C’è un derby che segna da sempre la storia del calcio laziale. Per molti è “il derby”. Soprattutto se si esclude la stracittadina della Capitale, da sempre derby nel derby e partita che rappresenta sì l’evento più importante a livello regionale, ma abbraccia principalmente una città come Roma: entità che fa storia a sé. Quasi una regione a parte.
Latina-Frosinone ha scandito la vita di molti tifosi dall’una e dall’altra parte. Mi dice spesso una persona che di questo incontro potrebbe raccontare vita, morte e miracoli: “Questa partita l’ho vissuta in tutte le fasi della mia esistenza. A ogni derby posso collegare la mia gioventù, il mio lavoro, la mia indipendenza, la mia famiglia”. È strano il modo di pensare di chi nel calcio vede molto di più che ventidue giocatori impegnati a scaraventare una palla oltre la linea di porta. Chi è abituato a interpretare questa disciplina come senso di appartenenza, tanto da condizionare le proprie giornate in base a una vittoria, una sconfitta, una trasferta e una coreografia, porta dentro di sé un qualcosa di quasi unico. E quindi incomprensibile al mondo esterno.
C’è una linea di demarcazione chiara. Sono i Monti Lepini. Da una parte la Ciociaria dall’altra l’Agro Pontino. C’è tutto un mondo in mezzo. Fatto di storie e racconti, di partite giocate con il coltello tra i denti e ambienti incandescenti con giocatori divenuti veri e propri paladini da una parte e dall’altra. L’antipatia e il campanile vanno ben al di là di un campo di calcio. Quello che non vuol capire chi dietro una malcelata ipocrisia si limita a giudicare tutto ciò salvo compiacersi per il Palio di Siena o il Calcio Storico Fiorentino, è quanto a livello mediatico e “scandalistico” andrebbero ridimensionati i toni per lasciar nuovamente spazio alla genuinità del tifo e della rivalità. Questo non vuol dire (lo dico per i più “duri” di testa o i finti tonti) avallare atti di violenza o esasperazioni. Mantenimento dell’ordine pubblico e tifo libero sono cose che si conciliano alla perfezione. E tuttavia va sempre ribadita l’insensatezza e l’ottusità di provvedimenti che negli anni, per colpire incidenti avvenuti al di fuori dello stadio (e spesso creati proprio dalle negligenze organizzative), hanno ucciso il colore e il calore delle curve.
Certo è cambiato tanto. La classica frase “non è più come una volta” pervade spesso in maniera ossessiva gli occupanti delle gradinate. A ragione, diranno in tanti. Vero. Però sarebbe errato dire che almeno un pizzico (e anche qualcosa in più) dello spirito che ha animato sin dagli albori questo confronto non sia rimasto negli atteggiamenti dei tifosi e dei giocatori. Nel complesso sono proprio i derby a esser cambiati in Italia. Il terrorismo psicologico attorno alla frenetica passione collettiva che contraddistingueva queste partite, le pesante restrizioni imposte di anno in anno e la continua lotta al politicamente non corretto hanno finito per smorzare molto di quel clima folkloristico che l’Italia del calcio sapeva regalare. Oltre che ad allontanare una larga fetta degli spettatori dagli stadi. Ricordatevi sempre che quando colletti bianchi della Lega Calcio e organi medievali come l’Osservatorio citano la famosa famigliola che non va allo stadio per colpa degli ultras, dietro ci sono biglietti a prezzi spesso esorbitanti, acquistabili dopo aver effettuato delle vere e proprie gincane burocratiche e il divieto (anche per quei bimbi che tanto piace scomodare) di suonare un tamburo o accendere un fumogeno per la coreografia.
Già, le coreografie. Da sempre il fiore all’occhiello di ogni derby che si rispetti. Dalla Serie A alla Terza Categoria. Un qualcosa che, va detto, abbiamo stilisticamente un po’ perso. Forse perché qualcuno ha voluto a tutti i costi copiare i modelli faraonici e “computerizzati” delle tifoserie nord europee o forse semplicemente perché rispetto al recente passato manca la fantasia, la voglia di proporre qualcosa che nessuno ha fatto e – mi viene da dire – anche un pochino di senso dell’estetica. Ma soprattutto oggi organizzare una coreografia vuol dire spesso dover chiedere autorizzazioni, andare incontro agli umori altalenanti delle questure (pronte a far pagare qualsiasi sgarro attraverso la ripicca del sequestro e del diniego proprio a questi aspetti ludici che se lasciati liberi contribuirebbero a distendere il clima, anche ideologico, tra tifosi e istituzioni) e rischiare provvedimenti amministrativi e penali (mi vengono in mente, en passant, le diffide e le multe comminate anni fa ai pisani per aver lanciato dei rotoli di carta igienica in campo oppure le multe per i romanisti rei di aver fatto entrare in Curva Sud dei cartoncini a scopo coreografico senza aver chiesto l’autorizzazione). La precisa volontà di destrutturare il tifo organizzato ha prodotto una macchina burocratica a tratti impressionante.
