C’è il “classico” stuolo di nuvole a coprire l’Irpinia quando supero la galleria che passa sotto Monteforte, fungendo da vero e proprio punto di cesura tra il Mandamento di Baiano e il territorio comunale di Avellino. Non è prevista pioggia e la temperatura è tutto sommato mite, anche se il cielo terso dei giorni scorsi sembra essersi preso qualche ora di ferie. Malgrado sia lunedì. Malgrado, come da prassi per il calcio contemporaneo, al Partenio sia previsto un derby d’alta quota tra i padroni di casa e il Benevento. Sono salito in modo trafelato sul primo pullman dell’AIR disponibile, facendo letteralmente una corsa dal mio treno in ritardo al Metropark di Napoli, così nel tragitto che si inerpica sull’A14 non posso fare altre che riprendere innanzitutto il fiato e poi gustarmi il paesaggio che, dopo Pomigliano, si colora profondamente di verde, con quelle montagne in cui si scorgono sentieri e mulattiere evidentemente ancora utilizzate. Il confronto odierno mette di fronte anche due espressioni particolari del territorio italiano meridionale: belli, veraci, non ricercati nei grandi circuiti turistici e soprattutto ancora intrisi di storia e tradizione. Se si pensa a quanto, nei cori e negli striscioni, le tifoserie richiamino spesso irpini e sanniti (non mi inoltro in polemiche riguardanti chi facesse cosa, si faccia attenzione, sto analizzando solo ed esclusivamente l’aspetto storico/campanilistico), si ha un quadro perfetto del filo rosso che visceralmente mantiene unita questa gente al passato con fierezza, volendo identificarsi nella propria terra d’origine e nelle sue radici.

I destini calcistici dei due club sono tornati a incontrarsi in questa stagione, riaccendendo subito la fiammella di un’antipatia ben nota e forse logica, considerati i soli quaranta chilometri che dividono le due città. L’inattesa promozione della Juve Stabia ha colto di sorpresa biancoverdi e giallorossi, che in estate avevano allestito squadre per puntare direttamente alla cadetteria, rischiando seriamente di trovarsi con un pugno di mosche in mano e veder vanificati tutti gli sforzi finanziari. Anche per questo la sfida odierna risulta cruciale, almeno per blindare quel secondo posto che permette di iniziare i playoff già dai Quarti di Finale. Ci sono poi le scorie dell’andata a rendere ancor più “croccante” l’attesa. Beninteso che in altri tempi staremmo parlando di normale amministrazione, ma nel match disputato al Santa Colomba qualche bomba carta, diverse torce e un paio di striscioni irriverenti (in particolar modo l’esposizione di un QR Code da cui veniva visualizzato uno sfottò nei confronti dei giallorossi) costarono la squalifica della curva e il divieto di trasferta ai tifosi avellinesi. Tanto che fino all’ultimo ho temuto che ai beneventani venisse preclusa la presenza odierna, sfruttando quella che ormai è diventata una prassi dei nostri ipocondriaci tutori dell’ordine pubblico. Fortunatamente l’Osservatorio ha gentilmente concesso ai sudditi di poter accedere in un luogo pubblico: cinquecento biglietti per i sanniti (in virtù della limitata capienza), che ovviamente sono terminati in breve tempo. E siccome di questi tempi tanto vale vivere ogni derby come sia l’ultimo a porte aperte, non avevo altra scelta rispetto a quella di mettermi in viaggio e presenziare.

