Era importante lasciarsi alle spalle lo scoglio rappresentato dal Vicenza. Da un punto di vista calcistico, perché tornare in campo dopo più di un mese dall’ultima gara giocata poteva essere problematico. E anche da un punto di vista emotivo e ambientale, poiché ritrovarsi per la prima volta tutti insieme, come comunità, all’indomani dell’alluvione che ha devastato queste terre (e non solo), avrebbe significato inevitabilmente fare i conti e metabolizzare giocoforza questi segnanti eventi.

Tutto è andato come doveva andare e pur con il solito Cesena sparagnino in campo, si è arrivati a queste semifinali dei playoff di Serie C. Che hanno già avuto il loro primo atto in quel del Rigamonti-Ceppi di Lecco dove i bianconeri hanno superato per 2 a 1 i padroni di casa, sostenuti da oltre seicento tifosi giunti dalla Romagna.

Con la sfida incanalata sui giusti binari dunque, quella del Manuzzi è la prova della verità a tutto tondo, per la squadra e per la tifoseria. Anche se forse (e pure senza il “forse”) la tifoseria non ha più nulla da dimostrare, dovrebbero farlo al massimo la squadra, il tecnico Mimmo Toscano, la dirigenza in toto che non è mai stata capace di leggere i mal di pancia della piazza su Massimo Agostini, Sebastiano Rossi, Scalabrelli o la disastrosa gestione dei portieri, che i maligni insinuano fosse finalizzata a favorire l’estremo difensore Luca Lewis, figlio del co-presidente Robert. Certo tutte queste deleghe e conflitti di interessi fra sodali, a fronte degli incerti responsi provenienti dal campo, non hanno aiutato a dissipare risentimenti e rasserenare l’aria, ma per il bene del Cesena ha prevalso e retto una sorta di tregua armata di cui questo sembra il momento fatidico, quello in cui i nodi giungono definitivamente al pettine a chiedere risoluzione.

Gli spalti sono ancora una volta molto pieni, circa 14.500 i presenti, ancora più che nella gara precedente eppure ben distanti dal record stagionale registrato contro la Reggiana durante la stagione regolare. Nonostante tutto, questi numeri offrono sempre una evidente discrepanza percettiva con le gare di campionato, dove nel computo del totale è annoverata anche la volatile quota abbonati. Davvero difficile trovare buchi vistosi fra il pubblico e l’impressione generale è quella di trovarsi al cospetto di molta più gente di quando in campionato venivano diffusi numeri simili. Un po’ meno stipato di gente l’angolo della Mare verso i Distinti, idem l’angolo di Tribuna verso il settore dei lecchesi, che ospita anch’esso diversi tifosi giunti dalle rive del lago.

Fa capitolo a sé il settore ospiti che è la parte più vuota di tutto lo stadio. Non sono mancate anche qui le polemiche sulla necessità di lasciare l’intera Curva Ferrovia e circa 5.000 posti totali per poche centinaia di tifosi ospiti. Ha senso – lamentano in tanti – questo sproporzionato cuscinetto fra le due tifoserie, nemmeno acerrime rivali, per una gara in cui qualche tagliando in più avrebbe fatto comodo tanto ai tifosi di casa che alla squadra in sé?

Ad ogni modo, le presenze lecchesi più specificatamente si aggirano sulle 390, secondo i dati che alla vigilia circolavano sui media locali, e anche qui il dubbio più che vago è che nel frattempo qualcun altro si sia aggiunto al totale. Tralasciando stime numeriche opinabili, l’arrivo dei blucelesti è subito scoppiettante. Scendono verso il basso del settore loro riservato tutti insieme, in blocco. Un ingresso molto impattante e scenografico. Non meno perentorio anche nei modi, visto che non perdono un attimo a insultare gli avversari, tanto con la voce quanto con gli inequivocabili gesti. Ne scaturisce la classica bordata di fischi da tutto lo stadio e la diatriba a distanza si accende immediata, anche se successivamente sarà portata avanti soprattutto con il gruppo casual nei distinti, da sempre particolarmente propenso a questo tipo di confronti e a quel che ne deriva.

Le pezze vengono tenute a mano, così come per tutta la durata della gara, contribuendo a compattare ulteriormente e degnamente i ranghi. Logisticamente non è la scelta migliore quella di piazzarsi in basso, perché la vetrata in parte ne scherma la voce. Eppure il loro tifo è davvero molto bello, continuo, colorato da qualche bandiera e dall’apparizione sporadica della pirotecnica. Tantissimi e parecchio partecipati i battimani, il loro punto di forza è probabilmente proprio questo, cioè riuscire a far breccia fra tutti i convenuti e riscuotere un livello di coinvolgimento molto alto, quasi totale. Chiaramente non è facile farsi sentire in maniera perentoria in questo stadio, in questa sera, ma soprattutto in proporzione al loro numero non clamorosissimo, li si può ritenere se non i migliori in assoluto visti quest’anno (o forse visti da me, sarebbe più corretto dire…) sicuramente come la sorpresa della stagione. Dal punto di vista dell’approccio generale e dello stile restituiscono quella sensazione di “sana ignoranza” classica della vecchia scuola. Resistono i “Cani sciolti” e il loro famoso punto interrogativo ma c’è anche qualche concessione estetica come una bandiera con un teschio con cappellino alla pescatore a firma “UnoNoveUnoDue”, però il tutto è un mezzo e non un fine atto vanamente ad ostentare. Ben lontani dalla sciatteria ma molto attenti alla sostanza di cosa vuol dire stare sugli spalti. In definitiva belli sia da vedere che da sentire.