Ed è proprio in queste acque che naviga la prima parte del nostro racconto. Perché spulciando le notizie su internet mentre il mio treno viaggia a ritmi serrati verso Latina non posso far a meno di rimanere interdetto di fronte al titolo: “Frosinone, la Curva Nord minaccia di non partire per il derby”. Antefatto: l’intelligence messa in piedi per la sfida ha ordinato ai tifosi ciociari di entrare nel settore ospiti entro e non oltre le ore 13; pertanto la partenza da Frosinone doveva avvenire intorno alle 11. La Questura di Latina non vuole che i tifosi ospiti espongano la propria coreografia perché non realizzata con materiale ignifugo, benché la Questura di Frosinone ne fosse preventivamente a conoscenza. A parte l’assurdità nel constatare come le questure di due città distanti 50 chilometri e impegnate nell’evento sportivo più importante della stagione non comunichino tra loro generando di fatto una situazione grottesca, la reazione dei tifosi giallazzurri è inizialmente netta: senza coreografia non si parte. Del resto: mi hai costretto ad acquistare i biglietti solo in prevendita (con il problema ormai annoso dei soli 440 tagliandi disponibili per il settore ospiti del Francioni), mi costringi ad arrivare due ore prima allo stadio, mi costringi a fare la strada scortato fino ai denti manco fossi un camorrista e mi vieti anche una delle poche gioie rimaste nel calcio?
Manca il buon senso. Come sempre. E laddove manca il buon senso si creano giocoforza situazioni di disagio. Il tutto per una coreografia non ignifuga. Come si fa, poi, a non pensare che lo facciano apposta per far morire definitivamente la voglia di andare in uno stadio? Qualcuno dirà: “Sono le regole. E le regole vanno rispettate punto e basta”. Le regole vanno rispettate ma quando una regola è stupida o quanto meno inadatta va contestata. Se per entrare in casa diventasse necessario passare per un tornello con tanto di perquisizione lo accettereste come se nulla fosse perché “le regole vanno rispettate”. Anche i più sanguinari regimi dittatoriali esistiti sulla faccia della Terra sono stati spesso determinati da regolari elezioni e leggi scritte ad hoc. In quel caso “regole” dello Stato.
Senza tirarla troppo per le lunghe, tuttavia, la carovana ciociara, dopo diverse trattative, si muoverà alla volta del Francioni quasi alle 13. E l’obbligo di entrare proprio per quell’orario? Problemi di chi impone e pensa certe cose. Rispondo senza fronzoli.
Intanto mi aggiro attorno allo stadio per respirare l’ambiente. A ridosso della porta carraia sono assembrate parecchie persone e, dopo qualche minuto, arriva il pullman del Frosinone Calcio. Partono insulti e cori all’indirizzo dei giocatori, con l’intento di intimidirli e caricare l’ambiente. Propedeutici a ciò sono anche gli applausi e l’incitamento ai giocatori pontini, che transiteranno da lì a poco. I nerazzurri non vincono il derby dalla stagione 2011/2012 e nelle quattro sfide precedenti sono sempre usciti sconfitti. Anche per questo l’attesa spasmodica non nasconde la voglia di far tornare il vecchio Francioni un fattore determinante per il risultato finale.
Quando manca poco meno di un’ora al fischio d’inizio mi avvio verso le entrate. Una discreta fila mi costringe a temporeggiare mentre il cielo sempre più grigio minaccia una pioggia che fortunatamente non arriverà, lasciando però spazio a un vento freddo e tutt’altro che piacevole.
Sono rimasti davvero pochi biglietti invenduti in fase di prevendita e probabilmente alle 15 si registra il tutto esaurito. Si percepisce l’attesa così come si percepisce che chi è venuto oggi lo abbia fatto perché davvero sente la rivalità. Sebbene Latina sia una piazza difficile da decifrare, che i ragazzi della curva faticano e non poco a coinvolgere. Eppure in questo sfida non c’è bisogno di “richiami alle armi”. Del resto basta esser nato in una città per “detestarne” l’altra. È un qualcosa di realmente endemico. Basta pensare ai primi schiamazzi che sento appena messo piede sulle gradinate: “Pecorari!” e giù con tutti gli insulti del repertori che verranno ovviamente ricambiati dai ciociari al loro arrivo con i classici appellativi usati nei confronti dei rivali.
