla deriva e che forse cambiando le regole si poteva tornare a riempire gli stadi. Con la Tessera del tifoso alla fine loro pensavano di riuscire ad eliminare gli ultras e avere un pubblico di tifosi tranquilli, ma così non è stato: gli ultras ci sono anche se metti le partite ad orari e giorni folli, i tifosi normali invece no. Noi non siamo cambiati, siamo gli stessi che hanno combattuto coerentemente per otto anni la tessera del tifoso e per noi è stata comunque una vittoria riuscire ad andare in trasferta senza la tessera. Altri hanno abbandonato  tutto sin dall’inizio, pensiamo a Inter, Milan, Juve, Verona e Curva Nord Brescia, tesserati fin dalla prima ora…

Atalanta-Lazio 2011-12: coreografia dedicata ad alcuni degli ex calciatori più amati dalla tifoseria

Un vostro striscione recitava “La Nord ama gli uomini prima dei giocatori”. Bonacina, Magrin, Stromberg, Bertuzzo, Zampagna, Bellini, Raimondi ed altri ancora. Si parla di giocatori bandiera in un’epoca in cui nel calcio i sentimenti non vanno a braccetto con il termine plusvalenza. Quali sono le caratteristiche che devono avere i giocatori per lasciare nel tifoso un ricordo indelebile anche senza essere stato protagonista di trionfi sportivi?

Oggi siamo stati al funerale di un ragazzo che abitava a Bergamo ed era un ultras del Toro, altrimenti alcuni di noi sarebbero andati in Danimarca al funerale di Nielsen, questo per farvi capire quanto noi teniamo ai giocatori che hanno indossato la maglia nero-azzurra. Sentiamo spesso dire alcune tifoserie: “non cantiamo per i giocatori ma solo per la maglia”; noi invece cantiamo anche per i giocatori, senza problemi: lo contesti quando è giusto farlo, lo sostieni quando lo merita. Fare un coro ad un giocatore dà orgoglio anche al giocatore stesso, mentre sembra quasi una moda ormai non fare cori ai singoli. Negli anni Ottanta non ci si faceva di questi problemi. Magari andavi a Bologna e c’erano i cori per Marronaro, perché non farlo? Se poi cambiava squadra lo contestavi. Da noi negli anni Ottanta ad esempio si facevano le cene con i giocatori ed abbiamo mantenuto questo approccio. Il ritorno lo vediamo alla Festa della Dea, dove porti gente che magari ha giocato pochissimo insieme a chi invece ha fatto la storia: vedi i ragazzi giovani stringere loro la mano ed i tifosi più vecchi raccontare aneddoti alle vecchie glorie. Ai giocatori diciamo semplicemente di onorare la maglia, poi sappiamo che il calcio di oggi è quello che è, e magari già a gennaio cambiano maglia. Ma chi rispetta la maglia sarà sempre applaudito, a prescindere dalle loro doti tecniche o dai risultati che ottengono.

Alcuni scatti delle partite in Europa League 2017-18 giocate a Reggio Emilia ed in trasferta a Lione e Dortmund

Nella stagione 2017-2018 siete tornati a vivere un’avventura europea e vi siete confrontati con realtà calcistiche e tifoserie differenti dalla nostra: cosa vi ha dato quell’esperienza, anche in termini di confronto con altre realtà calcistiche ed ultras?

Esperienza bellissima, peccato per chi non l’ha vissuta. Bella perché abbiamo mantenuto la nostra idea di gruppo: viaggiare tutti insieme, vivere la trasferta. Partivamo dal confronto di vent’anni prima e siamo riusciti a viverla come volevamo, quindi uniti, facendo i nostri pullman, organizzando 10 aerei in due trasferte come Cipro e Liverpool, coinvolgendo tutta la tifoseria.

