Erano anni che volevo venire a Chieti ma vuoi per la mancanza di tempo che per una mia diversa situazione economica, non sono riuscito a farlo quando i teatini erano in serie C e ben altre e bellissime erano le sfide sugli spalti. La tifoseria neroverde la conosco comunque da quasi 30 anni, quando cominciavo a sfogliare i miei primi Supertifo, intrigato dallo striscione Achaean Generation e dalla particolare struttura del loro settore. Col passare degli anni sono sopraggiunte le pezze molto curate degli Irriducibili, fino ad arrivare all’inizio del 2000 quando il derby col Pescara in C1 attirava i fotografi ultras del tempo. Oggi la Curva Volpi prosegue il bel lavoro fatto negli anni e si può dire senza remore che che la bandiera degli ultras non è stata mai ammainata ma anzi passata di volta in volta sempre in buone mani. 

Mi trovo dunque nella città abruzzese per la prima volta nella mia vita, grazie al mio libro. È sempre un piacere presentare le mie ricerche e confrontarmi sul campo con gli ultras. Poi il pretesto è perfetto per approfondire nuove realtà e non fare mordi e fuggi come tanti groundhopper, che si concentrano spesso solo sulla la partita. Per conoscere una tifoseria, novanta minuti sono il minimo, ma serve anche passare del tempo nella città, visitare lo stadio, mangiare le specialità del posto ed infine, leggere ed informarsi parlando con la gente. Un po’ ambizioso, ve lo concedo, ma è solo così che si può avere un minimo di conoscenza di un territorio e se possibile della sua tifoseria. E questo spiega anche il ritardo di questo articolo, perché ci vuole tempo, un lusso nell’era del turbocapitalismo, ancora di più per una persona disorganizzata come me e che fa mille cose allo stesso tempo.

Alloggio di fronte allo stadio Guido Angelini. È sempre bello per un innamorato degli impianti calcistici, svegliarsi di fronte a un tempio pagano e intravedere dal balcone una parte di esso. Ancora meglio se si tratta della Curva Volpi per iniziare la giornata all’insegna degli ultras, al netto di un cielo grigio che caratterizza la giornata. Ovviamente il mio tour dopo la colazione, inizia proprio allo stadio, dove posso immortalare vari murales e scritte, poi decido di fare un giro nel centro storico. La partita è fra cinque ore e ho un po’ di tempo per capire questo strano centro urbano diviso in due parti distinte: lo stadio è posto ad un’estremità di Chieti Scalo, 5 km distante dal centro storico percorrendo Viale Abruzzo che ne è la spina dorsale, poi arrivati in zona stazione, bisogna salire. Il centro storico si trova su una collina posta a 330 metri sul livello del mare (come recitava uno splendido stendardo di un disciolto gruppo della tifoseria locale) ma per capire questa stranezza, dei due centri urbani distinti, bisogna per forza di cose fare un piccolo viaggio nel tempo. 

La città di Chieti, secondo la leggenda, fu fondata nel 1181 a.C. dall’eroe greco Achille che la chiamò Teate in onore di sua madre Teti. Lo stemma del Comune riprende la figura mitologica proprio dell’eroe omerico rappresentato su un cavallo rampante, mentre regge una lancia ed uno scudo su cui è raffigurata una croce bianca su campo rosso con quattro chiavi, che rappresentano le quattro porte d’ingresso della città medievale. Per quelli come me, che hanno scoperto Chieti tramite Supertifo, le origini cittadine permettono di capire meglio la storia della sua tifoseria, con la fu Achaean Generation che aveva proprio Achille come simbolo. 

