È una gara complicata questo ritorno dei quarti di finale dei playoff di Serie C. Lo era stata già quella d’andata e non solo per il tirato zero a zero, per mere questioni tecnico-calcistiche o per l’ardua, persino ingiusta contrapposizione fra due squadroni di questa categoria. Che solo per blasone, per passione, per numeri delle proprie tifoserie meriterebbero ad honorem ben altri lidi. O che in termini più realistici, la Serie B avrebbero dovuto raggiungerla attraverso la porta principale, vincendo il campionato senza passare per questa mattanza che sono spesso i playoff. Grosso modo erano questi anche i piani delle rispettive società ma poi, fra le buone intenzioni e le concrete azioni, c’è sempre quel grosso divario costituito dalle competenze e dal severo giudice che è il campo.

A rendere tutto drammaticamente più complicato, ci ha in realtà pensato l’alluvione che, in due diverse ondate, ha colpito non solo la Romagna ma anche l’Emilia e alcuni comuni delle regioni confinanti. Le immagini, le scene di distruzione e dolore sono passate e note agli occhi di tutti. Era così difficile restare insensibili che proprio in occasione della trasferta di Vicenza, i gruppi ultras cesenati avevano snobbato il pur lecito momento di evasione per continuare, stivali e pale in resta, a rimettere in sesto le proprie strade e case. Trovando in ciò comprensione e solidarietà non solo in tanti striscioni che amici e nemici hanno esposto in giro per l’Italia, ma anche la fattiva mano di chi ha scelto di inzaccherarsi con loro, spalla a spalla, a dimostrazione che oltre il dualismo di fondo, c’è poi un retroterra di valori condivisi ancora più forti. Quello che ci unisce è più grande di quel che ci separa, si diceva.

Diversi striscioni durante questa serata sottolineeranno proprio questo, ringraziando di cuore tutti, ancor più i rivali per qualcosa di non assolutamente scontato. Più di tutto però, da subito vibra nell’aria del Manuzzi un’atmosfera particolare ed intensa. Più di tutto la Romagna celebra sé stessa. Il suo popolo, testardo e fiero. Tanto laddove ciò rappresenta un vizio che una virtù, come quando c’è da rimboccarsi le maniche e ripartire, senza aspettare quel padre assente che spesso è lo Stato. Inteso in termini di istituzione, di gigante dai piedi d’argilla incapace di muoversi nelle sue pastoie burocratiche. Perché se è vero che poi lo Stato nelle sue espressioni primarie non è rappresentato da altri che da noi, non si può che provare rispetto per queste singole entità che hanno messo in opera la grande rete solidale di questi giorni. Che ogni paese ha il governo che si merita è un’ingiusta generalizzazione e che meriterebbero invece tutti qualcosa di meglio, qui e altrove, lo si è visto ancora una volta in questo caso.

Ma torniamo al dunque. Manca ancora un po’ di tempo prima che gli attori in campo si prendano il loro palcoscenico verde, che sin da subito i veri attori protagonisti salgono alla ribalta quasi spontaneamente. Esulando dunque da quando Mirko Casadei telecomanda un po’ la reazione nel prepartita, scendendo sul rettangolo di gioco a cantare, è molto più bello quando la Curva, seguita da tutto il resto degli spalti, di propria sponte, alza la sua versione di “Romagna mia” e con essa tante sciarpe bianconere all’unisono. Momento quasi solenne e davvero commovente. Il sole al tramonto bacia la Curva Mare mentre un bandierone con un sole stilizzato viene steso fra secondo e primo anello, accompagnato e completato nel suo senso da un secondo bandierone nero, nella parte superiore, con la scritta bianca “Uniti risorgeremo”. Stilisticamente non eccezionale la fattura, ma il suo senso trascende le pure questioni materiali. Tutto bellissimo, poco da dire.

I primi minuti sono così carichi di emozioni, in ogni angolo dello stadio si levano così forti e sentiti i cori di partecipazione che quasi ci si dimentica degli ospiti. La realtà è che il grosso del contingente ultras resta bloccato nel traffico autostradale causato da un incidente, per questo pur essendo in tanti in Curva Ferrovia, mancando la spinta, l’impronta organizzatrice e aggregante degli ultras, la loro è una mera presenza, quasi inerte. L’abbrivio cambia decisamente quando finalmente arrivano i gruppi, segnalandosi per l’esposizione dello striscione unico “Lanerossi Vicenza” sormontato da tante pezze, fra le quali anche quelle dei gemellati di Reggio Emilia.

Secondo i dati del botteghino sono 1.086 i tifosi giunti dal Veneto. Fermandosi al solo aspetto quantitativo, è un numero sicuramente positivo, anche in virtù del giorno infrasettimanale, in cui è sempre complicato muoversi. È però grosso modo in linea con le attese, non è insomma una clamorosa invasione. Erano forse di più all’epoca dell’ultimo incrocio fra le parti, nel febbraio del 2020, ad un passo dalla chiusura totale per la pandemia. O di sicuro quella volta erano molto più carichi di entusiasmo rispetto ad oggi, dove pure si giocano la possibilità di tornare in Serie B. Sarà forse una disillusione di fondo sulle reali probabilità di vittoria o forse il logorio del rapporto con la stessa squadra e la dirigenza, fatto sta che il tifo vocale non è effervescente come ci si aspetterebbe. Intendiamoci, non è nemmeno ed affatto disprezzabile, lo zoccolo duro raccolto al centro, leggermente spostato alla destra del tabellone luminoso canta pressoché sempre, ma solo in rari ripetuti o cori secchi li si sente nettamente nel resto dello stadio.

