Poco più di venti chilometri dividono Bisceglie e Andria e quando mancano sei giornate all’epilogo di questo girone meridionale di Serie C, questo derby assume una certa importanza soprattutto per la Fidelis, alla quale sono imprescindibilmente richiesti punti per uscire dal pantano della zona playout. Molto più tranquilla la situazione dei nerazzurri-stellati di casa che, da neopromossi, hanno assolto all’obiettivo imposto e seppur ancora non matematicamente salvi, ci sono ormai molto vicini, con un rassicurante margine di sei punti dalla zona calda della classifica e a soli due di distanza dai playoff.

Fra le due tifoserie, pur se non si può parlare di gemellaggio, i rapporti sono molto distesi, in virtù anche di qualche amicizia e rivalità comune. Ed anche personalmente, è la possibilità di rivedere alcuni amici che fa da motivazione ulteriore ad assistere a questa gara che si gioca il sabato di Pasqua.

Risposta ottima della tifoseria ospite i cui 538 biglietti a disposizione sono andati completamente esauriti e più di qualche presenza biancazzurra la si registra anche in Tribuna. Un po’ meno partecipata la risposta del resto dello stadio, in cui si registrano in totale 1.742 spettatori, comunque una cifra nemmeno così disprezzabile di questi tempi e che in ogni caso rappresenta il record stagionale.

La lunga gradinata di casa è però oggettivamente molto dispersiva e finisce inevitabilmente per creare una certa scollatura fra lo zoccolo duro di ultras, che sostiene la squadra in campo, e il pubblico più compassato che partecipa quindi poco o nulla al sostegno canoro. Paradossalmente ne finiscono avvantaggiati gli andriesi, molto più raccolti nel settore a loro dedicato e che nel rapporto di forze a proprio favore, spesso e volentieri soverchiano i padroni di casa. In tutto questo però va sottolineato che il confronto non risulta affatto impietoso e i biscegliesi si impegnano moltissimo nel tifo vocale, risultando generosi sia in termini di continuità che di potenza espressa.

Per restare ai padroni di casa, ad inizio gara si presentano con una bella coreografia annunciata dal lungo (forse pure troppo, in termini di simmetria con la coreografia stessa) striscione in ringhiera: “Da bambino accostavo il nero e l’azzurro… una storia raccontata, una leggenda vissuta. Sono cresciuto con questi colori e li difendo assediando questi gradoni”. Quando i ventidue atleti scendono in campo, si apre un bandierone copricurva centrale che replica lo stemma dell’AS Bisceglie mentre ai lati vengono alzate una serie di strisce di plastica nere, azzurre e bianche che, per essere onesto, sono poco fitte, un po’ scure e non risaltano molto come colpo d’occhio, però in generale la coreografia è comunque piacevole e tutto sommato riuscita.

Molto più semplice ma non meno bello il saluto della tifoseria andriese all’ingresso delle squadre, che nel segno della tradizione rispondono con una bella sciarpata a tutto settore, ben partecipata e rinforzata da qualche bandiera. Tra queste spicca quella raffigurante il volto di Marco, giovane ultras scomparso da poco, che con la sua vena artistica aveva dato forma, colore e stile al materiale andriese e che per un brutto scherzo del destino è finito per venirne immortalato al suo interno, per esorcizzare il dolore e perpetuarne il ricordo.

I primissimi cori che gli andriesi intonano, già nel prepartita sono dedicati proprio a Marco: posso immaginare quanto bruci il dolore, ci sono passato da militante attraverso una perdita ugualmente lancinante, e per quanto il trascorrere degli anni mi abbia poi trasformato in un osservatore spesso cinico, critico e disilluso di questo movimento, se c’è un solo suo valore in cui credo ancora ciecamente a distanza di tanti anni, quello è proprio l’amicizia. L’adesione agli ideali ultras può esser millantata o nelle migliori delle ipotesi una recita ben riuscita, l’amicizia si dimostra invece spesso vera come in ben pochi altri contesti avviene. Un’amicizia solidaristica che riesce a resistere all’usura del tempo, in certi casi ad andare oltre la morte o divenire oggetto di memoria condivisa e non è qualcosa che avviene in tutti gli altri contesti “normali” del resto della società, o almeno non in maniera così estesa.