Oltre la leggenda, ci sono anche i fatti: Chieti fu la capitale del popolo dei Marrucini e da qui deriva anche il nome del corso principale della città, l’elegante corso Marrucino appunto. Popolo bellicoso, i Marrucini combatterono contro Roma e poi, conclusa una onorevole pace, si allearono con loro nel 91 a.C. prendendo il nome di Teate Marrucinorum. La sua posizione ideale tra la riviera adriatica e i massicci della Majella e del Gran Sasso, sotto l’Impero vedono crescere il suo municipio fino a contare 60.000 abitanti, una popolazione considerevole per l’epoca, ancora di più se paragonata ai quasi 50.000 odierni. Teate Marrucinorum si arricchisce in quel frangente di diversi monumenti: un foro, nuovi templi, un acquedotto, una cisterna, delle terme, senza dimenticare un teatro da 5.000 posti ed un anfiteatro da 4.000. Questi due spazi culturali, fanno capire che spettacoli e manifestazioni ludiche fossero già a servizio della gente due millenni fa, come oggi lo sono lo stadio Guido Angelini ed il Teatro Marrucino.

Col crollo dell’impero romano, Chieti fu distrutta dalle ondate barbariche e bisogna aspettare i Longobardi nel VI secolo per la sua cristianizzazione. Giustino evangelizza la città ed è considerato come il primo vescovo della diocesi di cui diventerà in seguito il suo santo patrono. Nell’801 la città fu nuovamente distrutta da Pipino I, figlio di Carlo Magno poi sotto la dinastia di origine longobarda degli Attonidi, si crea il nucleo embrionale di quell’unità territoriale e politica tra il capoluogo teatino e il suo territorio circostante che nel XIX° secolo diede origine alla Provincia di Chieti. Tramite varie alleanze la Contea di Teate arriva a estendere il suo influsso fino al Ducato di Spoleto, importante giurisdizione dell’Italia centrale che fece assurgere al ruolo di frontiera meridionale del Sacro Romano Impero. In quel tempo furono costruiti anche vari edifici religiosi che fecero di Chieti un grande centro monastico, vennero inoltre edificate mura difensive e torri di guardia. 

Conquistata nell’XI secolo dai Normanni, come il resto l’Italia meridionale, viene nominata capitale degli Abruzzi nel 1094, da Roberto il Guiscardo. La regione, per via della difficoltà ad amministrarla, viene divisa in due entità nel 1273: Abruzzo Ultras e Abruzzo Citra. Carlo I d’Angiò, Re di Sicilia, la designò capitale dell’Abruzzo Citra, il territorio alla destra del fiume Pescara. Chieti divenne città regia dell’Abruzzo nel 1443, sotto Alfonso V d’Aragona, per la fedeltà mostrata alla casata spagnola. Divenne sede di un parlamento Cittadino ed ebbe diritto di battere moneta propria. Un documento del tempo definisce Chieti come “Theate Regia Metropolis utriusque Aprutinae Provinciae Princeps” (“Chieti città regia e capoluogo di entrambe le province degli Abruzzi”). Una frase che compare ancora oggi sulla stemma civico.

Nel ‘600 Chieti assunse la conformazione urbanistica che conosciamo oggi, le vecchie mure medievali vengono abbattute, varie opere architettoniche sono erette dalla Chiesa e si riafferma come centro culturale. La peste del 1656 non la risparmia, uccidendo un decimo della sua popolazione (circa 1.200 abitanti su 12.000). Importante la figura del marchese Romualdo de Sterlich, nativo di Chieti, che fu tra i primi italiani a leggere e commentare le opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire e promotore della cultura illuminista in Italia. Dal 1799 Chieti è occupata dai francesi che convertono la città in piazzaforte, convertendo i grandi conventi in caserme e trasformandola con nuove strutture amministrative. 

Durante il risorgimento, il centro si divide tra intellettuali borghesi che appoggiano la causa sabauda e la storica nobiltà legata ai Borboni. Il 18 ottobre 1860, il nuovo re Vittorio Emanuele II passa a Chieti, dove è accolto festosamente della popolazione. Durante la sua visita si parla di un collegamento ferroviario con Roma ma bisogna aspettare il 1873 con la linea Pescara-Popoli per vedere inaugurata la stazione di Chieti nella vallata del fiume Pescara, in una area di campagna, situata nella parte bassa a circa 300 metri di dislivello, come detto, con il centro storico raggiungibile con carrozze a cavallo su un sentiero sterrato, fino alla realizzazione di una tranvia nel 1905.

