Il movimento ultras è ciclico. Lo sono i suoi protagonisti, i gruppi e le curve per intero. Facendo mente locale, in genere, siamo portati a legare un dato periodo storico a questa o a quell’altra tifoseria, che in siffatti anni è stata capace di crescere e dare costantemente dimostrazioni di forza dentro e fuori gli stadi. Sebbene nel 2024 tutto sia in parte ridimensionato e vada giocoforza commisurato con lo spazio ristretto in cui ci si trova a muoversi, questo concetto di massima è rimasto intatto. E la finale di questa sera ne è fulgido esempio. Di fronte si ritrovano due tifoserie che, in epoche differenti, hanno scritto pagine importanti della storia legata al nostro tifo organizzato. Bacini d’utenza diversissimi, modo di vivere gli spalti anche. Club non paragonabili, se non altro perché da una parte c’è la regina delle provinciali, che ormai da anni ha alzato l’asticella della propria competitività lavorando bene, in modo oculato e programmatico e dall’altra la società più tifata (e odiata) in Italia, con un seguito che va anche ben oltre i confini nazionali e che da sempre divide l’opinione pubblica. In comune, tuttavia, ci sono i recenti cambiamenti e scossoni che hanno travolto, coinvolto e rigenerato le tifoserie organizzate.

Con lo scioglimento della Curva Nord Bergamo, nel settembre 2021, è andata in archivio un’epoca storica del tifo atalantino. Un corso che ha segnato l’esser ultras sia in seno alla curva orobica che in molte sfaccettature delle tifoserie nostrane in toto. Un gruppo che ovviamente ha raccolto consensi e critiche, ma al quale credo sia imprescindibile affiancare la parola ultras. Attualmente non conosco in modo così approfondito la situazione dei bergamaschi e non voglio entrare in disquisizioni che sarebbero campate in aria. Di sicuro dopo un simile scossone sembra esserci bisogno di tempo per ritrovare una quadra e, aggiungo, l’incedere dell’Atalanta in Serie A e in Europa, ha per certi versi reso ancor più difficile portare avanti un discorso ultras “ortodosso”. Le vittorie portano giocoforza più gente al seguito, molta della quale poco è avvezza alle dinamiche ultras. Intendiamoci: parliamo di una piazza che in Italia ha fatto scuola e il cui livello rimane sempre alto, ma attualmente è forse un po’ distante dall’immagine che ha sempre dato di sé, sia esteticamente che nel modo di vivere lo stadio. Questo almeno è ciò che intuisco osservandoli stasera all’Olimpico, durante la terza finale negli ultimi cinque anni. Anche pensando all’altra finale che li ha visti protagonisti sempre a Roma, contro la Lazio, nel 2019. Periodo di transizione? Probabile, di certo Bergamo non rimane a secco di “risorse umane”, proprio perché l’Atalanta è una religione e gli ultras i suoi profeti. Proprio perché, anche grazie al modo di militare degli ultimi trent’anni, i bergamaschi sono un tutt’uno con la loro squadra. Quindi secondo quel principio per cui nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, staremo a vedere quale sarà il futuro prossimo della tifoseria lombarda, anche in virtù del palese cambio generazionale che l’ha riguardata negli ultimi anni.

E se su fronte atalantino si resta un po’ in una fase interlocutoria, su quello bianconero – come già evidenziato in occasione della semifinale contro la Lazio – la ricostruzione post bellica (perché la repressione che ha investito la Sud è paragonabile a un vero e proprio bombardamento) ha fatto lentamente rialzare lo zoccolo duro juventino. Dietro “nuove” insegne, con un nuovo piglio, con battaglie che per forza di cose non possono esser concluse, ma con un ritorno davvero convincente sugli spalti. Ok, rispondo anticipatamente ai sofisti che fanno finta di non capire: non sto dicendo che gli juventini di oggi siano tout court divenuti i Grobari d’Italia in fatto di tifo. Ad esempio, nessuno me ne voglia, ma molto del materiale portato – soprattutto al di fuori dei gruppi – lo ritengo davvero di pessima fattura. Tuttavia il lavoro fatto, quantomeno per tornare a cantare e sostenere la Vecchia Signora, è indiscutibile. Anzi, mi spingo anche oltre: gli juventini di questi ultimi tempi, con tutta probabilità, riescono a cimentarsi in performance migliori anche delle ultime stagioni prima della messa al bando da parte della dirigenza sabauda. E va sempre ricordato quanto per i gruppi sia difficile coordinare persone provenienti da ogni parte dello Stivale, con mentalità che spesso sono distanti anni luce da quelle curvaiole. Altra specifica: la mia non è una santificazione, è alquanto chiaro che anche in seno agli ultras bianconeri ci siano stati errori e questioni che hanno travalicato la mera faccenda ultras. Ma la società ha utilizzato questi elementi per eccedere nel proprio potere, sfruttando una situazione che per forza di cose si poteva creare solo attorno alla Juventus. Ergo: chi ha sbagliato sta pagando e pagherà, ma questo non deve distorcere l’attenzione da una certo tipo di abusi. Né la latente antipatia che un club come la Juve può generare, deve far “sbandare” chi guarda le curve in una certa maniera. Anche al nemico più acerrimo penso si debba augurare di poter avere la libertà di tifare e andare in trasferta.

