Porto è la seconda città del Portogallo. Situata nel nord del Paese dorme sorniona tra le acque del fiume Duero e quelle dell’Oceano Atlantico. Se non fossimo prossimi alla Galizia forse sarebbe difficile immaginare la sua anima così mediterranea e al contempo profondamente nordica.
Una miscela che le conferisce un fascino esclusivo. In grado di farti adorare le immense spiagge di Vila Nova de Gaia e il suo grazioso centro medievale caratterizzato dalle azulejos, le tipiche piastrelle decorate che rendono molti edifici portoghesi monumentali.
Cosa è il Boavista per questa città? È innegabile che, soprattutto negli ultimi venti anni, la supremazia dei rivali del Porto abbia fagocitato migliaia di tifosi. E non solo in questa zona, bensì in tutto il Paese. Inoltre i bianconeri nel 2008 hanno dovuto fare i conti con una retrocessione stabilita a tavolino dalla federazione al termine dell’inchiesta “Fischietto d’oro”. Il motivo? Una serie di partite “aggiustate” nel 2003/2004, la stagione in cui, peraltro, il Porto di Mourinho alzava con nonchalance Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.
La sentenza è stata ribaltata nel 2013/2014, con seguente ripescaggio e ampliamento del massimo campionato nella stagione successiva.
Un trend che giocoforza ha dunque ampliato il divario tra i due club cittadini, sebbene il Boavista possa ancora contare su uno zoccolo duro forte e identitario. Basta inoltrarsi per le strade dell’omonimo quartiere per imbattersi in bar con sciarpe a scacchi bianconere.
L’Estadio do Bessa è stato completamente ristrutturato nel 2004, quando il Portogallo ospitò gli Europei. L’impianto riprende in tutto e per tutto la conformazione del Marassi (o Ferraris per dirla con la nomenclatura ufficiale) e – francamente – è un vero e proprio gioiellino.
All’esterno parecchia polizia controlla i movimenti dei tifosi. Non c’è grandissima rivalità tra le due fazioni, ma le forze dell’ordine lusitane sembrano tutt’altro che accondiscendenti e, conoscendo il loro retaggio culturale (in fondo qui la dittatura di Salazar si è spenta solo nel 1974 con la Rivoluzione dei Garofani), non fare movimenti “bruschi” a cuor leggero è più che un consiglio.
Lo Sporting Club de Portugal (erroneamente conosciuto come Sporting Lisbona) è ovviamente una delle squadre più amate del Paese e, benché da qualche anno non sia sulla cresta dell’onda, riesce sempre a portarsi dietro un discreto seguito.
La Juve Leo, la Torcida, il Directivo e le altre sigle del tifo biancoverde sono alquanto conosciute anche da noi per la loro ammirazione del movimento ultras italiano e i contatti che ormai esistono da diversi anni. Su tutti lo storico gemellaggio con i viola.
Sono onesto: non ho mai avuto grandissima considerazione per gli ultras portoghesi. Li ritengo sicuramente superiori, per organizzazione e tradizione, a quelli spagnoli, ma non mi hanno mai convinto fino in fondo. Pertanto ho deciso di rimanere un paio di giorni in più in loco e vederli da vicino. Giusto per farmene un’idea completa e aderente alla realtà.
Il ritiro degli accrediti e l’ingresso alla tribuna principale sono praticamente di fianco all’entrata per gli ospiti. Questo fa sì che le due tifoserie si mescolino tranquillamente e senza alcun problema. Cosa che in quasi tutti gli stadi d’Italia sarebbe difficile se non impossibile.
Ritiro l’accredito e con più di una difficoltà accedo al campo quando mancano una ventina di minuti al fischio d’inizio. La curva di casa è già addobbata con tutti gli striscioni delle Panteras Negras, gruppo trainante del tifo boavistero.
Avrò modo di capire quanto gli ultras bianconeri siano molto più apprezzati e rispettati in patria rispetto ai “cugini” biancoblu che – fatto salvo per il Colectivo, collocato non a caso in un’altra zona dell’Estadio do Dragao – vengono considerati da più parti degli “affaristi”, con i Super Dragoes a tirare le redini del business, spalleggiati e sorretti dalla società.
Il rapporto tra società portoghesi e ultras è un punto chiave per capire molto delle dinamiche autoctone, ci torneremo tra poco.
Sempre nel pre partita la Torcida espone uno striscione di solidarietà per gli ultras bergamaschi, vittime dell’ingiustificata aggressione della polizia dopo l’andata del match di Coppa Italia a Firenze. Affianco allo striscione avrebbe dovuto esserci il simbolo della Dea, ma la polizia ne ha impedito l’ingresso. Ragione? Non c’entrava nulla con lo Sporting. Tutto il mondo è paese!