Sotto il fascismo la zona bassa si sviluppa con varie costruzioni, poi conosce un boom edilizio nel secondo dopoguerra. Il nome di Chieti-Scalo è ufficializzato nel 1936: al giorno d’oggi, questa è la frazione più grande del capoluogo teatino, che ha conosciuto uno sviluppo industriale manifatturiero importante. Nei tempi più recenti la realizzazione di un ospedale e di un campus universitario. Si può parlare di una città divisa in due e me ne rendo conto quando salgo verso il centro. La distanza si nota e come, non solo per via della separazione fisica, ma anche per la diversità dei due poli urbani, nella parte alta più borghese ed elegante, ma allo stesso tempo più calma ed una più popolare ed industriale nella parta bassa, ma più vivace. 

Durante il primo conflitto mondiale, quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria, Chieti aiutò la città di Venezia dopo la disfatta di Caporetto, ospitando il Distretto Militare lagunare e i documenti dell’ufficio anagrafe, per impedirne il sequestro in caso di invasione nemica, oltre ad alcune migliaia di profughi del Veneto, dei quali 4.000 Veneziani. Nell’immediato dopoguerra, in una società in fermento emergono diverse società sportive ed il calcio prende spazio. Si fanno notare la RIIS (Regio Istituto Industriale di Savoia), la Novelli e lo Sport Club Chieti. Le forze delle tre società vengono poi unificati in un unico sodalizio nell’estate del 1922 sotto il nome dell’Unione Sportiva Chieti. Che colore scegliere? Venne ritrovata una cassa con delle divise calcistiche neroverdi (colore del Venezia Foot-Ball Club) all’interno dei locali che avevano ospitato il Distretto militare, così alcuni dei fondatori della neonata società decidono di adottarle. 

La prima partita ufficiale del nuovo club viene giocata il 2 giugno 1923 contro una divisione militari che sconfigge i neroverdi 6 a 3 e si disputa alla Civitella, su un campo in terra battuta sulla piazza d’armi, come era usanza al tempo. Quell’anno l’US Chieti disputa nove partite, fra le quali bisogna menzionare quella del 9 giugno che vede la prima vittoria neroverde della storia, con un netto 4 a 0 contro il Pescara. La Civitella, situata nel quartiere più antico della città, diventa negli anni seguenti il primo vero stadio grazie alla costruzione di due piccole tribune contrapposte, una coperta l’altra no, che portano l’impianto a una capienza di 3.000 spettatori.

Alla fine del 1924, la società cambia nome in US Pippo Massangioli, per onorare la figura di un tenente caduto sul fronte giuliano. Nel 1925 i neroverdi conquistano il loro primo trofeo, il campionato abruzzese e l’anno dopo, i tifosi dell’US Pippo Massangioli si fanno già notare per alcune risse con gli avversari, tanto che la Lega Sud invia un severo monito ai neroverdi e altre due squadre, in una lettera datata 25 marzo 1926. La stagione 1928/1928 vede il Chieti allestire una formazione “alla romana”, raccogliendo la disponibilità di ex giocatori dei tre club capitolini, Alba, Fortitudo e Roman, nel 1927 fusi nell’AS Roma.

L’US Pippo Massangioli chiude i battenti con l’ultima partita nel giugno 1929 e bisogna aspettare poi la stagione 1930/31 per vedere una nuova formazione di calcio a Chieti, con l’incarico del segretario provinciale del PNF di ricostituire una società sportiva e che portò alla nascita dell’US Gloria, colori sociali rosso e azzurro. Club che dura solo una stagione, cedendo poi per volere del locale gerarca fascista il passo al rinato Chieti, con colori neroverdi, tornato a disputare il campionato regionale, 4° livello del calcio italiano al tempo. Il 1938/39 vede un’altra stagione senza calcio a Chieti e se il pallone torna, è per via della segretaria del partito fascista nel 1939 interessata a promuovere lo sport oltre che per meri scopi propagandistici, anche per formare attraverso l’attività fisica un popolo di soldati in buona salute che permettessero al regime di raggiungere i suoi obiettivi. 