Il popolo atalantino ci è venuto dietro “a manetta” nonostante avesse anche altre opzioni di viaggio. Il treno per Dortmund è stato qualcosa di spettacolare, forse siamo stati gli unici ad organizzare  un treno speciale per l’Europa dopo vent’anni. A livello di tifo, per quello che abbiamo, visto nulla che superi l’Italia. La stessa Dortmund ci ha fatto cagare, Everton molto male a Reggio Emilia, molto bene – soprattutto in strada –  in casa loro. Forse a livello ultras abbiamo visto meglio nelle tre partite dei preliminari di quest’anno che nel girone dell’anno scorso: da Israele che è stata qualcosa di impensabile e nemmeno sapevamo chi fossero, passando da Sarajevo che comunque è una piazza importantissima, dove anche se era il 2 agosto ci siamo presentati in 400 e l’atmosfera richiamava la famosa trasferta di Zagabria con i caschetti del 1990. Al là di questo è sempre bello viaggiare e conoscere altre tifoserie estere, ognuna con la propria particolarità. Per la curva è stato un momento di crescita importante, rimettersi a discutere come organizzare la trasferta e poi per l’entusiasmo che abbiamo vissuto.

Dopo gli anni burrascosi della presidenza Ruggeri i rapporti con la Società dal ritorno di Percassi sono migliorati molto. È solo merito dei buoni risultati sportivi di questi anni? C’è qualcosa su cui ci sono punti di vista diversi?

Partendo dal presupposto che deve sempre essere chiara la distinzione dei ruoli, pensiamo che quando c’è il rispetto ed il dialogo si può costruire qualcosa, anche partendo da posizioni diverse, quali sono quelle degli ultras e quelle di chi gestisce la Società. In questo modo si può lavorare per un obiettivo comune, che è il bene dell’Atalanta.

Sicuramente Percassi ha portato una ventata di novità e di positività, lo ha dimostrato con fatti che vanno oltre i risultati sportivi. Ad esempio una cosa che ci rende molto orgogliosi è che quando il presidente è arrivato alla Festa della Dea, trovandosi davanti 10.000 persone è davvero impazzito, non stava più nella pelle ed è rimasto colpito nel vedere tanti bambini con la maglia dell’Atalanta. Da lì gli è venuta l’idea che a Bergamo e provincia ogni bambino appena nato ricevesse in omaggio la maglia dell’Atalanta: è una cosa unica, che lega l’Atalanta al territorio, e ci sentiamo anche noi un po’ autori di questo. 

Con la Società c’è rispetto dei ruoli e grande dialogo, poi su tante cose ci possono essere visioni diverse ma di certo aiuta molto avere a che fare con gente che è di Bergamo e con un Presidente che è davvero tifoso e che ha sempre mantenuto gli impegni che si è preso. Ci sentiamo fortunati perché in un calcio sempre più alla deriva, anche con presidenti esteri, questa è una cosa rara… figuriamoci poter parlare in dialetto col tuo presidente. Ribadiamo: sempre nel rispetto dei ruoli e con un comune denominatore, il bene dell’Atalanta. Non dimentichiamoci poi di quanto la Società dia importanza al settore giovanile, questo ci piace, c’è la stessa attenzione che i vecchi della curva hanno messo per tirare su i ragazzi giovani.

Ai  rapporti con la dirigenza si lega il tema del “Codice di gradimento”, altra tegola piovuta sulle teste degli ultras, che consente alle Società calcistiche di applicare delle “norme di comportamento” che possono mettere ai margini coloro che non sono “allineati”. In questo momento i rapporti con la società sono buoni ma cosa potrebbe succedere se un giorno le cose cambiassero?

Se il dialogo ed il rispetto dei ruoli non dovessero bastare, c’è sempre la possibilità di fare sentire la nostra voce in altro modo, anche contestando se dovesse servire. Quindi se ci diffideranno perché abbiamo criticato la società, ce ne saranno cento a gridare “Vergogna”, e se questi cento saranno diffidati che ne saremo mille a cantare “Vergogna” perché comunque è nell’istinto degli atalantini essere sempre liberi di pensare. Possiamo permettercelo perché nessuno di noi è sul libro paga di Percassi oggi, come nessuno lo è stato su quello di Ruggeri o di nessun altro in passato. Questa è la nostra forza: non essendo sul libro paga di nessuno possiamo dire quello che vogliamo. 

