Più l’Olimpico si avvicina e più una sensazione di malessere mi pervade. Più la folla di turisti, con sciarpe e magliette della Roma addosso si fa intensa, e più mi chiedo dove stia andando, se quel posto sia ancora meritevole della mia attenzione e del mio affetto viscerale. Ne conosco ogni centimetro, dalle aiuole spelacchiate di Viale dei Gladiatori all’asfalto fetido e sempre ricoperto di sporcizia di Ponte Duca d’Aosta, eppure ultimamente mi viene l’ansia e lo sconforto nel pensare che quelle due ore trascorse nel quadrante Nord della Capitale saranno contraddistinte da una somma tristezza, resa ancor più grande ed infinita dal silenzio e dall’oblio degli spalti semivuoti.

I sacchi dell’immondizia sono già pronti. Si celano dietro gli ingressi della Sud, ormai scientemente divisi, per “accogliere” il flusso di quei pochi tifosi che hanno deciso con grande coraggio, anche oggi di frequentare quello che fu il settore caldo del tifo romanista. Quei sacchi sono il giusto paradigma di cosa siano diventati i tifosi, e non solo gli ultras come ci vogliono far credere, all’ombra del Colosseo. Tra pochi minuti decine di gendarmi ordineranno anche a donne e ragazzini sbarbatelli di togliersi le scarpe e poggiare su quei ridicoli lembi di plastica nera i propri piedi. L’immondizia ormai sono loro, nonostante abbiano speso 270 Euro per fruire di uno spettacolo in un determinato modo ed ora si ritrovino, di fatto, ad aver a che fare con un piccolo campo di concentramento legalizzato.

Ci vuole il pelo sullo stomaco per far passare per normale ciò che di normale non ha nulla. Si può essere ripetitivi, ma spesso la ripetizione genera reazione (questo ce l’hanno ben insegnato i maestri della falsa informazione che negli ultimi anni hanno premuto sull’acceleratore per far virare determinate situazioni a loro appannaggio). Polizia, blindati, telecamere, finanzieri, carabinieri e agenti in borghese ovunque. Anche oggi, nonostante il preventivo annuncio della Sud che non avrebbe protestato neanche al di fuori dello stadio. Soldi buttati in maniera clamorosa e vergognosa. Azioni che in qualsiasi Paese degno di questo nome genererebbero un’inchiesta parlamentare con relativo ed immediato taglio delle teste dei responsabili.

Ma qui ciò non è contemplato. Siamo a Roma. E se le magagne riguardano le alte sfere, tutto è concesso. Siamo nella città che a tutti gli effetti è diventata l’esempio massimo di un regime poliziesco e repressivo. In fatto di libertà, sia chiaro. Perché se poi andiamo ad analizzare altri aspetti, come la gestione economica delle casse comunali, la manutenzione dell’Urbe o gli interventi a tutela del cittadino, ovviamente tutta questa meticolosità scompare, sostituita dal menefreghismo e dall’assenza più infame. Del resto, se all’Olimpico centinaia di lavoratori in divisa, spesati dalla collettività, si possono permettere di passare mezzo pomeriggio con la schiena sui discovery di servizio, evidentemente in città non c’è davvero null’altro di cui preoccuparsi. Quando ci daranno una risposta in merito? Qualcuno chiederà mai ai responsabili di tutto ciò delle debite spiegazioni?

Poi ci sono le due società calcistiche: Roma e Lazio. Non è dato sapere se dietro le quinte stiano lavorando per arginare l’avvicendarsi di eventi che, volente o nolente, rappresentano un danno di immagine e tecnico non da poco. Il loro silenzio, finora, così come quello dei loro tesserati, rischia di esser interpretato un po’ da tutti come un tacito assenso. Questa è l’idea che si ha. Ovvio che siano schiave di folli marchingegni generati da Questura e Prefetto, così come è ovvio che questi ultimi per portare avanti simile follie, siano ricorsi a metodi poco ortodossi per far sottacere un po’ tutti.

Ma il tifoso di oggi ha l’opportunità di informarsi e trovare online tante risposte alle proprie domande. Pertanto, come si deve porre verso la propria società quando è notizia di pochi giorni fa che uno dei club più importanti e titolati del mondo, il Bayern Monaco, ha presentato una denuncia alla Uefa per la cruenta carica subita dai propri tifosi in Grecia, mentre a queste latitudini non si è mai pensato di alzare la voce né per sanzioni come quelle inerenti alla chiusura dei settori, né tanto meno ora, che ad essere coinvolti sono abbonati non di lunga, ma di lunghissima data?

