Perché tutto cambi è necessario che nulla cambi. Così scriveva Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” e a questa speranza declinata al futuro devono aggrapparsi i tifosi del Cesena. D’altronde i segnali di rottura con il recente passato non sono poi così netti e il classico entusiasmo che prima di ogni nuova stagione alimenta i sogni di gloria dei tifosi, resta a macerare in un’amara miscela di rimpianti e recriminazioni.

In panchina c’è ancora Mimmo Toscano con il quale la piazza non è mai riuscita a trovare un gran feeling anche se, oltre ad un gioco e dei risultati non proprio entusiasmanti, il tecnico paga indirettamente un progressivo scetticismo verso tutta la società. Non che siano mancati gli investimenti della proprietà americana in questi anni, ma alcune opacità operative e l’evidente disinteresse degli umori e delle opinioni della tifoseria alla fine sono risultati divisivi. A partire da quella riguardante il portiere Luca Lewis, figlio dell’amministratore delegato Robert sul quale gravano le ombre forse opinabili sul conflitto di interessi, ma ancor più gli oggettivi errori commessi, costati diversi e decisivi punti in classifica.

Per lo meno nel frattempo Lewis è stato ceduto e sono venuti meno anche l’ex milanista Sebastiano Rossi, responsabile dei portieri, e il preparatore sempre dei portieri Scalabrelli, entrambi contestatissimi dalla tifoseria per tutta una serie di passate acredini. Con un gioco delle tre carte l’altrettanto inviso Massimo Agostini resta invece ancora nell’area tecnica, nonostante l’arrivo di Fabio Artico come direttore sportivo lasciasse credere il contrario. Lewis padre infine che non è stato sfiduciato dopo la sconfitta ai playoff contro il Lecco, è ora quantomeno ad una resa dei conti sotto forma di fiducia condizionata da parte del cda.

Anche se non c’è stata la rivoluzione che avrebbe placato i moti di pancia del deluso pubblico bianconero, forse qualcosa si sta muovendo. Stessa cosa dicasi per il vecchio consolidato organico dove a parte il gioiellino Stiven Shpendi, attirato dalle sirene dell’Empoli in Serie A, non tutti i discussi attori del recente passato hanno lasciato la Romagna. Lo hanno fatto altri elementi con più mercato, la cui partenza permette di tenere anche un occhio attento al bilancio. Qualche arrivo mirato, Plisseri in porta, Donnarumma alla sua sinistra in difesa, Cristian Shpendi che raccoglie l’eredità del suo gemello in attacco e la promozione dalla Primavera di Giovannini che, si spera, confermi ancora una volta tutta la bontà del vivaio locale.

Nessun rilancio, niente campagna acquisti faranoica, il Cesena non lascia ma nemmeno raddoppia e se rispetto alla passata stagione non ha sfacciatamente i favori del pronostico, magari tutto cambia proprio quando niente cambia. Forse è questo il ragionamento dei tifosi sugli spalti, non saprei dirlo, ma per certi versi mi stupisce non ritrovarli sul piede di guerra dopo gli striscioni di fine stagione scorsa. L’ambiente al “Dino Manuzzi” è tipicamente vacanziero, mentre tutta la Romagna si riversa sulla costa per divertimento o lavoro, allo stadio presenziano “solo” 3.418 spettatori, sparsi fra Curva e Tribuna. Siamo a nemmeno un terzo della media spettatori della scorsa stagione ma non è nemmeno un dato da buttar via, contestualizzando il tutto. Completamente chiusi i Distinti, nel settore ospiti invece sopraggiungeranno con qualche minuto di ritardo una manciata di tifosi della Virtus Entella, giovani ma senza pezze o altro elemento distintivo e senza tifo.

Tante anche le assenze in Curva Mare dove le WSB propongono lo striscione da trasferta e si registra anche qualche defezione a livello di gruppo. Non si vede per esempio lo striscione dei Viking ma la tenuta in termini di compattezza, soprattutto nella parte superiore, è ottima e lo è anche il tifo vocale. Lo stampo dei loro primi cori lascia intuire l’antifona che il Cesena è patrimonio principale della tifoseria e che quindi l’unico obiettivo sarà sempre sostenere la squadra e spingerla a fare del proprio meglio, a prescindere dal credito di fiducia ormai esaurito da parte di chi lo guida dalla stanza dei bottoni.