Per quanto riguarda più in generale la questione del codice di gradimento noi ci siamo spesi da subito, ma per ora la cosa per fortuna sembra essersi fermata, anche perché le stesse società si sono trovate imposta questa cosa e la maggior parte di loro non sembrano molto convinte.

La prima parte dell’intervista deve chiudersi qui, ci ripromettiamo di completarla a breve ma poi, come scritto in premessa si arriva un po’ lunghi. Eccoci quindi in una sera di inizio estate, dopo mesi intensi per tutti i tifosi atalantini e per gli ultras in particolare.

Ci siamo visti a novembre dello scorso anno, quando l’Atalanta cominciava a rialzarsi… quali sono stati i momenti più belli di questa stagione?

Da un punto di vista più strettamente ultras la trasferta di Bologna, dove eravamo proprio un bel gruppo e ci siamo presentati alla grande, poi la trasferta con il Toro, che mancava da tanti anni e anche perché siamo riusciti ad andare in treno, un  regionale bello tosto e bello pieno. Poi Cagliari per il lavoro preparatorio che c’è stato dietro: andare due volte in poche settimane, sempre con la nave, non è stato facile, ma è una di quelle trasferte che unisce il gruppo. Infine naturalmente la finale di Coppa Italia, ventiduemila bergamaschi a Roma a riempire la curva sud, più i distinti, più la tribuna. È stata la ciliegina sulla torta di tanti anni stupendi, il momento più intenso al di là del risultato.

La trasferta a Roma per la finale di Coppa Italia contro la Lazio

A proposito di Roma, chi l’ha vissuta e sofferta di più è stata la Curva alla quale è stata negata la soluzione che era più intelligente, cioè il treno speciale. Raccontateci come è andata quella trasferta e diteci se a vostro avviso, a poca distanza dai fatti di Firenze, c’è un legame tra le vostre denunce ed il trattamento ricevuto prima e dopo la finale di Coppa Italia.

Senza dubbio nulla è stato casuale perché dal punto di vista organizzativo, per Roma, la soluzione più semplice era mettere a disposizione uno o due treni speciali e avevi la componente ultras che potevi gestire in modo perfetto anche dal punto di vista dell’ordine pubblico. Questa possibilità è stata negata e non è stata una decisione a caso: ci abbiamo lavorato per settimane ma abbiamo sempre trovato un cancello chiuso da parte dei piani più alti di Trenitalia a cui ci siamo rivolti. Questo ha fatto girare parecchio le palle anche perché il treno speciale sarebbe stata la cosa più comoda per noi. A quel punto ci siamo intestarditi, abbiamo ripiegato su un treno regionale che si è rivelato un vero e proprio carro merci, nonostante avessimo pagato tutti, dal primo all’ultimo, un biglietto, peraltro molto caro per essere stato un regionale.

La gran parte di noi ha viaggiato in piedi o ha dormito per terra tra uno scompartimento e l’altro: una cosa incredibile e paradossale, perché Trenitalia sapeva che su quei treni avrebbe viaggiato tanta gente. Però siamo stati comunque orgogliosi di averla vissuta in questo modo. La notte dopo la partita? Beh c’è una grande differenza quando prima ti dicono “dormirete nella stazione”  e poi invece devi stare nel parcheggio fuori dalla stazione, con una temperatura di 5 gradi e senza nulla a disposizione. Sicuramente è stata l’ennesima trappola perché, a differenza dei fatti di Firenze dove tutto era denunciabile con dei video, in quella zona di Roma non c’era nulla, nemmeno un cane che passava. Appena abbiamo cercato di reagire e ci siamo impuntati per cercare una soluzione alternativa si è vista subito la risposta repressiva con l’arrivo di cinque o sei camionette nel giro di pochissimi minuti.