Nel 1943/44 il campionato viene sospeso per la guerra. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, mentre gli alti ufficiali e i membri del governo provano a fuggire, i tedeschi occupano la città il 10 settembre, facendone il suo comando logistico militare per via della sua posizione dominante e strategica. La città venne così bombardata dagli alleati per vari mesi, 75.000 sfollati delle zone circostanti e meridionali ripararono a Chieti con l’arcivescovo Giuseppe Venturi che negozia, come Roma, lo statuto di “città aperta” fino a quando, il 9 giugno 1944, la città viene definitivamente liberata dagli anglo-americani, accolti da una folla festante.

Con l’arrivo degli Alleati tornano anche il calcio, con le partite amichevole per lo più contro squadre di militari. A guerra finita, il Chieti riparte della serie C. Sul campo, i neroverdi disputano delle stagioni anonime, tra 3° e 4° livello per quasi vent’anni facendosi notare più per i tifosi, le cui intemperanze portarono a varie squalifiche del campo durante quel periodo. Bisogna aspettare la stagione 1963/64 per vedere la compagine neroverde disputare finalmente un bel campionato. Rileva la società un nuovo presidente, Guido Angelini, mentre sul campo, il Chieti è protagonista del girone C della serie C. Ma il 12 aprile 1964, durante il derby con l’Aquila, succede il finimondo: i rossoblu s’impongono al Civitella 1 a 0 dando il via ad un’invasione di campo, con assedio agli spogliatoi dell’Aquila, dove aveva trovato riparo anche la terna arbitrale. Camionette della celere entrano in campo per riprendere il controllo della situazione, operazione che costa 12 feriti, tra i quali il capo di gabinetto della questura ed un assistente dell’arbitro. 17 tifosi saranno denunciati e i disordini infine puniti con 7 giornate di squalifica del campo. Nonostante o forse proprio per questo svantaggio, il sogno della promozione in serie B svanisce all’ultima giornata a Trani, per cui l’anonimato calcistico si allunga ancora.

La novità arriva nel 1970, con l’inaugurazione di un nuovo impianto nella zona di Chieti Scalo, lo stadio Santa Filomena, dal nome del rione che lo ospita che poi sarà mutato in Marrucino ed infine intitolato a Guido Angelini nel 1979, quando l’ex presidente viene a mancare. Inaugurato il 28 maggio durante un’amichevole di lusso contro il Milan di fronte a 11.000 spettatori (finita 6 a 1 per i rossoneri), la struttura consta di una tribuna immensa ed è circondato da una pista atletica, da un fossato e da quattro gradoni in cemento. Progettato come tanti altri al tempo sulla falsariga dello stadio Olimpico del CONI, è un impianto moderno e perfetto per il salto di categoria, che però non arriva, con la squadra di casa sempre in serie C che finisce per toccare anche il 4° livello del calcio nazionale. 

Il presidente Angelini decide perciò di lasciare la società dopo quasi 15 anni al comando. Il 7 giungo 1977 consegna il titolo sportivo all’amministrazione comunale e con esso anche il parco giocatori, le attrezzature sportive e zero debiti. Con quel gesto di grande signorilità, intese dimostrare tutto il suo amore per i colori neroverdi che gli valse poi la denominazione dello stadio due anni dopo. Proprio nel 1979 l’unica nota positiva sul campo, dove il Chieti raggiunge la finale del Torneo Anglo-Italiano contro il Sutton United il 25 aprile allo stadio Angelini, ma purtroppo cede 2 a 1 agli inglesi e la stagione dopo, retrocede persino in serie C2. Da lì il crollo che vide la società teatina disputare l’Interregionale nel 1982 e rimanervi impantanata per cinque stagione. 

