Dopo la funesta serata del Braglia, con pioggia e vento perenni protagonisti, un timido sole bacia la stazione di Crevalcore, dove l’amico Francesco mi lascia per salire sul treno direzione Cesena. Dopo aver cambiato a Bologna, il convoglio segue la linea retta della Via Emilia, inoltrandosi lentamente in Romagna. Per venire incontro alle mie origini il buon Matteo mi viene a prendere in quel di Savignano sul Rubicone, dove a differenza di Giulio Cesare non ho bisogno di valicare l’ominimo fiume per dichiarare che “Il dado è tratto”. Il simpatico rendez-vous sportpeopoliano si spegne qualche ora dopo, quando vengo “scaricato” esattamente di fronte al Manuzzi, dove tuttavia se ne consumerà una piccola appendice con un’altra figura mitologica di questa somma congrega di malati mentali, vale a dire quel Giangiu che per festeggiare l’incontro offre con orgoglio birra e taralli.
Ci sono partite, storie, maglie e tifoserie che per forza di cose sanno di vecchio e sano calcio italiano. In tutte le loro forme. Prendiamo ad esempio un Cesena-Perugia qualsiasi. A chi non viene in mente il vecchio campo de “La Fiorita”, dove i romagnoli hanno disputato la maggior parte dei loro magnifici anni ’70? E sempre su quel campo, mi piace immaginare Renato Curi che contrasta un avversario in un gara di dicembre, con la neve accumulata dietro le porte e il terreno di gioco ridotto in fanghiglia. Dovrebbero essere questi gli aspetti che ci fanno amare il pallone, un insieme antropologico e spesso, perché no, psicopatico, di aspetti che richiamano in noi un misto tra uomini di Neandhertal e ragazzini che si emozionano di fronte al regalo di Natale posto sotto l’albero.
Ovvio, La Fiorita oggi resta il nome del quartiere che ospita l’impianto. Sostituito comunque da quel Dino Manuzzi che fu storico presidente del Cesena. Capace di regalare al popolo bianconero la Serie A per la prima volte e, negli anni a seguire, persino una storica qualificazione in Coppa Uefa. Sta di fatto che il “Manuzzi” è uno degli stadi più belli e funzionali del nostro Paese. Pensato esclusivamente per il calcio e tempio prescelto per fare tifo.
Da Perugia sono attesi diversi supporter biancorossi, circa 1.500. Un dato in parte sorprendente, se si pensa che il Grifo non sta poi disputanto una stagione esaltante e, attualmente, occupa il centro della classifica a pochi punti dalla zona playoff. Ovviamente le due ore di macchina che dividono le città sono di ausilio per effettuare la trasferta, ma considerata la generale disaffezione verso il calcio da parte dei tifosi italiani, è sempre un immenso piacere poter vedere settori ospiti pieni.
Tra le due tifoserie non corre buon sangue e i cori ostili che già durante il riscaldamento si espandono in tutto lo stadio, lasciano ben poco all’immaginazione. Su fronte casalingo la Curva Mare si va pian piano riempiendo, offrendo il solito bel colpo d’occhio. Del resto anche negli altri settori dello stadio si registra un’ottima affluenza, come da tradizione per una tifoseria che è ben radicata in tutta la Romagna.
Alle 15 in punto le squadre escono dal tunnel e comincia lo spettacolo delle due tifoserie. Lo dico senza peli sulla lingua: la Serie B di quest’anno è una categoria migliorata milioni di anni luce rispetto alla cadetteria grigia e sciatta delle ultime stagioni, e la gara di oggi ne è un fulgido esempio. Il “Romagna e sangiovese” eseguito dalla Curva Mare è sempre un qualcosa di speciale, che oltre a richiamare un puro fattore di appartenenza, trascina dietro la maggior parte del pubblico, mentre su fronte perugino si inizia con un paio di manate eseguite davvero da tutti.
Ecco, sugli umbri devo fare ammenda: in questa era geologica ho somatizzato un concetto che difficilmente riesco a scrollarmi di dosso. Ogni volta che assisto a un “esodo” da parte di una tifoseria parto prevenuto. Nella maggior parte dei casi, infatti, il tifo risulta fiacco e poco partecipativo. E questo, in fondo, credo sia un qualcosa di fisiologico. Così credevo che tale assunto valesse anche per i tifosi biancorossi. E invece, al triplice fischio, mi sono dovuto assolutamente ricredere.
Gli ultras del Grifo si rendono protagonisti di una prestazione maiuscola: manate, cori a rispondere, bandiere, fumogeni, torce e una sciarpata pressoché perfetta nel primo tempo. Il tutto con una compattezza e un’intensità davvero ottime. L’esultanza al provvisorio vantaggio di Ardemagni (con il Perugia in dieci uomini) è una gioia irrefrenabile che i “freghi” festeggiano in maniera a dir poco sguaiata.
E la cosa bella è che di fronte non trovano certo degli sprovveduti. I cesenati di oggi, infatti, onorano l’impegno in maniera più che ottimale. Si vede che avere un “nemico” di fronte stimola i ragazzi della Curva Mare a non farsi sovrastare. La loro è una performance colorata e canterina, condita dagli ultimi minuti di bolgia, con il Cesena che riesce a ribaltare il risultato andando a vincere nel finale per 2-1 grazie al gol di Ciano allo scadere. Visto quello che succede “all’ombra del Colosseo”, mi viene da ridere nel vedere il calciatore bianconero esultare direttamente “in curva”, grazie alle barriere bassissime che la dividono dal campo.
C’è un aspetto poi che va sottolineato in questo pomeriggio. E dal quale esula qualsiasi appartenenza calcistica. Sono gli striscioni per Marco Pantani, esposti dagli ultras bianconeri all’intervallo. Esattamente dodici anni fa se ne andava “Il Pirata”. Solo, in un albergo di Rimini. “Era San Valentino, l’ultimo arrivo l’hai tagliato tu”, recitano i versi di una canzone in cui il ciclista viene ricordato. Una morte che sconvolse l’Italia sportiva e ancora più Cesena e la Romagna, di cui Pantani era orgogliosamente figlio. Una vicenda scabrosa, su cui negli anni se ne sono dette tante senza però mai arrivare alla verità dei fatti.
La gara finisce con l’ovvia delusione dei tifosi ospiti e la gioia incontenibile di quelli romagnoli. Stati d’animo contrapposti che però non rovinano una giornata esemplare per chiunque ami il calcio e il tifo. Si dovrebbe prendere spunto da partite come queste, per capire cosa voglia il tifoso. In fondo non è difficile. Uno spettacolo del campo decente da vedere, con due squadre in grado di lottare e darsi battaglia fino all’ultimo e due tifoserie calorose e vicine ai propri colori. Ma la direzione verso cui vanno le nostri istituzioni è ben differente.
Peccato non aver troppo tempo per riflettere. Il mio treno per Bologna partirà a breve e posso soltanto riporre la macchinetta nella sua custodia e poi correre verso la stazione. Avrò tempo sull’immancabile Megabus per ragionare e pensare a quanto il pomeriggio del Manuzzi un tempo fosse ordinaria amministrazione.
Simone Meloni.