Detto di “quello che degli ultras non dicono”, perché la stampa voyeuristica e perversa sguazza solo nella violenza per il proprio onanismo verbale, torniamo al tifo vero e proprio. La prestazione di entrambe le tifoserie sarà condizionata da un forte vento che se incentiva a tenere sempre alte e aperte le bandiere, spesso disperde e soffoca il potenziale canoro espresso. Lo stile delle due tifoserie è molto simile, facente leva su un repertorio canoro tipicamente tradizionale, con molti cori secchi e ripetuti, accompagnati da battimani ritmati e altri cori cantati che sono un giusto mix fra vecchi motivi e qualche nuova “hit” delle curve nostrane non però portate fino all’esasperazione e alla trasformazione in lagna come succede da certe parti.

Primo tempo davvero convincente sugli spalti che lascia poi spazio ad un secondo tempo in cui un certo calo fisiologico delle contendenti ultras, si accompagna ad una maggiore apprensione per quanto succede in campo. Parte meglio la Fidelis, spinta dalle maggiori motivazioni, ma finisce per scontrarsi con i suoi limiti e con il ritorno del Bisceglie che si limita più o meno a controllare, senza nemmeno troppi affanni, non disdegnando qualche pericolosa ripartenza in contropiede. Dopo un primo tempo chiuso sul nulla di fatto, anche la ripresa rimane lungamente inchiodata ed è l’arbitro a regalare al 24′ ai padroni di casa la possibilità di portarsi in avanti dal dischetto. Opportunità che D’Ursi non spreca. Non passano che cinque minuti e il copione si ripete ma a parti invertite, con un nuovo rigore concesso questa volta alla Fidelis, capitalizzato da Taurino.

Dopo la rete del pareggio (bella l’esultanza e l’abbraccio ideale squadra-tifosi), gli andriesi sembrano liberarsi da un peso sullo stomaco e alzano un paio di bei boati che ridanno un senso ad un secondo tempo poco brillante. In linea generale però la loro prova non dico che mi ha entusiasmato, ma senza dubbio mi ha convinto: ogni qual volta mi capita di vederli, anche a distanza di anni, restano sempre uguali a se stessi, sempre positivi, “sempre fedeli” – parafrasando il nome della loro compagine – al loro stile, al loro modo di essere e di tifare. A mio parere, senza troppo stupidamente sottilizzare sulle differenze pur esistenti e facendo un discorso molto ampio e onnicomprensivo, gli andriesi rientrano in quel novero di tifoserie pugliesi, assieme a Bari, Lecce, Foggia, Taranto che non disdegnerebbero in nessun confronto, con nessuna tifoseria e in qualsiasi categoria.

I biscegliesi, pur restando un gradino sotto, anche per una minore fortuna calcistica che non ha permesso loro di confrontarsi con piazze importanti e in questo confronto crescere proporzionalmente, sono la dimostrazione ulteriore di quanto generosa sia questa terra per quantità e qualità dei suoi gruppi ultras. Numeri non trascendentali, ma tifo sempre continuo e positivo, belle anche le bandiere, numerosi e partecipati i battimani e i cori, che però non sempre raggiungono una gran potenza, se non in occasione di alcuni cori secchi che si rivelano maggiormente efficaci. In ogni caso sono autori di una buona prestazione e mentre mi spendo nelle ultime considerazioni di questo genere, con i miei amici di giornata, prima di spostar la chiacchierata davanti ad un paio di birre, un pari inno all’amicizia viene ribadito dai gradoni dello stadio “Ventura”, ancora una volta in ricordo di Marco.

Matteo Falcone