Tre blindati nel piazzale, agenti in tenuta antisommossa che circolano inquietanti, polizia, carabinieri e guardia di finanza che presidiano le entrate controllando borse e giacchetti con il metal detector e impossibilità di passare da una parte all’altra… della navata centrale del Duomo di Orvieto!
Se si omettesse il luogo dove tutto ciò avviene, per noi calciofili sarebbe solo e soltanto la mera descrizione di una delle nostre domeniche allo stadio.
Quando l’Italia curvaiola partorì il motto “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per tutta la città” ero poco più che adolescente. E il fatto non mi piacque poi tanto, mi pareva la solita presa di posizione qualunquista, con motti e frasi fatte usate dalla maggior parte di noi senza neanche analizzarne il significato. Non che oggi, a distanza di anni, sia così cambiato il mio modo di vedere talune iniziative. Eppure, è innegabile asserire che quella frase, più di ogni altra, ci aveva preso alla grande.
È vero, le curve, gli ultras spesso si sono avvitati su piagnistei fini a sé stessi. Tempo sprecato ad autocommiserarsi che sarebbe stato sicuramente meglio spendere nel tentativo di costruire una difesa massiccia e compatta nei confronti del mondo che, nel frattempo, cambiava e, come avevamo intuito, ci voleva distruggere in quanto facenti parte di quelle cose che la società del futuro, quella della sicurezza a tutti i costi e del controllo sociale capillare, non può e non deve tollerare. Innegabile, poi, che ci abbiamo messo anche tanto del nostro, dandoci la zappa sui piedi, senza usare spesso la testa e capire gli effetti che a lungo termine avrebbero avuto determinati comportamenti.
Eppure osservare come qualcuno si scandalizzi nel dover entrare in un luogo pubblico passando per un check-in mi fa pensare a quanto, nel recente passato, l’opinione pubblica si sia fatta gioco di alcune rivendicazioni del movimento. Definendole “esagerate” oppure “inadeguate”, visto il pulpito dal quale venivano. Come sempre, finché un qualcosa non ci tocca di persona, siamo sempre pronti a puntare il dito contro chi si lamenta in base al vestito che indossa. La nostra società è così, fondamentalmente egoista, presuntuosa e menefreghista. Quando accetti che lontano da te bombardino indisturbatamente, non puoi aspettarti che prima o poi le bombe non cadano anche sulla tua testa.
Grave resta anche il fatto che in molti accettino controlli e bunker in gran parte delle nostre città, chiedendo un briciolo di sicurezza (apparente) in più, in cambio della cessione dei propri diritti basilari. Uno spreco di danaro pubblico che mette i brividi, soprattutto al pensiero delle opere pubbliche di cui il nostro Paese necessita. Ma la facciata è importante, così a pochi interessa che questo ingente dispiegamento di forza pubblica dia una tastatina agli zaini o una toccatina col metal detector alle giacche, in maniera sommaria (anche avessi avuto una bomba carta, nessuno me l’avrebbe sequestrata), l’importante è avere la sensazione che sia tutto sotto controllo. La finta certezza di vivere in un posto sistematicamente sotto gli occhi delle telecamere a circuito chiuso e sorvegliato dagli uomini in divisa.
La lotta al terrorismo e il dovere di sventare eventuali attentati sono, chiaramente, un qualcosa di sacrosanto. Ma dove finisce questo compito dello Stato e dove inizia la velata oppressione/repressione dei cittadini? Chi va allo stadio conosce bene la risposta.
Anni di sperimentazione sociale, dalle leggi anticostituzionali, passando per biglietti nominali e i tornelli e arrivando a schedature di massa come la Tessera del Tifoso, hanno fatto scuola e sono ora pronte a sbarcare nella società di tutti i giorni. Non vi sorprendete quindi. Se fossimo abituati a non difendere soltanto il nostro orticello, forse avremmo preso coscienza di tutto ciò anni fa. Ora probabilmente è tardi. Quindi se volete entrare in chiesa oggi, e magari al bar domani, preparate i documenti, aprite le giacche per far passare il metal detector e non passate da un tavolo a un altro, potrebbe costarvi un’ammenda la prima volta e l’arresto alla seconda. Buon anno!
Simone Meloni