C’è un aspetto nell’Italia del tifo che continua a colpirmi e a destare un certo piacere in me: la semplicità e la veracità della provincia. Nonché il suo sapersi rigenerare in fatto di stadio e portare avanti tradizioni, folklore e seguito anche in tempi dove forse per tutti sarebbe più facile (e conveniente?) arenarsi davanti alla pay-tv e concedersi il massimo del lusso domenicale con passeggiata e aperitivo in centro. Non che veda gli ultras come dei supereroi, intendiamoci. Il periodo di esaltazione adolescenziale è passato da anni e spesso mi trovo a criticare e disconoscere un mondo che giocoforza è soggetto al repentino cambiamento, costretto dalle mutazioni generazionali e dalle pressioni provenienti dall’esterno. Forse è un semplice discorso di comfort zone, oppure un voler a tutti i costi interpretare alcune sfaccettature del mondo attraverso gli occhi del calcio o della curva.

Sta di fatto che anche oggi, avvicinandomi a questa partita, provo sensazioni piacevoli nelle piccole cose. Nel vedere il ragazzo che indossa la sciarpa al bar, nella signora che si prepara a entrare allo stadio con il biglietto in mano, nella comitiva che staziona davanti al forno ingollando focacce e bevendo birra. O anche nell’ascoltare uno di quei classici cori da curva in cui si esaltano le peculiarità di un posto. Che so, in questo caso l’ultimo afflato di quel canto che tradotto dal dialetto recita: “…beviamo il Padre Peppe e nulla più” (il riferimento è all’omonimo liquore locale). La retorica e ormai stucchevole frase Ultras 7 giorni su 7 devo dire che mantiene un suo fondo di verità e proprio in questi contesti mi accorgo quanto, in fondo, quella della domenica sia solo la liturgia finale di un culto e di un modus vivendi che si estende a tutti i giorni della settimana. Non funziona così ovunque, sarei bugiardo a dirlo. E soprattutto non si riesce a radicare in tutti i posti in modo da resistere alle intemperie del tempo (e della repressione).

La mia prima e ultima volta ad Altamura è datata settembre 2017. Un match che vedeva i murgiani opposti al Taranto, al loro esordio in Serie D. All’epoca scrissi che si trattava di una bella realtà ma che, allo stesso tempo, avrei voluto rivederli a distanza di anni per capire se quel seme che si intuiva esser stato gettato in modo corretto, avesse poi germogliato altrettanto bene. Durante questo articolo avrò modo di rispondere da solo a questo antico quesito. Intanto, parlando solo ed esclusivamente di calcio, rimango ben impressionato da come i biancorossi abbiano strutturato il proprio lavoro in questi anni. Il club può contare su quindici investitori e sull’appoggio di varie attività commerciali altamurane. Già questo – nel calcio industria, dove presunti magnati prima arrivano baldanzosi e poi se ne vanno lasciando il deserto e la miseria sportiva – è un dato a favore di tutto il sistema calcistico autoctono, oltre che un incentivo a creare attaccamento, seguito e passione attorno al club cittadino.

Mettiamoci poi che il tessuto sociale altamurano (discorso che in realtà potrebbe valere per buona parte della provincia di Bari) si distacca notevolmente da quell’idea di Sud arretrato, intento a sbarcare il lunario e disorganizzato. Basta semplicemente farsi un giro in città, camminare per il corso, sotto la bellissima Cattedrale di Santa Maria Assunta fatta realizzare da Federico II, oppure osservare il traffico attorno a caseifici e forni tipici o la concentrazione di ragazzi nei localini incastonati nei caratteristici claustri, per intuire un certo benessere. Figlio, logicamente, dell’attitudine imprenditoriale dell’altamurano che non a caso in questa zona ha partorito numerose attività e, quindi, una fiorente economia. Un tratto distintivo di cui i locals vanno particolarmente fieri e per il quale Altamura registra un trend demografico diametralmente opposto alla maggior parte del mezzogiorno: basti pensare che la popolazione è passata dai 50.000 residenti degli anni ’80 ai 72.000 attuali. Uno status – anche dovuto alla vicinanza con Matera – che trae giovamento da un ormai consolidato ma non invadente turismo. Cosa che per ora permette alla città di “vendersi” rimanendo però accessibile a tutti e soprattutto godibile per i residenti.