Dirompenti i battimani iniziali, con cui si presentano subito dopo il loro ingresso e a cui più in generale compete il compito di tenere il ritmo, che talvolta accelera troppo e fa rimpiangere l’assenza dei tamburi. In basso sventolano letteralmente per tutti i novanta minuti una decina di bandieroni. Altro picco di colore è una bella sciarpata a cui concorre la generalizzata collaborazione dei presenti, che però per il resto della partita lasciano un po’ soli gli ultras a tirare la carretta del tifo. C’è questa frattura fra le due anime del tifo che pesa molto sulla loro prestazione, complessivamente buona, specie all’inizio come detto, ma che poi si adagia su standard un po’ più bassi e va man mano scemando con il passare dei minuti, che sembrano palesare l’incapacità dei biancorossi di far propria la gara e con essa la qualificazione. Vicenza sa e può fare di più, l’ha già dimostrato in altre occasioni, ma è pur vero che meriterebbe anche di più.

Tornando ai padroni di casa si potrebbe fare un discorso per certi versi analogo, al di là dei primi intensissimi minuti e dei 13.106 spettatori, che sono fin qui il record per questi playoff. Ad eccezione di Reggiana-Imolese, nemmeno in campionato, nemmeno nel girone meridionale si sono mai registrati questi numeri. Restano ben lontani gli oltre 17mila dello scontro diretto sempre con la Reggiana, quasi quanto la distanza dalla realtà del luogo comune che vorrebbe le tifoserie del Centro-Nord non all’altezza della passione e dei numeri di quelle del Sud.

L’apoteosi emozionale e di potenza dei primi cori va poi pian piano assestandosi su livelli più normali. Il quadrato centrale dietro lo striscione delle WSB non si ferma praticamente mai, ma più ci si allontana verso l’alto dei gradoni o verso i lati, eccezion fatta per la zona degli Sconvolts, l’interesse per il tifo va proporzionalmente calando. Idem in basso dove al maggior contributo del centro presieduto dai Viking ed escluse alcune macchie di leopardo costituite da compagnie di paese sempre molto attive, come quella di Santarcangelo, per il resto si canta poco, ancora meno che nella parte superiore e lo si fa per lo più in occasione di particolari eventi del campo.

Cambia gradatamente tutto dal 35esimo del secondo tempo in poi, quando il traguardo finale comincia a palesarsi all’orizzonte assieme al suo carico di ansie e speranze. Quando le gambe tremano ci si potrebbe sedere per la paura, invece la tifoseria decide di stringere per mano la squadra e di coalizzarsi come un corpo unico, correndo insieme verso il sogno. Fino al triplice fischio finale, recupero compreso, si susseguono circa quindici minuti davvero arrembanti, in cui curva inferiore e distinti spalleggiano spesso e volentieri la parte alta, realizzando un sostegno di buonissimo livello. Forse il migliore della stagione? Forse sì ma al netto dell’encomiabile prova, Cesena non è ancora al meglio della sua forma e della sua fama, come dimostrato anche nel recente passato e persino in gare del meno entusiasmante campionato di D. Fermo restando che, per guardarsi intorno dopo essersi misurati con sé stessi, parliamo pur sempre di Serie C e numeri del genere, un tifo del genere, sono veramente in pochissimi altri a poterselo permettere.

Appendice doverosa per i ragazzi dei distinti, anche loro in ottimo spolvero numerico quest’oggi. Con un paio di striscioni, ringraziano a loro volta soprattutto i nemici per essere corsi in aiuto subito dopo l’alluvione. Uno striscione in particolare, più che autoreferenziale andrebbe letto come monito a media e opinione pubblica in genere: le prossime volte in cui vengono presi dalla smania di infamare gli ultras, dovrebbero ricordarsi che sono gli stessi che un secondo prima chiamavano “angeli del fango” o altre smielate formule retoriche simili. Non per sdoganare comportamenti fuori da righe che da piccolo borghesi non potranno mai accettare, ma solo per capire che il fenomeno di cui parlano con tanta leggerezza è forse un tantino più complicato e meriterebbe meno banali luoghi comuni, meno frasi fatte.

Fra qualche urlo strozzato in gola e sudori freddi, arriva il momento fatidico senza che il risultato cambi. Il doppio zero a zero premia Cesena per la migliore stagione regolare, si alza ancora una volta l’inno per eccellenza della Romagna con tifosi e giocatori abbracciati a cantarlo. È una vittoria di una terra intera, che unita ha saputo effettivamente risorgere, ma deve inderogabilmente tornare a splendere allo zenit per prendersi il premio massimo.

Testo di Matteo Falcone
Foto di Alessandro Barbini e Giangiuseppe Gassi

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