Ho un flashback chiaro sull’ultima volta in cui mi sono trovato di fronte gli ultras del Lecce. Ottobre 2010, i salentini sono di scena all’Olimpico contro la Roma e, in un clima di repressione selvaggia (successivo alla morte dell’Ispettore Raciti), che in breve tempo ha portato al massiccio divieto delle trasferte e all’introduzione della tessera del tifoso, i supporter giallorossi sono protagonisti – loro malgrado – di uno dei classici episodi destinati a passare sottobanco per un’opinione pubblica assetata di giustizialismo. Malgrado i successivi risvolti giudiziari che daranno loro ragione.
Diversi tifosi vengono portati in stazione proprio pochi istanti prima della partenza dell’ultimo treno per Lecce, senza la possibilità di fare il biglietto. Ne nascono alcune tensioni (sebbene molto più contenute di quanto vollero far credere gli agenti e alcuni organi di informazione). Quattro supporter vengono accusati di aver tirato il freno d’emergenza del treno che li avrebbe dovuti riportare in Salento e “ovviamente” quasi subito fatti oggetti di Daspo.
Altrettanto “ovviamente” – dopo ben cinque anni – questi quattro ragazzi saranno assolti con formula piena per non aver compiuto il fatto: non si trovavano sul treno.
È un po’ la cartina al tornasole degli ultimi anni di Ultrà Lecce. Se calcisticamente la squadra ha rivisto la luce solo la scorsa stagione, i suoi ultras hanno dovuto attraversare numerose vicende travagliate, fatte di imposizioni e, sovente, di violenta repressione partorita da una questura cittadina che evidentemente non ha mai ben digerito il modus operandi della Nord. Poi ci sono stati i Lecce-Carpi (con annessi strascichi giudiziari) e le tante delusioni sportive, che tuttavia sembrano aver forgiato gli ultras salentini.
I leccesi pagano sicuramente il loro oltranzismo, la loro voglia di arrivare fino in fondo nelle battaglie intraprese. Come nella vicenda Chiricò, il giocatore tornato in Salento dopo la schizofrenica finale playoff persa con il Carpi nel 2013, allorquando sbeffeggiò i suoi stessi tifosi con un selfie a bordo piscina e la frase “Finalmente, piscina e sigaretta”. Un atteggiamento che in tanti – ultras in testa – a Lecce non gli hanno mai perdonato, tanto da far scoppiare una vera e propria rivolta al suo ritorno.
In settimana la società ha deciso di mettere fuori rosa il calciatore, con la sua probabile cessione nel mese di gennaio. Una scelta anti-storica se ci si riflette: da una parte c’è un club che ha avuto il coraggio di ascoltare in toto i propri tifosi e, dall’altra, una curva che ha battuto veramente i pugni sul tavolo per far sentire la propria voce. In un movimento dove spesso si combattono battaglie all’acqua di rose per stemmi cambiati o nomi storpiati, è una notizia anche questa. E se mi permettete credo sia anche la scelta più giusta.
Ormai si considera il tifoso come uno scomodo cliente. Scomodo e fuori luogo anche per le stesse società che in maniera avida ne raccolgono i soldi. Se ogni tanto ci si ricorda dell’aspetto ancestrale e tribale (oltre che sentimentale) di questo sport non può certo far male. E vadano a quel paese tutti i moralisti imbrillantinati pronti a parlare di “ultras padroni del calcio”. Se davvero lo fossero, i campionato sarebbero quantomeno già iniziati in toto!
In virtù di tutto ciò sono quindi curioso di rivedere i giallorossi all’opera. Liberati – almeno in parte – dall’infame zavorra della tessera del tifoso, i salentini sono tornati a viaggiare con una certa costanza. E anche oggi arrivano numerosi al Del Duca. I biglietti ufficialmente venduti sono 689, anche se, onestamente, a vedere il settore ospiti penso siano qualcosina in meno.