L’ennesima premeditazione, questo sì. Crediamo che nulla sia stato casuale ma nonostante questo, dignitosamente e tranquillamente l’abbiamo portata a casa, divertendoci anche se siamo tornati a Bergamo alle 6 di sera del giorno dopo. Non abbiamo comunque voluto lasciare cadere la cosa in silenzio e nei giorni successivi abbiamo preparato una “lettera aperta” che molti hanno letto. La cosa può piacere o non piacere ma ci è parsa coerente con altre nostre battaglie, come ad esempio quella “Libero cittadino? No ultras” negli anni duemila.  E c’è anche da dire che se alla Curva, grazie alla credibilità che ha raggiunto negli anni, si aggregano anche tifosi non ultras, famiglie, ragazze e ragazzi, è giusto che se paghi un biglietto regolare devi essere tutelato. L’ultras rimane prima di tutto una persona con dei diritti, oltre che con dei doveri.

La Nord, in occasione di Atalanta-Fiorentina ’18-19, denuncia le violenze e gli abusi posti in essere dalle Forze dell’Ordine al rientro dalla trasferta di Coppa Italia nel capoluogo toscano

Dei fatti successi con la polizia a Firenze si è saputo molto, da qualche tempo però, almeno dal punto di vista dell’informazione, l’attenzione sembra calata. Che aggiornamenti ci sono su quella vicenda?

Il nostro obiettivo è stato sin dall’inizio raccontare in altra maniera quello che ci era capitato a Firenze, rapportandoci con i giornali, diffondendo i  filmati raccolti, facendo intervenire gli avvocati. Pensiamo però che un lavoro così, in tema di abusi di potere, perché di abuso di potere si è trattato, sia stato importante e senza precedenti del genere, perché ha portato la vicenda a livello regionale e nazionale, uscendo dai confini di Bergamo.

La nostra più grande vittoria è avere visto che il cittadino medio, i nostri stessi genitori se vogliamo, anche la gente che ogni tanto guardava l’ultras in generale con diffidenza, a questo giro si è invece immediatamente schierata con i ragazzi del gruppo perché ha capito subito dove stava la verità. 

Siamo in attesa di sapere se ci saranno sviluppi concreti ed è vero che l’attenzione mediatica è calata. Secondo noi l’intenzione è quella di insabbiare tutto, per parte nostra non c’è intenzione di intraprendere una strada processuale perché sappiamo che potrebbe portare ad anni ed anni di dibattimenti con il risultato finale (come dimostra il caso di Paolo Scaroni e mille altri) che non ci sarà un colpevole perché la polizia non è riconoscibile.

Portando il discorso ad un livello più generale, è l’ennesima vicenda che dovrebbe fare ragionare tanti in Italia, ultras e non, sulla necessità di introdurre numeri identificativi per le forze dell’ordine. Con un video di buona qualità, tornando a quella sera, si  sarebbe potuto capire facilmente qual era il reparto, qual era la polizia, qual era l’agente che ha cominciato a rompere i vetri, a manganellare le persone da dietro, insomma ad andare oltre i suoi compiti.

La manifestazione in solidarietà di Claudio “Bocia” Galimberti svolta per le vie della città ad inizio aprile 2019, dopo che la Questura ne aveva precedentemente vietato lo svolgimento in occasione di Atalanta-Milan

Dopo la finale di Roma, che è stata una festa nonostante il risultato negativo, è arrivato il terzo posto e la qualificazione per la Champions League,  risultato storico dal punto di vista sportivo.  La gioia, stando ai nostri temi, è stata in parte ridotta dopo l’annuncio che la Curva non avrebbe organizzato la Festa della Dea. Su Sport People abbiamo scritto, forse sbagliando forse no, che in parte si è trattato di una resa dei conti con una parte del pubblico atalantino che probabilmente non ha dato alla curva l’appoggio che serviva per alcune tematiche, in primis per Claudio. Dite la vostra…

Sicuramente è stata una scelta non semplice, perché sono momenti che ti danno forza ed i primi ad essere dispiaciuti sono proprio tutti coloro che contribuiscono ad organizzarla e farla funzionare facendosi un culo quadrato.

