L’Europa è certamente un posto contraddittorio. Forse ancor più dell’Italia. O forse proprio perché tollera determinate pratiche dell’Italia. Tutto sono tranne che esterofilo, ma in questa occasione posso tranquillamente dire che se mi viene data la possibilità di partecipare alla finale della seconda kermesse calcistica continentale (per importanza) è anche e soprattutto grazie al modo di concepire l’informazione all’estero. Scevro da parecchi preconcetti e slegato da un modus operandi baronale che sposa appieno il concetto medievale di lavoro del nostro Paese. Ciò detto, non sono certo un povero illuso, e so bene che anche a livello europeo lobby e interessi governano con sommo potere il mondo dell’informazione.

Con Stefano ci vediamo a Chiasso. Come se fossimo due esiliati pronti a cercar fortuna in suolo elvetico. La distanza che ci separa da Basilea passa veloce, tra chiacchiere, birre e i goccioloni di pioggia pronti a cadere prepotenti tra una galleria e l’altra. Ci accorgiamo di aver raggiunto il centro renano quando alcune insegne elettroniche forniscono informazioni per convogliare le due tifoserie. Le zone limitrofe al St.Jakob sono ben delimitate e alla fine, almeno per andare a ritirare l’accredito, parcheggiamo come meglio viene, inoltrandoci tra le decine di tifosi del Liveropool che si avviano verso lo stadio.

Appare sin da subito chiaro che i supporter britannici saranno in netta maggioranza. Ma, mi tolgo subito il sassolino dalla scarpa, mai come in questa occasione vale l’assioma “quantità non è qualità”. E ce ne rendiamo conto ben presto. Posto che in occasioni come queste sia ovvio incappare in decine di persone agghindate nelle maniere più stravaganti, i supporter dei Reds sembrano, perlopiù, gitanti partiti per un tour del locale Centro Anziani. Con il plus dell’alcool, a fiumi, e di una netta componente “turistica” formata da una miriade di personaggi “alloctoni”.

Dopo aver ritirato accrediti e pass per il parcheggio, possiamo concederci un giro in centro. Dove sono state allestite due differenti “fan zone” in altrettante piazze. Più ci avviciniamo al downtown e più notiamo un’unica macchia rossa, composta dagli inglesi. Ovviamente è festa grande per venditori di birre e pub, che con tutta probabilità registrano l’incasso più alto della loro vita. Saliamo all’interno di un locale per scattare qualche foto, e l’impatto visivo è comunque bello, si notano anche torce e fumogeni accesi dai Reds (cosa che, a quanto ricordo, fa parte del loro bagaglio “culturale”, leggermente diverso da quello più austero tradizionalmente inglese). Qualcuno, a causa dell’eccessivo alcol, si sente anche male. Interviene un’ambulanza proprio sotto ai nostri occhi e la situazione torna nei ranghi in pochi minuti.

Dall’altra parte di tifosi spagnoli se ne vedono davvero pochi, così quando manca poco più di un’ora al fischio d’inizio ci mettiamo sul primo autobus disponibile in direzione stadio. Ma prima una piccola postilla, soprattutto per i “creduloni” che hanno sempre da proporci confronti su quanto oltre le Alpi determinate cose non esistano: non c’è zona di Basilea, né in città e né allo stadio, che non sia presidiata da bagarini. Ovunque, dagli accenti più disparati, tra cui molti italiani. Biglietti venduti ovviamente a prezzi elevatissimi, con la polizia a pochi passi che fa finta di nulla.

Attorno al St.Jakob è stato allestito un prefiltraggio “all’italiana”, con recinzioni davvero insolite a queste latitudini, dove solitamente l’accesso alle gradinate avviene semplicemente dopo il solo controllo del biglietto. Ma tant’è. Gli steward perquisiscono meticolosamente il pubblico mentre numerosi poliziotti, a cavallo e nelle camionette, sorvegliano attenti le operazioni.