Nel 1987 però i neroverdi son finalmente promossi in serie C2 e nel giugno del 1989, disputano uno spareggio con la Ternana per andare in C1. Quasi 10.000 teatini approdarono a Cesena per vedere purtroppo gli Umbri imporsi ai calci di rigore. La C1 arriva nel 1991, sotto la guida quasi paterna del mister Ezio Volpi. Tra alti e bassi, Chieti rimane per 19 anni tra serie C1 e C2, fino al 2006. Due le partite storiche in questo lasso di tempo, il derby col Pescara che torna nella stagione 2001/02, dopo 27 anni e con il Chieti vittorioso allo stadio Angelini per 1 a 0, il 9 settembre 2001. Infine, la gara col Napoli il 31 ottobre 2004, per via della retrocessione partenopea in serie C1 che portò il Chieti ad esibirsi sul parto verde del San Paolo, di fronte a 40.000 spettatori tra i quali quasi 2.000 di fede neroverde, che poterono festeggiare il 2 a 1 contro la squadra del presidente De Laurentiis, oltretutto l’unica sconfitta interna del Napoli nelle due sue stagione in serie C1.

L’estate 2006, la società non si iscrive al campionato di serie C2. Viene fondata l’ASD Chieti che riparte della Promozione (il 7° livello del calcio italiano al tempo) e in due stagione ritrova la serie D. I teatini proseguono il loro cammino sportivo tra serie C2 e serie D, fino al dicembre del 2016, quando la SSD Chieti viene dichiarata fallita e radiata della FIGC, prima ancora di aver portato a termine il campionato. Nell’estate del 2017, la Torre Alex, seconda squadra cittadina, diventa l’ASD Chieti FC 1922 e riparte dell’Eccellenza. Finalmente, alla vigilia del suo centenario, il Chieti ritrova la serie D nel 2021. Una storia secolare, fatta di tanti bassi e pochi alti, che va spiegata nei dettagli per capire anche la passione della tifoseria. 

Quando torno allo stadio Angelini, non c’è la folla delle grandi occasione. Di fronte, al Bar dello sport, si danno raduno i ragazzi della Curva Ezio Volpi. Si fanno notare per un tamburo e i loro colori inconfondibili. Son pochi, qualche decina. Il cielo è basso e grigio, metafora del campionato senza emozioni del Chieti. Ma questo non frena il loro entusiasmo. Ridono, si divertono, si preparano al rito profano della partita e già solo questo rende loro onore. Sarebbe bello far assaporare ad alcune tifoserie di serie A e B, abituate al menu completo nei migliori ristoranti da anni, questo menu da osteria che si chiama serie D, Eccellenza, fallimento. Ma forse non è l’insegna della trattoria che dobbiamo guardare ma la capacità dello chef, ed oggi il menu, anche se economico, sarà comunque gustoso.

Raggiungo la tribuna per ritirare accredito e casacca, al cospetto di un addetto stampo giovane e molto simpatico. Entro come le due squadre dal tunnel e sento tutta l’emozione in questi quindici metri sotto lo stadio, dove si mescolano odore di terra, umidità e sudore come sul campo verde del Maracana o di qualunque stadio in cui abitano i sogni dei bambini. Quando metto piede sulla pista di atletica, l’altro fotografo mi saluta, tutto è molto semplice, molto provinciale e mi va benissimo. Tutto davvero bello, anche se gli spalti son quasi deserti. Forse 400, 500 spettatori ma quello che conta è la storia che prosegue da 101 anni e con essa l’amore della sua tifoseria. Cose che non si possono toccare ma son evidenti attorno a me.