Per restare in questa parte di stadio e ai già citati casual, gli stessi confermano il trend positivo di questo finale di 2022-23, in cui hanno inanellato buoni numeri e buone prestazioni canore. A fronte di altri momenti in cui erano molto meno compatti o numerosi, in virtù anche di un certo numero di daspo, alcuni dei quali rientrati in corso d’opera, e non è del tutto fuorviante pensare abbiano giovato e concorso a questa netta sterzata. Rispetto alla gara col Vicenza cantano forse meno in termini di continuità, ma si sentono paradossalmente di più, anche per la meno ingombrante presenza avversaria contigua. Il pezzo migliore del proprio repertorio, sicuramente i diversi e sempre bellissimi battimani.

Anche il cuore caldo del tifo cesenate, la Curva Mare, si presenta in grande spolvero qualitativo oltre che – ancora una volta – numerico. La percezione è quella di file ulteriormente serrate tanto sopra, dove è pressoché la regola, che sotto, dove la situazione è molto più disomogenea, in termini di provenienze così come di capacità di fare quadrato unico. Non è così questa volta, come detto, e come sempre la spinta entusiastica e l’adrenalina iniziale del match permettono di superare i soliti buonissimi dieci-quindici minuti di tifo e trascinarsi tranquillamente verso il ventesimo sempre a voce alta. Il volume va digradando dolcemente verso l’ultimo quarto d’ora di gara ma resta sempre notevole, accompagnando negli spogliatoi la squadra e riaccogliendola in campo con la precisa volontà di trasmetterle la giusta carica agonistica.

Venendo alle questioni del terreno di gioco, il Cesena la poteva e la doveva chiudere con l’abbrivio della contesa dalla propria parte, ma anziché cercare il colpo del ko, si siede sugli allori e su una pretattica eccessivamente fiduciosa. La lettura smaccatamente speculativa di mister Toscano è però deleteria sul lungo periodo: il Lecco non corre grandissimi rischi nel primo tempo, se non verso la fine della frazione quando Stiven Shpendi resiste con il fisico e arriva in corsa a tu per tu con il portiere, riesce a scavalcarlo con un tocco felpato ma incrocia troppo e la palla finisce a lato.

Così il timore iniziale degli ospiti si trasforma pian piano in confidenza, poi in voglia di rimettere tutto in discussione, fino alla consapevolezza sempre più concreta di potercela fare. All’undicesimo della ripresa è infatti Nicolò Buso a punire la presupponenza degli uomini di Toscano con il più classico e doloroso dei goal dell’ex. Ci pensa poi un altro ex bianconero, l’estremo difensore Riccardo Melgrati, a metterci due volte la salvifica mano. Entrambe le volte su Stiven, il più propositivo dei gemelli Shpendi in campo, che al 70esimo e all’80esimo circa, produce le più concrete possibilità del Cesena. Troppo poco, non cambia nulla e si va ai supplementari.

Ai supplementari nessuno ha più forze in corpo, i giocatori e più comprensibilmente i tifosi che hanno dato davvero tutto sugli spalti. Molto umorali questi ultimi, ulteriori trenta minuti in cui il Cesena è più volitivo ma non basta. Si arriva così anche ai rigori, ai tanto temuti rigori che finiscono per premiare chi più ci ha creduto: per i romagnoli sbaglia Mustacchio, il Lecco non ne sbaglia uno e vola clamorosamente e meritatamente in finale. A contendersi la Serie B che manca da cinquant’anni con il più blasonato Foggia, a sua volta vittorioso sempre ai rigori in quel di Pescara.

La lunga serata finisce così. Con i tifosi del Lecco arrampicati sulla vetrata che festeggiano commossi per questo exploit, stretti in un abbraccio ideale con la propria squadra, chiamata anche con il Foggia al compito di ammazza-grandi per sovvertire ancora una volta il pronostico e sognare. Attoniti i tifosi del Cesena che restano quasi scioccati, persino incapaci di recriminare contro una squadra dalla quale era lecito attendersi persino la vittoria del campionato, figurarsi quella di una semifinale contro una rivale molto meno accreditata. Ancora una volta Cesena deve fare i conti con l’ennesima stagione deludente, raccogliere i cocci di quello che, alla resa dei fatti, si è dimostrato un disastro a livello societario. Se la proprietà avrà la forza economica e programmatica per rilanciare con ancora più forza dopo questa batosta non è dato saperlo. Quello che è certo, l’unica sola, grande, immutabile certezza di questa piazza è la sua tifoseria. Patrimonio che si rischia di dilapidare se la società non la rimette al centro del proprio progetto, tirando ancora la corda dopo le tante tensioni di quest’anno.

Testo di Matteo Falcone
Foto di Gilberto Poggi e Giangiuseppe Gassi

Foto di Giangiuseppe Gassi