Il clima è abbastanza disteso, e la curiosità a questo punto è di capire che aria tiri all’interno. Facciamo il nostro ingresso in maniera alquanto veloce. A differenza di quanto accade da noi (se vogliamo fare paragoni, facciamone di seri e non solo impregnati di demagogia) non c’è nessun controllo sul documento, tanto meno file ai tornelli. Dato che ci hanno raccontato di un’estrema necessità di erigere barriere dentro le curve, separare settori, vietare tutto il vietabile in nome della sicurezza, lor signori sappiano che a Basilea, a pochi chilometri dal confine italiano, la sicurezza è garantita, ma le modalità sono diametralmente opposte a quelle “tricolori”. Pertanto ci chiediamo: sono sconsiderati Uefa e autorità svizzere oppure siamo noi a sbagliare qualcosa? Ai posteri l’ardua sentenza.

L’impianto basilese si sta lentamente riempiendo con i tifosi del Liverpool che ne occupano praticamente 4/5. Un numero importante. Come succede spesso alle tifoserie d’Oltremanica, tuttavia, peccano “d’invadenza”. Quanto avviene una mezz’ora prima del fischio d’inizio, infatti, è un’altra pagina che smentisce il celeberrimo “succede solo da noi”. I ragazzi dei Biris Norte, gruppo portante del tifo sivigliano, fanno il loro ingresso cacciando in malo modo gli avversari dalle proprie postazioni. Ne nascono alcuni minuti di contatto, con i Reds che si ritirano velocemente verso la parte opposta della curva. Polizia e steward sembrano farsi sorprendere, e ci vuole un po’ di tempo per far tornare la calma, con un cordone che saggiamente si frapporrà tra le opposte fazioni. Per la serie “tutto il mondo è Paese”. Se poi la vogliamo vedere da un punto di vista prettamente ultras bisogna ammettere che: gli iberici saranno anche in numero nettamente inferiore, ma in pochi secondi hanno dato l’ennesima spallata a quel mito (tenuto sapientemente in vita negli ultimi anni da una discutibile letteratura “megalomane”) rappresentato dagli inglesi.

Ripristinata la tranquillità, la nostra attenzione può volgere alla sfida degli spalti e, perché no, pure a quella in campo. Non sono uno di quelli che ha amato le riforme riguardanti le coppe europee degli ultimi vent’anni. Ricordo con nostalgia gli anni delle tre competizioni (Coppa Campioni, Coppa Uefa, Coppa Coppe) caratterizzate da un equilibrio che le rendeva molto più affascinanti e imprevedibili. Ma parliamo di un’altra era geologica e di un altro calcio. Tuttavia una finale europea è pur sempre un evento importante e, da amante del calcio, non nascondo che anche potervi assistere è un qualcosa di gratificante.

Partono gli inni delle squadre, con le sciarpe che si tendono al cielo per il classico “You’ll never walk alone” e per l'”Himno del centenario”. Molto più fitta la sciarpata andalusa, ma onestamente bella la coralità con cui i tifosi del Liverpool seguono le note propagate dagli altoparlanti. Le due squadre fanno il loro ingresso in campo e dal settore occupato dai tifosi spagnoli si srotola una coreografia che ricorda come l’Europa League, prima del fischio d’inizio, sia detenuta proprio dagli andalusi, con la chiara speranza di non doverla cedere. Le squadre si schierano nelle due metà campo e può ufficialmente iniziare la finale.

Mi spiace sembrare ripetitivo e mi spiace per gli amanti del tifo inglese. Ma sulla prestazione dei britannici posso spendere davvero poche parole, e non certo di elogio. Fatta eccezione per l’esultanza al vantaggio di Sturridge, condita da un paio di torce e fumogeni, e qualche coro sporadico durante la partita, ogni volta che mi trovo di fronte una tifoseria di Sua Maestà rafforzo le mie convinzioni e il mio scetticismo relativo al loro modo di intendere lo stadio. Chiedendomi al contempo come faccia, un modello fondamentalmente basato sul silenzio, sull’assenza di colori, di bandiere e di striscioni, ad affascinare milioni di persone al mondo? Soprattutto se si tratta di italiani, che sotto ai loro occhi hanno a disposizione anche la più insulsa delle tifoserie di Terza Categoria che sulle gradinate sa esser più calorosa e folkloristica. Sia chiaro, se ci fermiamo al discorso calcistico, anche a me ha sempre affascinato il football d’Albione, con le sue tradizioni e la sua storia ultracentenaria, ma se parliamo di tifo davvero rimango perplesso.