La Curva Volpi è al suo posto, fedele. Anche se il paesaggio potrebbe sembrare desolante, vedo il bicchiere mezzo pieno: il mondo ultras italiano, nonostante la crisi evidente che attraversa da quindici anni, resta un punto di riferimento, al netto di problemi e repressione. In questa periodo di crisi sono stufo di slogan autoreferenziali e vuoti di senso a cui purtroppo l’avvento dei social fanno eco, sinonimo di impoverimento culturale di cui tante pagine FB e Instagram sono alfiere nella loro retorica ridicola. Lasciamo stare la parola “Mentalità” abusata al punto da risultare urticante o “Solo gli ultras vincono sempre…” che fra le macerie non si capisce cosa ci sia da vincere, camminando però sul tartan della pista d’atletica rimugino su un altro motto: “Senza ultras, non c’è partita”. Anche questo andrebbe comunque contestualizzato, perché sappiamo benissimo che il calcio esisteva prima degli ultras e continuerà ad esistere anche se la sua parte più calda verrà estromessa (basti vedere la Premier League o il caso Juventus, a titolo d’esempio). Ma a Chieti queste parole assumono un loro senso. Basso il numero degli spettatori, anche se abituale per chi frequenta i campi della Serie D, ma buona parte di questi son ultras o loro simpatizzanti. Certo, ci sarebbe sempre la maglia neroverde e la partita in campo anche senza di loro, ma sarebbe una noia mortale, senza contare che il sostegno economico del tifo, tramite i biglietti, permette anche di contribuire al budget societario, soprattutto a questi livelli. 

Quando le squadre entrano in campo, la Curva Volpi si ammanta di nero e verde. Bandierone e bandiere vengono sventolate. “Mai domi” è scritto su uno di questi, motto utilizzato da tre decenni già in altra forma, prima di divenire nome collettivo e paradigma della fedeltà e della costanza degli ultras. La maglia del Chieti non ha sponsor e se per una squadra in serie D può essere un problema economico importante, dal punto di vista del tifoso è bello vedere la propria maglia così “pura”. Per chi se lo ricorda, come Barcellona e Athletic Bilbao che, in un’altra era geologica, non permettevano al vile denaro di sporcare con sponsor la purezza delle loro divise.

La Curva Volpi che ho di fronte agli occhi non è sempre stata la sede del tifo locale. L’inizio qui è datato 1974, sotto l’insegna del club neroverde Fedelissimi, nell’attuale settore ospite. Nella stagione 1976/77 arriva il primo striscione con la dicitura Ultras. Il cuore del tifo si sposta nel settore distinti e durante il boom degli ultras italiani negli anni ’80, nasce l’Achaean Generation, nel 1985 per la precisione, con cui la tifoseria cresce esponenzialmente ed arriva ad avere un pullman tutto suo. Nel 1989 vengono affiancati dagli Irriducibili Scalo che, negli anni seguenti, divene il gruppo principale e toglie la parola “Scalo” dallo striscione. La stagione 1990/91 vede gli ultras neroverdi spostarsi nell’attuale settore anche se molto più vicini al settore distinti, rispetto ad oggi, visto che pista atletica e conformazione dello stadio sono molto penalizzanti. Gli Irriducibili saranno fautori di un cambio di stile virando verso un tifo all’inglese, molto in voga all’epoca. Infine nel 2013, gli Ottantanove Mai Domi prendono il timone del tifo proseguendo ideologicamente nel solco degli Irriducibili, come testimonia il loro stesso nome per poi, in ultimissima istanza, raccogliere tutte le anima della tifoseria dietro lo striscione Curva Volpi