Quasi tutti a petto nudo si mettono in evidenza per una bella unità. Compatti, sincronizzati e all’unisono. Doti che in un’Italia ultras sempre più raffazzonata non è semplice trovare. Si tratta evidentemente dell’altro risvolto di una medaglia marchiata dalla “coerenza ad oltranza”, come avrebbero detto una volta i DK Teramo. Questo modo “retto” di vivere la curva (che può anche non piacere, ma secondo me va rispettato. Come vanno rispettati tutti quelli che combattono battaglie e portano avanti il proprio credo mettendoci la faccia) fortifica chiaramente lo spirito di gruppo. Ed il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Una bella prestazione di tifo, senza sosta per tutti i 90′ (diversi cori scanditi anche durante l’intervallo) e con quel piglio deciso che è sempre bello da vedere. Soprattutto salendo di categoria.
Se mi sono concesso una lunga filippica sui leccesi, non vuol dire che abbia ignorato padroni di casa. Non venivo ad Ascoli da almeno due anni. L’ultima volta c’era ancora la vecchia curva e si giocava in notturna.
La nuova struttura della Sud – sono onesto – non mi fa impazzire. Non amo i settori in acciaio e soprattutto sono visceralmente attaccato a stadi come il Del Duca, che ritengo veri e propri templi del calcio italiano e mi piacerebbe vedere custoditi meglio. Nel caso di fattispecie, quello che mi chiedo è: visti i lavori di rifacimento cui sono sottoposti i Distinti, non si poteva rimettere mano anche alla curva e lavorare sulla sua struttura in cemento? Certo, va anche detto che i tempi con cui viaggiano i lavori dei Distinti sono a dir poco biblici e contemporaneamente forse si doveva comunque trovare una soluzione alternativa a una curva che da fuori è visibilmente scrostata e pericolante.
Di contro va detto che il settore attaccato al campo ha sicuramente giovato agli ultras marchigiani, in grado di trasferire ancor più il proprio calore ai calciatori bianconeri.
Ascoli è una piazza che ha un bel rapporto con il calcio. E non parlo solo di tifo organizzato. Malgrado una squadra che negli ultimi anni ha vivacchiato nelle zone basse della classifica (cosa che probabilmente si ripeterà anche in questa stagione) i numeri sono sempre importanti. Anche oggi circa 6.000 spettatori popolano le gradinate. Un dato importante se si pensa all’inagibilità di gran parte dello stadio.
Il cambio di società, con l’avvicendamento di Pulcinelli (patron dell’azienda Bricofer) a Bellini, ha soddisfatto tanti e ridato fiducia a quei tifosi che nella precedente gestione non vedevano più uno spiraglio di miglioramento. È chiaro che l’ascolano vorrebbe di più, vorrebbe una squadra capace di lottare per la Serie A e riportare agli antichi fasti un Picchio che – tolta la parentesi di metà anni 2000 – da oltre due decenni naviga pressoché nell’anonimato. E con tutta franchezza penso che tali pretese siano anche giustificate. Anche pensando alle “non squadre” e alle “non tifoserie” che attualmente disputano la massima categoria.
La Sud è come di consueto quasi tutta esaurita e dopo la bella sciarpata iniziale si mette in mostra con un tifo di ottima fattura: tante manate, voce tenuta sempre in alto e una bella intensità. Basta guardare qualche istante la balaustra, da dove partono i cori, per rendersi conto come gli Ultras 1898 abbiano davvero fatto un gran lavoro in qualità e organizzazione. Ognuno sembra avere il proprio compito e – cosa non da meno – il tifoso che entra in Sud si identifica nel gruppo pur non facendone parte, ma seguendolo e avvicendandolo. Aspetto davvero fondamentale per non trovarsi di fronte a quegli spettacoli di scoramento e dispersione a cui diverse curve italiane ci hanno ormai abituato.
Se devo fare una piccola critica: sarebbe bello vedere più bandiere e bandieroni al vento. Completerebbe alla perfezione la performance.
In campo i piceni hanno la meglio grazie a un gol di Ardemagni. Finisce con tutte e due le squadre sotto ai settori per ricevere i meritati applausi.
Ascoli-Lecce non sarà gara adatta ai palati fini del pallone, ma è una sfida ultras a tutti gli effetti. Merce rara nel 2018.
Simone Meloni