Dietro alla nostra decisione c’è stato un ragionamento forte, non diciamo che è sbagliato quello che avete scritto, perché forse se anche alla manifestazione per Claudio fossimo stati in centomila avremmo comunque deciso di non fare la Festa. Di fondo, per noi è stato soprattutto un prendere atto che la situazione di Claudio al momento non è modificabile, che la polizia a discapito di tante parole ha chiuso le porte per l’ennesima volta, che tante parole spese e l’impegno che abbiamo messo anche per fare emergere gli errori della Giustizia e della Legge non è bastato e non è servito a fare cambiare qualcosa da parte di chi gestisce l’ordine pubblico. Quindi per noi è stato un segno di rispetto per lo stato d’animo di chi è sempre stato il cuore della festa, oltre che l’ideatore.

Una scelta doverosa e di cuore verso un amico, che è sempre un punto di riferimento di questo gruppo. Decisione quindi sofferta ma ponderata perché ci è parsa la più giusta in questo momento. C’è stata massima condivisione su questa scelta ed  abbiamo deciso che la priorità andasse al Claudio uomo, ancor prima che al tifoso, all’ultrà. Semplicemente ci siamo chiesti che senso poteva avere, dal punto di vista umano, averlo tra noi per i soli giorni della festa e poi vederlo ripartire per tornare nel paese in cui vive da tempo. Venire a fare divertire, godere, cantare, emozionare tutti, e poi vederlo lasciare con tristezza la sua Bergamo era una cosa senza senso, contro natura, secondo noi. Non poteva esserci una festa con tanto dolore dietro…

Una spettacolare fumogenata che colora, da parte a parte, la storica balconata della “vecchia” curva”

Punto della situazione aggiornata dello stadio, con i lavori che sono partiti e stanno procedendo a ritmi serrati. Avete qualche dettaglio in più su come sarà la nuova curva?

È sotto gli occhi di tutti che sta crescendo una curva bellissima, sappiamo che la Società ha dato priorità ad un criterio importante, cioè che la curva serva per fare tifo, un gran tifo. La cosa non è da sottovalutare. Vedremo come potremo organizzarci al meglio. Intanto ci godiamo ancora l’ultima serata fatta per salutare la vecchia Nord le immagini, le facce, gli striscioni presenti  sono state non solo qualcosa di indimenticabile, ma pensiamo che riassumano anche la voglia di andare avanti nel miglior modo possibile.

Lo striscione “Basta lame basta infami”, realizzato dopo la morte di Vincenzo “Claudio” Spagnolo ed esposto ad Ascoli nel campionato ’94-95

Andiamo oltre i confini dei vostri colori, partendo da un dato di fatto  non solo nell’immaginario comune ovvero della presenza della tifoseria bergamasca in momenti importanti per il movimento ultras italiano. Il riferimento ad esempio ci porta al raduno di Genova dopo l’uccisione di Spagnolo ed al famoso slogan “Basta lame, basta infami”. Sono passati tanti anni e vi chiediamo da un lato se quel pensiero è sempre attuale e dall’altro se, anche tenuto conto di quello che di recente ha mostrato il programma TV “Report”, se quella resta la priorità all’interno del mondo ultras, oppure se negli anni si è creato un altro modo di deviare da certi valori storici del movimento ultras.

Facciamo un ragionamento ampio. Partiamo dal “Basta lame basta infami” e parliamo di Bergamo: l’insegnamento e la linea tracciata dalle origini della nostra tifoseria è fondamentale. Possiamo anche tradurre quel concetto dicendo che non si può perdere la vita per una partita di calcio. Oggi la ricerca dello scontro rispecchia  certe dinamiche che caratterizzano la nostra società in generale: il continuo alzare il tiro, l’essere sempre più performanti e voler dimostrare a tutti i costi di averlo più duro dell’altro. Questo probabilmente ha contribuito a portare ad un innalzamento della violenza in modo pesante, o forse è più esatto di dire nella maniera di fare violenza, che secondo noi non è giustificato. 