Quando l’arbitro dà il via alla partita, quasi 150 persone si compattano dietro suddetto striscione, con due lanciacori ad alternarsi, aiutati da un tamburo. Il tifo parte subito bene. È interessante, perché avevo l’idea di una curva molto casual, super stilosa, all’inglese e mi ritrovo davanti agli occhi un tifo di stampo italiano. Ma questo non significa che il materiale non sia curato, con mio sommo piacere visto che spesso trovo atroci alcune pezze o striscioni realizzati con font orribili o fatti male. Ovvio che la sostanza è sempre più importante della forma, ma quando le due cose sono sullo stesso piano è ancora meglio. Poi a Chieti, come altrove, la moda del tifo “all’inglese” della meta dagli anni ’90 è velocamente diventata una sintesi o una reinvenzione di quello “all’italiana”. Ne ho la riprova durante il primo tempo, quando c’è spazio per una sciarpata. Evento che dovrebbe essere normalissimo, ma che sta diventando sempre più raro in Italia ed in Europa. La semplicità del gesto lo rende sempre bello. Così come l’immagine del padre che porta sulle spalle suo figlio che esibisce la sua sciarpa. Al di là della mitomania dei già vituperati motti “Di padre in figlio” o “Support your local team”, la trovo una trasmissione naturale della passione per il Chieti senza sovrastrutture mentali.

Un’altra scena mi entusiasma, un ragazzo soggetto al famigero Daspo che guarda la partita da lontano, su una collina, dove accende un lamperogeno al momento in cui la Curva canta per i diffidati. Finisce il primo tempo senza che mi sia annoiato. Approfitto della pausa per fare il giro dello stadio ed esaminare i suoi quattro diversi settori. C’è una tribuna gigantesca e quasi interamente coperta, mantenutasi bene in mezzo secolo. Poi la il settore ospite che è la vecchia Curva bassa con quattro gradoni di cemento che restano vuoti, visto che il Montegiorgio non ha tifo organizzato al seguito. Nei distinti una specia di gradinata sopraelevata inagibile con capienza 2.000 posti, costruita nel 1998 sopra la struttura bassa da quattro gradoni. È dipinta di neroverde e vi si legge “Chieti 1922” oltre allo stemma comunale. Infine la Curva Volpi, sede del tifo teatino che nel 2006 è stata ristruttura mentre la capienza dello stadio Angelini, un tempo di 12.750 posti, è ufficialmente omologata per meno di 5.000 posti. 

Inizia il secondo tempo e il tifo riprende come prima. Noto un gruppo di cinque ragazze sul lato del gruppo ed è piacevole vederle cantare, anche se non son vestite come i soliti casual della domenica, col North Face, felpa Stone Island e capello Lyle & Scott. Una birra in una mano per una, sciarpa del Chieti per l’altra, incitano la loro squadra e si divertono. L’immagine è positiva perché dimostra che la Curva è di tutti, e non solo di quelli che credono che ci sia un modo giusto di andarci. È un luogo di aggregazione perl’ultras, il tifoso o la tifosa, i veterani, gli appasionati e tutti quelli che vanno lì, non solo perché il prezzo del biglietto è il più economico, ma anche per divertirsi.

Il tifo prosegue sulla scia del primo tempo e tranne un minuto (sì, ho contato!) in cui la Curva non ha cantato, posso dire che è stato una prova più che positiva della Volpi. Mi son scordato di precisare che sul campo, il team neroverde ha perso 1 a 0 ma va comunque sotto la curva a ringraziare per il sostegno generoso.

È tempo per me di tornare a casa, fra due ore ho un aero da prendere e non posso trattenermi a lungo. Cosa mi ha insegnato questa strana domenica? Tra la sconfitta, l’assenza di avversari nel settore ospite e un campionato anonimo, in cui il Chieti stagna a meta classifica, posso dire che era la partita perfetta per farmi un’idea della tifoseria. Non son per niente deluso e credo che quello che è stato seminato nel tempo dalle generazioni precedente ha dato un bel fiore. Quando la prossima volta qualcuno della mia età o un po’ più vecchio, mi dira: “Oggi come oggi gli ultras non ci sono più…”; potrò gentilmente replicare che forse si è scordato che il tifo organizzato è vivo, nonostante una repressione asfissiante, e che nel 2023, nelle piazze come Chieti – e in tante altre piazze della stessa pasta – l’ultras non è domo e resiste oltre il tempo, le mode e le frasi fatte. 

Sébastien Louis