Lo spaccato sociale è fondamentale per qualsiasi progetto sportivo (e quindi imprenditoriale) si voglia portare avanti. Il Team Altamura ha risalito lentamente la china, stabilizzandosi in Serie D e tentando, in questa stagione, l’assalto al professionismo. Un percorso ben cadenzato nei tempi e per questo credibile. Un percorso che ha marciato di pari passo anche con quello della sua tifoseria, che dopo essersi liberata dallo spettro di gestioni precedenti – le quali avevano fatto sprofondare il club nei meandri del dilettantismo pugliese, disamorando letteralmente la piazza – ha ripreso da un nocciolo di ragazzi il discorso tifo. Crescendo di stagione in stagione e mantenendo dritta la barra. Cosa per nulla facile quando si parla di realtà provinciali che a quaranta minuti di macchina hanno un mostro sacro del calcio italiano come Bari. Per testare il termometro di una tifoseria, come detto, è importante vedere ciò che succede attorno alla partita. E imbattersi in diverse scritte e manifesti per il centro cittadino, in ragazzi con le sciarpe e il materiale dei gruppi addosso, in striscioni che invitano tutti ad affollare le gradinate e in un clima che complessivamente riconosce palesemente l’importanza della sua squadra, è la perfetta cartina al tornasole di quanto bene abbiano lavorato tutte le componenti, a cominciare dagli ultras.

La gara in programma al D’Angelo è il derby della Murgia contro il Gravina. Un derby forse non tale in termini di rivalità sugli spalti, ma sicuramente “croccante” per un mero fatto di campanilismo. Le due città sono divise da tredici chilometri e chiaramente i rapporti tra le rispettive cittadinanze sono stretti e frequenti per i più disparati motivi. Gravina non vanta una tradizione calcistica e di tifo equiparabile a quella altamurana, sebbene per qualche anno i ragazzi dei Noi Ultras abbiano provato a dare un qualcosa in più in fatto di ambiente e negli ultimi mesi un altro volenteroso gruppetto sia sorto al seguito dei gialloblù. Per questi motivi parlare di rivalità da stadio è fuori luogo. C’è però quel “simpatico” astio tra vicini, che non guasta mai. E che, di fatto, fa riempire i rispettivi impianti ogni qual volta si disputi questa partita. Da amante del folklore poi, non posso che apprezzare i simpatici siparietti che ho visto consumarsi nelle emittenti locali tra vari personaggi di spicco dei club. Insomma: altro che i signorotti in doppio petto della Serie A, io mi prendo tutta la vita i ruspanti e vulcanici personaggi che ruotano in questo ambito!

La seconda domenica di ottobre regala una giornata dal cielo terso e dal sole alto a splendere e riscaldare buona parte del Belpaese. Stuoli di ragazzi marciano avanti e indietro, lambendo la cattedrale federiciana e fermandosi ai tavolini dei bar. In mattinata la squadra dell’Altamura ha effettuato una sorta di passeggiata in centro, per respirare ancor più gli umori cittadini. C’è indubbiamente il clima giusto, quello che ti fa ancora apprezzare un pochino il pallone e tutti i suoi risvolti. Da lontano si sente rimbombare qualche coro, i ragazzi di curva si stanno avviando verso lo stadio dopo aver fatto il loro prepartita. Lo spazio aggregativo del settore è solo l’apice di quello in cui quotidianamente si condividono pensieri per il tifo e non solo. E dove magari, perché no, si litiga e si fa pace. Le idee e la coesione nascono così, non certo a distanza o dal materiale creato asetticamente da tipografie e stamperie varie. L’amore per i propri colori – e quindi per la propria terra – si accende quando sei tu il primo a metter mano sul materiale, a realizzarlo, a vegliarne la giusta riuscita e ad innervosirti se qualcuno lo rovina o lo tratta male. Tutti tratti distintivi a cui la tifoseria altamurana dimostra di dare importanza.