La Nord è vistosamente impegnata nel sistemare gli ultimi dettagli della coreografia e quando alle 14.20 i tifosi del Frosinone vengono fatti entrare quasi tutto lo stadio canta e salta per “salutarli”. Ci vorrà qualche minuto prima di vedere il settore ospiti riempirsi. Nel frattempo le squadre fanno il proprio ingresso sul terreno di gioco e la Curva Nord assieme alla Gradinata mostrano la propria coreografia: migliaia di bandiere nerazzurre, bianche e arancioni colorano buona parte dello stadio facendo davvero un bell’effetto. Sinceramente devo dire che ho apprezzato molto la coreografia dei pontini: semplice, senza ghirigori ma molto d’impatto. Mi ha ricordato molto le foto delle curve anni ’80, quando si faceva un uso smodato di bandiere e, di fatto, in ogni partita c’era una coreografia. Molte volte si riesce ad avere un risultato visivo molto bello pur non ricorrendo a lavori troppo elaborati, spesso quasi stucchevoli. Una scenografia molto italiana, per farla breve.
Una curiosità: l’utilizzo del colore arancione non è affatto casuale, ma affonda radici ormai lontanissime per gli ultras pontini. Correva l’anno 1989 quando in un derby disputato al Matusa i nerazzurri (all’epoca Falange, Commandos e Ultras Sante Palumbo) si presentarono tutti con i bomber al contrario (come si usava in quegli anni) mostrando appunto il colore arancione dell’interno giacca. La cosa avvenne anche al ritorno mentre nel novembre 1992, in un derby di Serie D giocato a Frosinone, Ragazzi della Nord e Ultras Sante Palumbo fecero bella mostra di cappellini arancioni. Un colore che entra di fatto nella scala cromatica della società per le seconde e terze maglie, tanto che dapprima viene adottato dall’Fc Latina nel 2008 e poi definitivamente ripreso dall’attuale società nel 2013, con esordio ufficiale sul campo del Pescara.
Dopo i primi minuti della sfida anche nel settore ospiti viene abbozzata una coreografia (evidentemente non quella preparata in settimana) con tanti cartoncini su cui è disegnato un pene e l’eloquente scritta “Attaccatevi al cazzo”. Diciamo che a livello visivo (anche perché non erano ancora entrati tutti i tifosi) non è la coreografia riuscita meglio ma è pur vero che vanno considerate le difficoltà del caso. Anche perché a livello di tifo è forse l’unico appunto che si può fare al contingente giallazzurro quest’oggi. I ciociari sfoderano davvero una prova impeccabile: manate eseguite in maniera compatta e fragorosa, bandieroni sventolati incessantemente, tanti cori a rispondere, una bella sciarpata nel secondo tempo e un’intensità corale mantenuta praticamente ad alti livelli. È il derby.
Dall’altra parte la Nord si presenta colma come non avveniva da tempo e ritma i minuti di gioco con l’ottimo sostegno per la propria compagine: oltre alle manate e ai cori a rispondere buona la partecipazione del pubblico ai classici sfottò nei confronti dei rivali e bello vedere torce e fumogeni accesi in buona quantità oltre a qualche striscione “da derby” esposto durante la sfida.
Sul campo è ancora una volta il Frosinone a spuntarla, grazie a un rigore realizzato da Dionisi nel primo tempo. Il Latina spinge buona parte della gara ma fa incredibilmente fatica a trovare la via del gol non riuscendo quasi mai a impensierire Zappino, buttato nella mischia a causa della squalifica rimediata da Bardi nel finale del match con il Brescia.
Un accenno voluto quello all’estremo difensore giallazzurro. Un uomo simbolo (nel bene e nel male) di questa sfida. Una storia particolare la sua: brasiliano nato e cresciuto nelle favelas di Pesqueira viene adottato all’età di 9 anni da genitori siracusani. Arriva per la prima volta a Frosinone nel 2004 per essere ceduto in prestito alla Pro Sesto tre anni dopo e tornare nuovamente in Ciociaria nel 2012, divenendo un vero e proprio idolo della tifoseria. Nel 2013 l’episodio che lo lega per sempre alla storia dei derby: al termine della sfida vinta dai canarini al Matusa viene immortalato con una maglia recante la scritta “Pontino bastardo”. Una vicenda che fa scoppiare vibranti polemiche e infervora ancor più la rivalità. Facendo entrare di diritto Zappino nella top ten dei dieci giocatori più odiati/amati di questo confronto.
A tal merito emblematici sono i fischi e i cori di scherno che piovono dalla Nord nei suoi confronti nel primo tempo. Insulti ai quali gli ospiti rispondono chiamando in causa Mattia Perin, nato e cresciuto a Latina e al centro di una furibonda polemica dopo un messaggio scritto sui social nei confronti dei tifosi ciociari nella passata stagione. Al termine di una querelle iniziata in Frosinone-Genoa. Campanile allo stato puro. Episodi che rimandano, sempre per rimanere sul tema, a un altro protagonista del passato: quel Corrado Pilleddu protagonista, con la maglia del Latina, degli infuocati derby di inizio anni duemila.
Insomma una sfida eterna dalle mille storie e dalle mille sfaccettature. Una gara che si gioca oggi ma che si può giocare di nuovo tra cinque, dieci o quindi anni. Eppure avrà sempre quel sapore di fondo. Questo è il derby del Basso Lazio.
Simone Meloni