Progressivamente il settore ospiti va riempiendosi e colorandosi con tutte le insegne del tifo biancoverde.
Entrano in campo le squadre e le due fazioni cominciano a tifare.
Ora, il campionato lusitano non è certo tra i più interessanti e tecnici del vecchio continente, eppure i circa 13.000 spettatori presenti sono un buon biglietto da visita. Anche considerato che di fronte ci sono una squadra senza più obiettivi come lo Sporting e una in piena lotta per non retrocedere.
I prezzi dei biglietti non sono propriamente bassi. Da queste parti uno stipendio medio si aggira sui 5/600 Euro mentre di media un settore ospiti per la massima divisione costa 20 Euro. La modernizzazione degli impianti – a detta degli ultras – ha solcato una linea tra passato e presente, con la contemporaneità che volge giocoforza a traslare anche qui un modello plastificato e consumistico.
Una cosa che ho imparato trovandomi a contatto con le realtà portoghesi è che il loro modo di intendere lo stadio e il club per cui si fa il tifo è un po’ come il nostro tre decadi fa. Quindi avere rapporti con la società non è fondamentalmente delittuoso (sebbene poi ci siano realtà che non la vedono proprio così), soprattutto quando parliamo delle tre “big” del calcio nazionale. Chiaro che anche qui, all’interno della stessa tifoseria, ci siano differenti modi di ragionare.
In linea generale tutti i gruppi dispongono di una sede – spesso adiacente o dentro lo stadio – e portano avanti delle belle forme aggregative, con notevoli cambi generazionali che hanno comunque tenuto in vita e fatto crescere il movimento ultras portoghese.
Non è un caso se oggigiorno anche città come Guimaraes possono contare su buoni gruppi al seguito. La vita di gruppo è un qualcosa di sentito e vissuto, anche questo molto sulla scia di quello che era in Italia fino a qualche anno fa. Però, va detto, che proprio come nel Belpaese, esistono moltissime divisioni anche tra gruppi della stessa tifoseria. Questo a causa di differenti modi di intendere l’ultras, inevitabili scontri generazionali e – anche qui – qualcuno che vorrebbe trasformare la passione in un lavoro redditizio.
Ovviamente parliamo di un movimento ancora piccolo e non forte e diramato come il nostro, quindi per il legislatore è facile disporre al meglio dei tifosi in caso di incidenti o criticità.
Cosa dire dell’ambiente vissuto dentro lo stadio? Tutto sommato bello. Pubblico agguerrito e buon tifo su ambo i fronti. Tifoserie colorate, che non prestano grande attenzione al materiale (quando dico che il loro riferimento siamo noi trent’anni fa intendo anche questo) ma mettono cuore, voce e passione sugli spalti. Ottima l’intensità e bello vedere, di tanto in tanto, torce e fumogeni accesi. Materiale che anche da queste parti è oggetto di divieti e demonizzazione.
Una curiosità: da inizio anni duemila in Portogallo occorre autorizzare il materiale introdotto allo stadio. Questo ha fatto sì che qualche tifoseria decidesse di non portare più i propri drappi (o almeno di introdurli furtivamente di tanto in tanto) mentre nella stragrande maggioranza dei casi si è scelto di seguire questo fastidioso iter burocratico, che ha preceduto persino una nazione regina nella burocrazia come la nostra.
In campo la sfida è interessante e all’iniziale vantaggio casalingo risponde lo Sporting sempre nella prima frazione. Ben oltre il 90′ viene assegnato un rigore ai biancoverdi; Fernandes trasforma e i tifosi giunti da Lisbona festeggiano al meglio. Mentre sbraitano delusi e infuriati quelli del Boavista.
È arrivato il momento di togliere le tende, non prima di aver fatto gli ultimi scatti alle due squadre sotto ai rispettivi settori.
Il pubblico lentamente defluisce dallo stadio, mentre i cancelli per gli ospiti verranno aperti quasi un’ora dopo. Porto e Lisbona distano 313 km e per i supporter dello Sporting questo significa tornare a casa a notte inoltrata.
Eppure non sembrano farsene un problema. Decine di ragazzi escono con il materiale sulle spalle, caricando le macchine e andando lentamente alla ricerca di locali aperti per addentare una francesinha, il tipico piatto di Porto costituito da un maxi panino riempito con due bistecche, formaggio, uovo e ovviamente inzuppato nel sugo.
E nel vedere tutte queste comitive di amici ho comunque un bel sussulto: malgrado le differenze parliamo una lingua comune in tutto il mondo, quella degli ultras.
Simone Meloni