Non metto piede nell’impianto di Contrada Zoccolari da circa un anno e apprendo con piacere che dopo tempo immemore, le istituzioni cittadine sono quantomeno riuscite a sbloccare un discreto numero di posti in Tribuna Montevergine, portando la capienza attorno alle diecimila unità. Un numero sempre basso se si pensa che negli anni ottanta questo stadio arrivò a ospitare qualcosa come 48.000 spettatori. Cifre impensabili con le rigide regole odierne sull’ordine pubblico, ma – francamente – anche difficili da sfiorare per una struttura che da tanti anni versa in pessime condizioni, con settori come la Curva Nord chiusi ormai dalla notte dei tempi e atavici problemi legati alla scarsa manutenzione. Eppure per chi, come me, ama gli impianti di una volta – veri, senza fronzoli, spartani e popolari – il Partenio esercita sempre un certo fascino e le recenti voci che ne vorrebbero la demolizione in luogo di una nuova arena, se da una parte posso comprenderle, dall’altra lacerano totalmente il mio lato nostalgico e “ortodosso” in fatto di calcio. Arrivando abbastanza presto a ridosso dei cancelli, chiedo gentilmente agli steward di poter entrare per scattare qualche foto ai murales realizzati dagli ultras agli ingressi della Sud. Tralasciando tutte le storie che i soggetti in pettorina sono soliti fare (la domanda più bella: “Ma lei è davvero un fotografo? Io non ho mai visto nessuno fotografare dei murales!”), manco stessi chiedendo di entrare senza biglietto per piazzare un ordigno nucleare, è palese come l’unico tocco di novità ed estetica alle sgangherate mura lo abbiano dato proprio i ragazzi del tifo organizzato, realizzando graffiti molto belli e significativi, in grado di unire la militanza curvaiola all’appartenenza territoriale e calcistica. Una cosa ben riscontrabile anche camminando per Avellino qualche ora prima del fischio iniziale: tanti sono i ragazzi con sciarpa e bandiera biancoverde che si muovono sul Corso e nelle zone circostanti Piazza Macello, imboccando la salita che porta proprio di fronte al Partenio. Ma che i colori biancoverdi siano un qualcosa di “riconosciuto”, diffuso e identitario da queste parti non lo scopro certo io. Basta uscire dal capoluogo e inoltrarsi nei paesi dell’Alta Irpinia, verso Puglia e Basilicata, per imbattersi in stemmi, gagliardetti, maglie e sciarpe apposte quasi sempre in bar e negozi. Addirittura, senza alcun motivo valido, tempo fa ricordo le strade di Montefalcione imbandite con nastri bianchi e verdi tesi da una finestra all’altra. E del resto, soprattutto nel passato, il serbatoio della provincia era davvero importante per la Sud. Basti pensare al gigante striscione S. Potito che in diverse gare dei Lupi spiccava nel settore.

Passo davanti al PalaDelMauro, anche lui vecchio baluardo di un’Avellino vincente e ai vertici sportivi, rimasto per qualche anno orfano della Scandone e da qualche tempo di nuovo casa del club cestistico, che è ripartito dalle basse categorie nella speranza di ritrovare la strada maestra. Inoltrandomi tra le macchine parcheggiate, arrivo alla biglietteria dove ritiro senza problemi il mio accredito, temporeggiando ancora un po’ prima di entrare. Nei giorni precedenti la Sud ha diffuso un comunicato con cui ha invitato tutti i tifosi a portare allo stadio una sciarpa e quasi tutti sembrano aver preso alla lettera questa richiesta. Del resto il colore è sempre stato un marchio di fabbrica per gli irpini e stasera ne daranno ampia dimostrazione. Quando metto piede sul tartan della pista d’atletica quasi tutti i settori agibili sono pieni, offrendo una cornice che a queste latitudini non vedevo da tempo. Comincio a girare attorno al perimetro di gioco, per capire dove iniziare a scattare e per scrutare movimenti e gesta dei tifosi. Il contingente ultras ospite deve ancora fare il proprio ingresso, mentre i padroni di casa sono al gran completo con tutte le pezze appese in balaustra. Diverse volte ho sottolineato come non ami particolar mente gli striscioni recanti il nome della curva o quello della città, pertanto trovo apprezzabile il cambio di rotta dei biancoverdi, che a questi ultimi hanno da qualche tempo preferito diverse pezze, restituendo un impatto secondo me più marcato e particolare rispetto a una sigla generica dietro cui si perdono un po’ le varie identità di un settore. Tra i drappi appesi spiccano anche quelli dei gemellati del Den Haag, ormai da diversi anni legati ai campani e presenti al Partenio ogni qual volta possano.

Le due squadre guadagnano la strada degli spogliatoi dopo la fase di riscaldamento, con i padroni di casa che iniziano a scaldare i motori e che, all’ingresso dei giocatori, trasformano l’intera Curva Sud in un tappeto di sciarpe biancoverdi. L’effetto è davvero mozzafiato e penso di non esagerare affermando che è una tra le dieci sciarpate più belle mai viste da me in Italia (ai livelli sempre di quella realizzata sempre da loro contro il Lanusei, nello spareggio per la C disputato a Rieti nel maggio 2019): fitta, duratura, ben fatta. Che poi, senza voler sminuire, ma se ci pensiamo ci vorrebbe davvero poco per trasformare un settore asettico in un muro con i propri colori. Al di là di qualsiasi scenografia, ci sono degli elementi base della cultura curvaiola italiana che sono intramontabili e oggi, come quarant’anni fa o come tra trent’anni, saranno sempre vincenti: bandiere, sciarpe, torce e fumogeni. I quattro elementi! Non a caso, successivamente alla sciarpata, in Sud fanno capolino proprio torce e fumogeni, a completare l’opera e a dare veramente un grande impatto. Mentre accade tutto ciò, lentamente si comincia a intravedere l’ingresso dei beneventani, che avviene a partita iniziata, evidentemente ritardato dalla polizia. Il clima si accende e ora si può parlare di confronto completo sugli spalti. Se l’aspetto pirotecnico ha contrassegnato l’inizio del tifo avellinese, di certo non si può dire che i tifosi della Strega siano da meno: dopo qualche minuto in cui, oltre a diversi cori e qualche torcia, non sembra avvenire molto, ecco uscire lo striscione “1912 All Irpinians Are Bastards“, seguito da una discreta quantità di fumogeni, torce e bomboni, a cui gli avellinesi rispondono con uno striscione che ironizza sulla similitudine tra l’ingresso giallorosso al Partenio e quello biancoverde al Santa Colomba. I Vigili del Fuoco sembrano faticare prima di ridurre tutto a una coltre di fumo, ma lo spettacolo per un malato di pirotecnica come il sottoscritto è davvero pregevole e fa il paio con la maestosa fumogenata realizzata dai giallorossi al termine della precedente sfida casalinga contro la Juve Stabia. Cosa dire? Il Girone C di quest’anno ci ha regalato profonde emozioni, pensate se fossimo stati nel 2002 e non ci fossero stati divieti!