Per raggiungere lo stadio ci si imbatte forzosamente nelle mura megalitiche. Il connubio storico/sportivo è sempre un qualcosa di bello, che sottolinea ancora una volta quanto quest’area nei secoli sia stata interessata da importanti passaggi culturali. Peraltro il toponimo Murum, precedente alla fondazione federiciana, è prettamente legato proprio a queste mura. Le stesse che a inizio XIII secolo convinsero Federico II a rifondare la città (cosa tipica nel suo modus operandi), erigendo come prima struttura proprio la Cattedrale. Ovvio, dunque, che come tanti centri pugliesi Altamura sia profondamente legata agli svevi, tanto che in molti suoi edifici sono ancora visibili effigi e simboli riconducibili a questo dominio mentre, tornando in epoca contemporanea, la festa di Federicus (rievocazione storica in cui tutta la città indossa abiti medievali) è divenuta un vero e proprio must, riuscendo a portare migliaia di visitatori. Altra curiosità, che poi ricade anche nel football, è quella legata al nomignolo di Leonessa di Puglia, affibbiato alla città nel 1799 quando, sulla scorta della Rivoluzione Francese, si cercò di delegittimare le autorità borboniche piantando nella piazza centrale un cosiddetto Albero della Libertà e manifestando in vari modi la volontà di rivolta. Fu necessario l’intervento dell’esercito della Santa Fede, capeggiato dal cardinale Fabrizio Ruffo, per ripristinare la calma. Questo portò a un inevitabile scontro con la cittadinanza che, seppur piegata alla lunga, si dimostrò tenace e fiera. Elementi che, dunque, valsero ad Altamura succitato appellativo.

Senza tediare troppo il lettore con approfondimenti storici, torniamo alla giornata calcistica. Quando manca un’oretta al fischio d’inizio, attorno allo stadio si respira il clima da partita importante. L’Altamura occupa il primo posto in coabitazione con la Fidelis Andria e una vittoria sarebbe fondamentale per arrivare allo scontro diretto – in programma una settimana dopo – carichi e motivati. La gradinata occupata dai tifosi di casa si va man mano riempiendo e alla fine si conterà il tutto esaurito, con oltre tremila presenti a cui vanno aggiunti i circa quattrocento tifosi giunti da Gravina. A colpirmi è la varietà con cui il settore biancorosso è composto: ci sono uomini e donne di ogni fascia di età ed estrazione sociale, cosa che rappresenta la vera essenza di questo sport. Ma soprattutto tanti giovani, segno di quanto le nuove generazioni – checché se ne dica – si stiano appassionando allo stadio. A maggior ragione, quindi, sarà compito dei più vecchi indirizzarli e non farli abbindolare da modelli sbagliati o commerciali. Rimarrò anche piacevolmente sorpreso dal numero di persone che continuerà a entrare a partita iniziata. Così tanti da doversi mettere attaccati alla recinzione non trovando un posto in tribuna.

Che la giornata sia di quelle “importanti”, “giuste” lo si capisce anche da quanto gli ultras provino a caricare la squadra nel prepartita. Tanti i cori che vengono scanditi, mentre alcuni responsabili del tifo si occupano di sistemare uno striscione che verrà srotolato all’ingresso in campo delle due squadre. Sotto la tribuna viene deposto un mazzo di fiori per ricordare Paolo Natalicchio, storico giocatore dell’Altamura militante in Serie C2 sul finire degli anni ottanta, scomparso proprio qualche giorno prima. A ricevere l’omaggio – accompagnato da una striscione – la moglie, con tutto il pubblico altamurano ad applaudire.

Ecco finalmente le due squadre sbucare dagli spogliatoi e di conseguenza la coreografia biancorossa prendere forma: sopra allo striscione “Mi aiuto con le illusioni e vivo di emozioni che tu non sai neanche di darmi” si innalza un intenso fumo rosso spezzato solo dai bengala che vengono sparati in aria. Sono un amante sfrenato della pirotecnica, quindi per me c’è ben poco da dire. Con torce, fumogeni e bengala risulta difficile sbagliare. Molto bella anche la scelta di effettuare una sciarpata che, una volta diradatasi la coltre di fumo, spicca dando colore a tutto il settore. Se mi posso permettere l’unica osservazione critica: da una tifoseria che realizza gran parte del materiale a mano e che è palesemente molto attenta a questo argomento, forse non mi aspettavo che lo striscione messo in balaustra fosse stampato.

Su fronte ospite riconosco che non mi aspettavo di trovare nulla di veramente cospicuo. Dovrò parzialmente ricredermi: sarà la partita di cartello, sarà il campanile, ma il manipolo di gravinesi intento a fare il tifo non sfigura affatto. Magari non parliamo di chissà quale portentosa torcida, ma i gialloblù – soprattutto nel secondo tempo – si mettono in mostra con bei battimani, qualche torcia e un tifo tutto sommato discreto.

