Abbiamo detto e – soprattutto – letto tanto sul ruolo degli ultras nella cosiddetta “Primavera araba”, in particolar modo sugli Ultras Ahlawy dell’Al Ahly e i White Knights dello Zamalek che, in Piazza Tahir, forti dell’esperienza maturata in anni di stadio, spesso caratterizzati da duri scontri con la polizia di regime, si fecero baluardo a difesa territoriale e logistica della piazza stessa.
Il loro cruciale ruolo in questo soffio di Primavera, anche effimero per certi versi, è stato riconosciuto non solo dal resto dei manifestanti di piazza, che dietro la loro prima linea trovarono difesa, ma anche universalmente riconosciuto da ampie schiere occidentali di attivisti onesti, clickattivisti dediti alla rivoluzione nei ritagli di tempo da YouPorn e di una non meglio definibile intellighenzia. Quella stessa pletora di autoreferenziali pensatori che quando guardano lontano da casa ergono gli ultras ad eroi avanguardisti, quando guardano le manifestazioni in casa propria gridano agli “infiltrati violenti da isolare” credendo che la rivolta si faccia ad un pranzo di gala, come disse quel tale o come fanno i loro apparentemente odiati padroni in smoking.
Bando alle polemiche, non è l’intento o il momento. Quello di cui volevamo parlare è questo film-documentario della Qesas Studios in uscita nel 2015 (in lingua araba, con sottotitoli) in cui si raccontano, appunto, i cruciali giorni delle battaglie di piazza contro il governo Mubarak, rivisti attraverso gli occhi degli ultras egiziani.
La storia si snoda attorno a Mostafa, trovatosi un giorno con una pistola alla testa ed un poliziotto ringhiante che gli urlava “Muori!”. A morire però fu il suo amico Amr, mentre lui si ritrovò “solamente” ferito da un proiettile di gomma sparato a bruciapelo. Negli anni che seguono, Mostafa e i suoi amici, piangono, guariscono e vedono la rivoluzione sprofondare verso il caos.
I loro ideali sono ormai consolidati, i legami fra loro saldi e decidono così di combattere in prima persona per il cambiamento, affidandosi gli uni agli altri. Questa, insomma, è una rivisitazione delle battaglie di Piazza Tahir e della rivoluzione che ha portato alla destituzione del regime di Hosni Mubarak, viste attraverso gli occhi di un gruppo di ultras. Perché, prendendo a prestito le loro parole, gli ultras non hanno affiliazioni politiche a cui obbedire, ma quando la situazione politica del paese ti spinge a scendere per strada, allora vai e scegli di lottare. Anche pagando un prezzo altissimo, pur di vedere trionfare le questioni di principio. Quegli stessi principi per i quali ci hanno convinto che è più utile delegare attraverso il voto, magari svendendolo a 30 o, che so, 80 denari.
Per maggiori info:
http://www.boysofthebullet.com/
https://www.facebook.com/boysofthebullet
http://www.twitter.com/boysofthebullet
Matteo Falcone.