A questo punto mi posso concentrare sul tifo delle due fazioni. I beneventani, che non vedevo da qualche anno, si dimostrano in discreta forma, realizzando una buona performance soprattutto nel primo tempo: tanti battimani, cori a rispondere, diverse torce e un buon numero di striscioni esposti contro i rivali. L’ultimo, in ordine cronologico, recita: “Il Cobra vi avvelena e se ne va”, facendo sarcasmo sull’omonimo personaggio di spicco del tifo sannita che in settimana si è fatto immortalare sulle gradinate vuote del Partenio. La discesa dalla Serie A alla C non sembra aver fiaccato lo zoccolo duro del tifo organizzato beneventano, autore fin qui di una buona stagione e di presenze significative negli storici derby che hanno impegnato la Strega in quest’annata. Molto bella, dopo il fischio finale, la permanenza nel settore con pezze, striscioni, torce e cori, a rispondere agli avellinesi che nel frattempo festeggiavano il successo. Per quanto riguarda la prova dei padroni di casa, penso di poter dire che è tra le migliori a cui ho assistito in questo stadio: non era facile orchestrare un numero di presenze molto più alto del solito e non era facile stimolare tutti a seguire il direttivo, eppure i lanciacori si sono dimostrati bravi sia a fomentare il popolo che a seguire la gara, non sbagliando i tempi dei cori. Notevole la seconda sciarpata eseguita nella ripresa, stavolta in pieno stile avellinese (sciarpe su, sciarpe giù) e sempre bello vedere torce e fumogeni venire accesi in discreta quantità. Alla fine la squadra di Pazienza ripaga il suo pubblico vincendo per 1-0, grazie al gol di Sgarbi realizzato negli ultimi dieci minuti. Un successo importante, che fa letteralmente esplodere di gioia uno stadio che ovviamente ci crede e chiama la squadra sotto al settore per caricarla, sebbene la lotteria dei playoff sia folle e imprevedibile.

Le ultime schermaglie, come detto, durano diversi minuti, tanto che le luci dello stadio cominciano ad abbassarsi e un discreto fresco comincia a farsi sentire. Nel piazzale antistante lo stadio diversi ragazzi si fermano a cantare per l’Avellino e per i diffidati. Anche qui sembra esserci stato un importante ricambio generazionale, seguendo un trend che – fortunatamente – riguarda un po’ tutta l’Italia. Se i risultati sono importanti, altrettanto lo sono questo genere di partite, dove vengono fuori questioni identitarie e il campanile fa dare quel qualcosa in più per difendere il proprio gonfalone e i propri colori. In una città ormai da tanti anni falcidiata dall’emigrazione “selvaggia”, la squadra di calcio rischia di essere uno dei pochi punti d’unione con le proprie origini, che per tante, endemiche, cause, rischierebbero di essere cancellate e travolte. Mi lascio alle spalle questa porzione di Irpinia ma anche queste due terre produttrici del sacro nettare chiamato vino. Terre che negli anni sono riuscite a farmi apprezzare anche il bianco, verso cui in passato ero restio. Questo tanto per sottolineare il legame interculturale prodotto dal calcio e dal suo tifo, nonché l’innata e infinita voglia di sperimentare e comprendere ciò che si “calpesta”. Posso tornarmene verso Roma, senza ovviamente ignorare la Via Appia, la Regina Viarium che da queste parti “scorre” da millenni e che mi fa sempre sentire un pochino a casa. Mi fa sentire certo di non perdermi.

Simone Meloni