Quello che un tempo era il concetto alla base dello scontro con l’avversario, cioè il rispetto, oggi forse sta venendo un po’ a mancare: anche in quelle piazze che da sempre andavi a cercare e a caricare, perché comunque c’era un rispetto ultras di base ed un ideale che ti accomuna, lo vediamo mancare tanto. È una cosa preoccupante perché vuole dire farsi davvero male, fino a perdere la vita, rovinarsi e soprattutto è una perdita in generale per il movimento ultras italiano. Non dimentichiamoci poi che quando succedono cose di un certo tipo chi paga le conseguenze non è una tifoseria piuttosto che un’altra, ma a livello repressivo tutto il movimento ultras. Lo scontro fa parte del mondo ultras, così come il rispetto: scontro e rispetto hanno sempre corso su due binari paralleli e ben vicini, mentre oggi a noi sembra che si stiano distanziando molto.

Il problema è che su questa questione non si vede nemmeno una luce positiva in fondo al tunnel: senza andare troppo in là nel tempo, negli ultimi anni quante persone hanno perso la vita? Hai citato Spagnolo, ma anche Ciro Esposito, fino ai fatti di Milano di fine 2018. Per non dire poi di tanti altri episodi, ad esempio di persone accoltellate, cose che rischiano persino di passare per la normalità. Purtroppo non vediamo fatti che potrebbero fare cambiare la situazione, se non bastano nemmeno i morti per fermarsi non sappiamo dove si andrà a finire, si rischia di perdere completamente tutto il senso del nostro mondo. Pensare di avere un amico a terra ferito in fin di vita, e noi l’abbiamo provato a Roma, fa venire meno ogni logica. Oltretutto cercare lo scontro oggi in Italia, con le leggi repressive che ci sono, non è semplice: quando ci arrivi dovrebbe funzionare che fai le tue cose, ed alla fine ognuno se ne va per la sua strada pensando “siamo stati grandi”.

Dopo i primi anni 2000, in cui i gruppi ultras avevano trovato un comune denominatore su alcune battaglie, quelle iniziative si sono spente per poi essere riprese, ma in modo meno massiccio di prima, in occasione dell’introduzione della Tessera del Tifoso. Anche se forse una parte della risposta sta in quello che avete detto poco fa, secondo voi ci sono ancora le condizioni per combattere insieme battaglie comuni, superando divisioni e rivalità, oppure ci sono ormai differenze così profonde che è impossibile?

Bella domanda ma non è semplice rispondere. Forse oggi  vale la pena restare con i piedi per terra, nonostante l’impegno della nostra tifoseria nelle battaglie che hai detto. Non dimentichiamo comunque le cose fatte negli ultimi anni per portare delle proposte, ad esempio sull’ingresso dei tamburi o per tornare in trasferta. In quei casi un lavoro in comune con altre realtà ultras oggi sinceramente è difficile, perché le differenze sono sempre più marcate e vediamo che c’è la tendenza a guardare sempre meno ai problemi collettivi e ad occuparsi di più del proprio orticello. Poi certo ci sono piazze con cui dialoghiamo meglio e con cui da anni si portano avanti tematiche comuni.

Le presenze degli ultras di Ternana, Cosenza e Francoforte nella curva bergamasca

Agganciandomi alle vostre ultime parole, quali sono oggi le tifoserie con le quali siete in migliori rapporti, sia per quanto riguarda il tifo oppure quelle, pur avversarie, con cui condividete una certa linea di pensiero?