Ci sono state partite con una grande affluenza di pubblico e con una posta in palio decisamente più alta, dove il tifo era stato sia positivo che più potente di quello di oggi, eppure la Mare di questa sera è di quelle che preferisco di gran lunga per tanti aspetti. Perché in termini di proporzione la gente che canta è molta di più di quella venuta solo per guardare la gara, perché pur in assenza di una controparte la tensione agonistica è alta, perché proprio quando ti aspetti poco o nulla ti ritrovi una realtà il cui minimo sindacale è già di suo clamorosamente alto rispetto alla media di categoria.

Buona la continuità, c’è in pratica solo una leggera flessione a inizio secondo tempo, quando servono quasi dieci minuti al tifo per ricarburare e anche tempi supplementari e rigori sono seguiti con il fiato corto e una partecipazione umorale che prevale sui cori più coordinati. Nel complesso però è proprio in questi momenti, in queste gare che si vede tutto il potenziale di Cesena, quel potenziale che quando il pubblico aumenta di altri diecimila spettatori ti aspetteresti appunto diecimila volte più forte. La realtà però è che non tutto il pubblico riesce ad impattare sulla gara con la stessa passione dei tanto vituperati ultras. Quelli che i perbenisti definiscono spesso come “gente che nulla ha a che vedere con il calcio” e che proprio in questi frangenti ti accorgi quanto siano preziosi. Quanto, senza di loro, risulterebbe tutto un vuoto e triste teatrino. Che forse a molti piacerebbe anche, ma che le partite a porte chiuse del periodo di pandemia hanno dimostrato essere insostenibile non solo dal punto di vista economico ma soprattutto emozionale. Senza il ruggito del pubblico il calcio è nulla, diceva John King. Ed anche dopo tutti questi anni e pure se ti ripetuta milioni di volte, resta una verità sacrosanta.

Aperta una parentesi sul campo, doveroso il passo indietro: sembra davvero che tutto sia cambiato quando un volitivo Cesena si porta prima in vantaggio con Cristian Shpendi al 17esimo e dopo aver presidiato costantemente il campo avversario per tutta la prima frazione, la chiude con Ciofi che schiaccia di testa in porta un corner di Adamo. La ripresa invece sposta la bilancia dalla parte opposta e nel giro di cinque minuti, fra il 51esimo e il 56esimo sempre a firma di Meazzi, fa sprofondare i bianconeri in un incubo ricorrente. Senza soluzione di continuità. Un loop in cui tutto ricomincia esattamente come era diviso. Cioè male. Senza nemmeno la consolazione di mettere un punto e andare a capo.

Impattato sul 2 a 2 la Virtus Entella mette alle corde soprattutto psicologicamente gli avversari e in due occasioni sfiora il colpo del ko. Fra l’illusione e la speranza dei Romagnoli c’è di mezzo un Pisseri di differenza: il nuovo portiere cesenate infatti ci mette provvidenzialmente la mano in entrambi i tentativi liguri. Poi, quando si va ai rigori, proprio allorquando tutti i ricorsi e gli spettri sembravano rievocare la maledetta notte dei playoff, Pisseri prima respinge il rigore decisivo di Zappella portando la contesa ad oltranza, rimedia all’errore di Saber opponendosi a Siatounis ed infine consegna il passaggio ai trentaduesimi, superandosi ancora una volta su Thioune.

Lo stadio esplode, si aprono le sciarpe, si accendono altre torce, si alza veemente un “Chi non salta è un Bolognese…”: con il passaggio del turno appunto, Cesena si regala il derby con Bologna che manca da oltre un decennio, costellato più di delusioni che di gioie. Lontani i fasti della Serie A e persino della B. Verosimilmente non potranno nemmeno essere rinverditi in questa gara, considerata la differenza di forze e categorie, ma la più importante sfida è quella di risolvere questa impasse fra il mortificante passato e le aspirazioni future. La tifoseria ha dimostrato di meritarlo, la squadra e la società invece devono dimostrare di meritare questa tifoseria.

Matteo Falcone