Fatte queste considerazioni, passiamo alla sfida del tifo. Malgrado i soliti prezzi indecenti (Curve a 30 Euro, Distinti a 55, Tribune addirittura dai 130 ai 220 Euro) l’Olimpico registra sold out per l’atto finale della competizione più maltrattata e svilita del globo terracqueo. Una kermesse ormai uccisa da un format che ne ha cancellato qualsiasi competitività e fascino, relegandola a ultima ancora di salvezza delle big, che spesso con questo trofeo puntellano le loro stagioni zoppicanti. Inutile dire che forse siamo l’unico Paese europeo a condurre così la coppa nazionale. E non si vede alba all’orizzonte. Non paghi della formula, ovviamente, si pensa di dare la stoccata finale al circo facendo cantare l’inno nazionale a personaggi che da anni hanno fatto il loro tempo e di cui è rimasta solo la caricatura. Senza voler entrare troppo nel merito, davvero mi chiedo il perché si debba far cantare – e soprattutto interpretare – una canzone del genere a soggetti che steccano alla prima nota o rimodulano l’Inno di Mameli a proprio piacimento. A quel punto non è meglio affidarlo alla cara e vecchia banda? Capisco che ormai tutto debba essere social (anche le figuracce), ma ogni tanto si potrebbero usare dei criteri logici prima di favorire le copiose prese in giro provenienti da ogni dove.

Quando le due squadre entrano sul terreno di gioco, le rispettive fazioni esibiscono le scenografie: i bergamaschi compongono il volto della Dea nella parte sinistra del settore e una coccarda nerazzurra in quella sinistra, mentre in Sud gli juventini calano un telone centrale raffigurante una zebra, alzando migliaia di cartoncini che vanno a formare tre strisce orizzontali bianconere e due dorate. Sul tartan esposto lo striscione “Non c’è stella che brilla più di te”, motivato dall’accensione di diverse torce nella parte bassa della Sud. Due spettacoli sicuramente nelle norma, senza grandi sbavature e tutto sommato ampiamente sufficienti. Non sono esperto e amante delle scenografie – soprattutto di quelle troppo elaborate – ma comprendo che in una finale ci possa stare la loro realizzazione, quindi cerco di apprezzarne la riuscita.

La gara ha inizio e dopo soli 4′ Vlahovic sigla la rete dell’1-0, che risulterà poi decisiva per la vittoria. Il gol ovviamente galvanizza il settore bianconero, che durante i primi 45′ sarà autore di una bella prova, caratterizzata da manate e cori tenuti abbastanza a lungo. Diverse le torce accese. Ovviamente l’abilità dei lanciacori sta nell’individuare canti che possano coinvolgere tutti, cosa che tutto sommato sembra riuscire. Nella ripresa un po’ di flessione nei primi 20′, per poi infiammarsi nelle fasi finali, quando le squadre in campo si beccano e la vittoria man mano si avvicina. La rete a freddo ovviamente colpisce in pieno il settore orobico, che impiega qualche minuto prima di iniziare a carburare e sostenere a gran voce la Dea. Non a caso il loro tifo sarà migliore nella ripresa, con un coro a rispondere eseguito praticamente da tutti, diversi battimani a tutto settore e una sciarpata fittissima, in grado di coinvolgere ognuno dei presenti.

Dopo lo show di Allegri, che si fa espellere e, stizzito, getta in terra giacca e cravatta, arriva il triplice fischio e la festa bianconera può avere inizio. Quindicesima Coppa Italia per i bianconeri, che dopo tutte le difficoltà registrate in campionato, salvano parzialmente l’annata alzando un trofeo al cielo. Dramma sportivo per gli orobici, che perdono la terza finale e restano prigionieri di un sogno, che conoscerà la propria liberazione solo quattro giorni più tardi, in quel di Dublino. Ma questa è una storia che avremo modo di raccontare più approfonditamente. L’epilogo della serata è l’istantanea dei giocatori juventini che porgono la coppa agli ultras, un segnale a dir poco “storico” e fondamentale, di palese riavvicinamento tra tutte le componenti dell’universo bianconero. Intorno a mezzanotte l’Olimpico va svuotandosi, rimangono solo i soliti gabbiani a volteggiare sul manto verde. Il Lungotevere si riempie di tifosi diretti ai pullman e verso la metro, rimasta “miracolosamente” aperta fino all’una e mezza. In un insolito impeto di modernità da parte della città di Roma…

Simone Meloni