Per non sembrare quelli che fanno delle classifiche di “bravi” e “cattivi” e per evitare equivoci preferiamo rispondere solo alla prima parte della domanda, partendo dal rapporto che oggi la nostra curva ha con i ragazzi di Francoforte. Al di là del rapporto in sé che abbiamo costruito in tanti anni, questa esperienza ci ha fatto conoscere una realtà completamente nuova e che sembra quella italiana di venticinque anni fa: tamburi, megafoni, trasferte oceaniche, stadi sempre pieni, coreografie libere, fumogeni, torce. È bello vedere che la tifoseria organizzata è considerata una parte fondamentale dello spettacolo calcistico, senza avere mille fax da fare, mille leggi da rispettare, ma semplicemente per fare contenta la gente. Ogni volta che andiamo là vediamo che la libertà di tifo consente di fare grandi cose, peraltro – con tutto il rispetto che abbiamo per loro – va detto che non hanno inventato nulla ma hanno attinto molto al vecchio modello italiano, quando dalla serie A alla serie C gli stadi, anche se fatiscenti, erano pieni e colorati e la gente aveva voglia di fare il tifo, mentre oggi  mille leggi, prezzi assurdi e una gestione del calcio vergognosa hanno allontanato le persone.

In ambito italiano continuiamo a mantenere il gemellaggio con la Ternana, legame di lunga data che ha viene portato avanti e che alle spalle ha una lunga storia. C’è stima con i Cagliaritani, che anche se sono un gruppo ristretto e con una loro mentalità particolare restano molto tosti e quadrati, lo stesso con piazze passionali come Cosenza e con i ragazzi di Cava dei Terreni, con i quali abbiamo fatto molto in tema di problematiche ultras.

Andando a chiudere l’intervista proviamo a trattare questo tema: la percezione che ho avuto, seguendovi in questa parte di stagione, soprattutto nella seconda metà, è che la partecipazione al tifo si sia allargata, più che in passato, ad altri settori dello stadio. Avete lo stesso giudizio? Come si fa a gestire al meglio il passaggio generazionale.

Per tornare a cose già dette, con il nostro popolo c’è un rapporto importante, fondato sulla credibilità che la curva si è guadagnata dimostrando di fare quello che fa solo per pura passione. Quello che dici tu è vero ma è giusto dire che lo si deve anche all’entusiasmo per il gioco della squadra. Insomma un mix di fattori: da una parte i risultati, dall’altra una base solida a monte, infine  il rispetto di un popolo verso la curva e la sua passione.

Per quanto riguarda il passaggio generazionale, è stata una cosa che è venuta da sé, senza particolari problemi. Più che altro abbiamo pagato lo scotto della tessera del tifoso, nel senso che quella ha portato via ad un’intera generazione la possibilità di girare, andare in trasferta e vivere le situazioni ultras. Oggi le cose vanno un po’ meglio e andiamo avanti in modo naturale per la nostra strada. Le riunioni sono trasversali, dal sessantenne al quindicenne. L’esperienza di Roma, con 600 persone che decidono di seguirti in trasferta, spendendo più soldi di altre alternative possibili e sapendo che saresti stato in giro quasi due giorni la dice lunga, secondo noi. Su quel treno c’erano gli ultras ma c’erano anche persone che hanno detto “noi stiamo con chi ci ha sempre permesso, ed ha sempre permesso all’intera tifoseria, di girare”. È stata una dimostrazione forte, che fa bene al cuore e fa bene agli ultras.

Abbiamo concluso, non so se c’è qualche argomento che volete aggiungere.

Abbiamo detto molto, ma non possiamo dimenticarci, prima di tutto in casa nostra, di tutti i ragazzi che non hanno potuto seguire la squadra perché diffidati e che in questi anni, hanno sofferto in modo anche più pesante per quanto gli è stato sottratto. Naturalmente allarghiamo il pensiero a tutti i diffidati d’Italia e a chi, senza scopro di lucro, paga le pene della repressione. Vi ringraziamo per questa opportunità, vi esortiamo ad andare avanti così visto che la credibilità che vi siete conquistati in questi anni non è poca roba. Sport People da l’occasione di vedere tifoserie di tutto il mondo, di sentire vicine realtà che sono lontane e questo per gli amanti del tifo è una cosa bellissima e mai scontata. Avanti così…

Intervista raccolta da Simone Meloni, Valerio Poli, Lele Viganò.