Venendo ai padroni di casa e al quesito che mi ponevo in quella mia prima volta contro il Taranto: non solo hanno mantenuto ottimi standard, ma sono palesemente cresciuti. Sia da un punto di vista numerico che organizzativo. Negli anni gli ultras altamurani, come un po’ tutti, hanno accumulato anche diverse diffide, provvedimenti che pesano sempre come macigni in realtà non metropolitane; eppure il ricambio, la diffusione del credo ultras, gli ha permesso di tenere botta e andare avanti. A prescindere dall’ottimo tifo fatto per tutti i novanta minuti, si percepisce che la piazza è matura e sta vivendo davvero un ottimo momento. Non ne ho grossa memoria in passato (ma per semplici motivi di età) ma nessuno me ne voglia se mi permetto di dire che con tutta probabilità questa generazione ultras è la migliore (sicuramente la più continua e numerosa) sfornata dalla Leonessa di Puglia. La commistione con i più vecchi è visibile e non invasiva. Il giusto equilibrio che normalmente ci dovrebbe essere ovunque. Un equilibrio dove i più anziani sanno consigliare ma non vogliono imporsi. Perché – va ricordato – ultras è un fenomeno giovanile e tale dovrebbe rimanere. Anche se viviamo in un Paese troppo spesso “per vecchi”.

Altro dato che mi rincuora è vedere i presenti divertirsi. Troppe volte mi imbatto in curve che sembrano affrontare una missione di vita nell’organizzare e gestire il tifo. Posto che la questione ultras va presa seriamente se si vuol realizzare qualcosa di importante, andrebbe sempre messa come postilla di base: doversi divertire. Anche perché, svanito l’effetto ludico, rimane il senso del dovere. Cosa che nella vita andrebbe applicata ad aspetti sicuramente più intimi o lavorativi. Ergo: non prendersi troppo sul serio ma essere seriamente ultras è possibile.

Come detto il giudizio sul sostegno canoro è assolutamente positivo. Tanta voce, battimani e tantissimo colore, cosa che non guasta mai. Stendardi, due sciarpate e bandieroni tenuti sempre in alto. Forse, almeno nel secondo tempo, avrei preferito che lo striscione della coreografia venisse tolto in favore delle classiche insegne del tifo altamurano ma evidentemente questa scelta deve aver avuto una sua logica. Da segnalare la presenza dei gemellati di Potenza.

In campo sono i padroni di casa a spuntarla, grazie al gol di Lattanzio nel primo tempo. Una rete che fa letteralmente esplodere il settore, producendo un innalzamento dei decibel. Boato che si ripete al triplice fischio, dopo ben sette minuti di recupero e due espulsioni tra le fila gravinesi. Giocatori, dirigenti e presidenti vanno a festeggiare con gli ultras, in un abbraccio che contemporaneamente sa di sudore, fumogeni, tifo e attaccamento alla maglia. Applauso anche per i calciatori ospiti, a cui il pubblico gialloblù esprime tutta la propria gratitudine per una prestazione comunque buona, che fino all’ultimo minuto ha fatto soffrire i dirimpettai più quotati.

Finita la festa in campo il pubblico comincia a defluire, spostandosi chi nel piazzale esterno e chi nel centro cittadino. Il fine settimana non è ancora finito e prima di tornare al lavoro, il lunedì, in molti ne approfittano per continuare a bere o andare a mangiare qualcosa. Mi resta solo un grande dubbio, che è legato alla maniera scellerata di gestire il pallone in Italia: se per caso l’Altamura dovesse conquistare la promozione, cosa ne sarebbe di tutto questo contesto stadio? Appare palese come allo stato attuale il D’Angelo non possa disputare il terzo gradino del calcio professionistico. Un fantasma che – se si guarda in altri casi – spaventa e non poco tutto l’ambiente. Un eventuale “esilio” sarebbe a dir poco dannoso e rischierebbe di far perdere tutta quella base umana acquisita negli ultimi anni. Non conosco menadito un regolamento che è a dir poco cervellotico. Tuttavia spero e immagino che in caso possano esser concesse delle deroghe, mentre nel frattempo mi auguro che società e comune comincino a lavorare sull’impianto, laddove possibile.

Fatta quest’ultima considerazione non resta che riporre tutta l’attrezzatura e allontanarmi dallo stadio. Adesso saranno nuovamente il tempo (e anche le sorti calcistiche) a mostrarci di cosa saranno capaci Altamura e i suoi ultras. Di certo resta la buona sensazione di una realtà in salute, genuina e verace. Specchio di una città a tratti godereccia e a tratti profondamente impegnata a difendere ed esaltare la propria identità.

Simone Meloni