Se canti solo dopo i gol, te ne vai quando la partita è virtualmente chiusa (questo hanno fatto i tifosi del Liverpool sull’1-3) e riesci a far rumore e colore soltanto in piazza davanti a cento pinte di birra, dove sta tutto questo fascino? Ovvio, voglio credere che nelle tifoserie più piccole e nelle categorie più basse le cose vadano in modo diverso, ma dato che in vita mia ho avuto modo di assistere anche ad incontri tra squadre inglesi di bassa levatura, posso dire che il canovaccio è più o meno questo. Insomma, tanta “fuffa” ma poca sostanza. E per me è questo che conta.

Discorso totalmente diverso per gli spagnoli. Ero curioso di vedere i tifosi del Siviglia all’opera e gli stessi non mi hanno deluso. Quando in apertura di articolo si parlava di differenza tra “quantità” e “qualità” facevo riferimento proprio alla costanza, all’intensità e allo stile con cui i supporter andalusi hanno sostenuto la propria squadra. Con i Biris Norte sistemati in basso, il tifo si svolge soprattutto nel “rettangolo” di loro competenza, anche se il resto del settore non disdegna spesso di seguirne le gesta, creando davvero un bell’effetto. Tante manate, molto colore con le sciarpe sventolate e il suono del tamburo a ritmare alla perfezione i canti degli iberici.

Un qualcosa che non amo delle tifoserie spagnole è la scarsa attitudine nel portare bandiere. Se devo trovare un altro difetto direi che il tamburo tenuto in alto (a mo’ di barras argentine) non è il massimo dello stile (non sono fissato con queste cose, ma resto profondamente attaccato allo stile italiano, con i tamburi legati in balaustra sugli striscioni, i bandieroni in basso e il lanciacori al centro della curva), ma si tratta di quisquilie. A differenza dei loro “colleghi” inglesi, gli andalusi portano a casa la “ciccia”, stravincendo la contesa sul campo e fuori.

A tal proposito molto belle le tre esultanze ai gol di Coke e Gameiro che assegnano al Siviglia la terza Europa League consecutiva (quinta totale nella storia del club), condite anche da un paio di torce. Così mentre il pubblico inglese ha quasi totalmente sfollato, arriva il triplice fischio del direttore di gara, con l’urlo liberatorio di giocatori e tifosi sivigliani, che possono ufficialmente iniziare a festeggiare.

Piangono gli sconfitti. Comincia anche a piovere, ma è un’acqua che bagna i vincitori. I calciatori spagnoli ricevono la coppa in tribuna, per poi scendere in campo e andare a festeggiare lungamente con i tifosi. Gli altoparlanti ripropongono l’inno del Siviglia e riparte compatta la sciarpata dei tifosi. La notte di Basilea è ancora lunga per loro, probabilmente quando i Reds avranno già percorso il Canale della Manica, gli iberici staranno ancora dando fiato ai loro cori e alle loro esultanze. Anche, e soprattutto, questo è calcio.

Per noi è giunto invece l’epilogo. Ci ricongiungiamo all’esterno dello stadio per riconquistare la via di casa. Il tempo dell’ultima birretta e poi di nuovo in viaggio verso l’Italia. Stanchi ma contenti di un’esperienza che resta senza dubbio piacevole e dalla quale abbiamo avuto conferme e ulteriori spunti. Anche questa l’abbiamo potuta raccontare!

Testo: Simone Meloni

Fotografie e video: Stefano Severi, Simone Meloni

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