Si chiede troppo spesso ai supporters un cambiamento culturale. E’ probabile che questi ultimi ne abbiano bisogno, ma come si può pretenderlo solo da loro, in un Paese che per risolvere i problemi ne crea di ulteriori, così da poter intervenire con la sua forza brutale anziché fare prevenzione e cercare dialogo, in questo caso, con tifosi e società? A pensar male non si fa peccato, ed è sbagliato chiedersi se tutto ciò sia studiato a tavolino per alimentare una strategia della tensione che, in tempi di crisi come questi, fa senz’altro comodo per mettere una pezza e far passare in secondo piano falle ben più importanti di una vetrata scavalcata, di un cambio posto “illegale” o di un fumogeno acceso per festeggiare il gol della propria squadra?

Come si può avere gusto ad entrare, oggi, in uno stadio come l’Olimpico? Già il calcio nazionale ha perso tantissimo del suo fascino sportivo, basti pensare alla partita di oggi, con la Roma che travolge ad occhi chiusi il malcapitato Carpi per 5-1, se poi ci togliamo anche il calore del pubblico e quel divertimento che un giorno su sette ti fa dimenticare tutte le sofferenze di una settimana, siamo sicuri che abbia senso spendere soldi e togliere tempo alla famiglia o ad altri affari personali? Lo scenario che mi si paventa di fronte oggi è un qualcosa da far cadere le braccia a chiunque. Il tabellino recita 33.000 spettatori tra abbonati e biglietti venduti, ma è ovvio che si tratti di un dato falsato dall’assenza di almeno 5.000 persone della Sud, che oggi hanno preferito fare altro pur di non subire angherie ed abusi soltanto perché indossano una sciarpa o portano una bandiera.

Qua si parla sempre del tifo organizzato, della sua cattiveria e della sua ignoranza. Ma qualcuno crede davvero che questi 5.000 “assenti giustificati” siano tutti ultras? Suvvia, ognuno usi la propria onestà intellettuale. E’ ovvio che si è arrivati a un punto in cui, pur con sofferenza e con la morte nel cuore, si preferisce non entrare in un luogo che fino a poco tempo fa era considerato forse più caldo ed accogliente della propria casa per salvaguardare un minimo la dignità.

Forse andava fatto prima. Forse quando ci siamo resi conto che per acquistare un biglietto bisognava esibire un documento, oppure per entrare in uno stadio occorreva passare per serpentine e tornelli manco fossimo in banca, ci voleva una reazione più dura e decisa. Là si dovevano svuotare le curve, quando buona parte della massa ancora era in sintonia, o comunque vicina agli ultras. Non si è fatto. Si è sbagliato in tutta probabilità. Ma come si dice? Meglio tardi che mai. E chi conosce la realtà del tifo romanista sa quanto sia difficile svuotare la Sud, eppure la mano pesante e dispotica di questi signori ci è riuscita. Ed allora sì, qua non si tratta solo di tifo. Riflettano i soloni che riportano le veline della Questura senza batter ciglio, riflettano e si calino minimamente nel ruolo di antropologo che il giornalista sa di dover ricoprire marginalmente.

Se qualcuno crede che ciò che accade al di fuori ed all’interno dell’Olimpico sia “normale amministrazione”, io francamente mi preoccupo per il futuro dell’Italia. Se oggi accettiamo allo stadio di esser trattati come in un lager, domani lo accetteremo nella vita di tutti i giorni. Stigmatizzare quanto accade a Roma non vuol dire difendere gli ultras, ma difendere quel po’ di senso di civiltà che ci resta. E credetemi, quotidianamente ci indigniamo per molto meno!

Lo spot andato in onda questo pomeriggio a Roma è una qualcosa di vergognoso, struggente, in grado di annichilire qualsiasi amante del calcio e di tutto quello che questo sport rappresenta. Senza tifosi, senza frastuono che accompagna le azioni, senza quella tensione che ha caratterizzato i nostri stadi dalla fine dell’800 ad oggi, il calcio diventa uno sport come un altro. Persino noioso, visto il livello attuale. Anzi, è meglio il teatro. Almeno se ho voglia di alzarmi lo posso fare senza rischiare di incappare in ottuse e inutili sanzioni.

L’unica nota di colore della giornata sono i circa 300 carpigiani, alla prima in assoluto nella Capitale. Divisi in due tronconi, gli emiliani sono i totali padroni della scena canora quest’oggi. A loro sarà senz’altro sembrato di giocare in casa, e potranno raccontare ai posteri di aver sovrastato a livello canoro il tempio del tifo romanista. Spero che gli raccontino anche del loro dispiacere per non aver potuto saggiare il ruggito dell’Olimpico o i fischi a un’azione pericolosa della propria squadra. Perché in fondo, a mio modesto parere, il bello della trasferta è proprio quando lo stadio avversario diventa un catino ribollente. Ma da queste parti dubito che succederà di nuovo.

Testo Simone Meloni.
Foto Cinzia Lmr e Simone Meloni.