Il turno pre pasquale della Serie D mi porta di nuovo in Puglia, per la precisione a Fasano. Come sempre il treno è mio fedele alleato, tagliando dapprima in due l’Italia e scendendo poi dirtto come una spada lungo la dorsale adriatica, spaziando dal Tavoliere, alla visione del mare nei pressi di Barletta e lasciandosi infine alle spalle Bari e Monopoli, prima di arrivare a destinazione.

Fasano è senza dubbio una delle piazze più longeve del calcio minore pugliese, nonché una città che ha saputo scrivere – nel suo piccolo – una bella e ormai radicata storia ultras. Il fatto che il 17 aprile scorso gli Allenatati (il gruppo storico del tifo locale) abbiano compiuto trentacinque anni, la dice lunga su quante generazioni si siano avvicendate con una certa continuità sulle gradinate del Vito Curlo. Ma è anche uno specchio di come l’orogliosa comunità locale abbia saputo tener viva la fiammella della passione calcistica, mettendosi in prima linea e rimboccandosi le maniche quando c’è stato bisogno. Restituendo lei stessa il Faso alla città, come vedremo più avanti.

Stadio nuovo, città nuova e storia nuova da vivere e raccontare, dunque. I primi, timidi, segnali della primavera si fanno sentire, mischiandosi però ai piovaschi di stagione. Acqua che puntualmente mi travolge una volta arrivato in stazione, dove nel giro di qualche minuto un fortissimo vento riesce quasi ad asciugarmi, oltre a spazzar via una buona quantità di nuvole. Qualche viaggiatore svogliato scende dal treno che sta ripartendo in direzione Lecce, mentre io mi avvio verso il centro cittadino. Lo scalo ferroviario è infatti distante circa due chilometri, come succede per molti altri su questa linea.

Negli ultimi mesi ho percorso a più riprese il tacco d’Italia, con l’obiettivo di “marcare” un territorio che prima della corrente stagione avevo battuto relativamente poco. Fasano, Altamura, Nardò, Matera, Brindisi, Casarano. Sono solo alcuni dei sodalizi di questo Girone H, che mai come quest’anno sembra aver preso le sembianze del Girone C della C2 fine anni ’90, quando queste e altre società storiche erano le vere e proprie protagoniste di match infuocati, dove le tifoserie – in un contesto di massima espressione nazionale – forgiavano le proprie radici, facendo scuola alle generazioni che da lì agli anni futuri avrebbero guidato curve e gruppi, formando a loro volta i ragazzi a cui è spettato l’arduo compito di rimanere ultras negli anni dei capitomboli sportivi e in quelli della repressione cieca, che ormai investe appieno anche queste categorie.

Fasano rappresenta d’uopo il punto di cesura la Terra di Bari e la Terra d’Otranto. Uno status che conferisce alla città un’importanza strategica, facendo di essa un crocevia commerciale e culturale che nei secoli ha influito – ovviamente – sia a livello economico che antropologico. Come per molte città dell’entroterra, anche qui la genesi ha origine sulla costa. Fu, infatti, l’insediamento greco (posto sulla Via Traiana) di Egnazia a ospitare gli antenati di quegli abitanti che, per sfuggire dalle continue incursioni saracene e successivamente alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, si trasferirono qualche chilometro più in là, dando vita dapprima al Casale di Santa Maria di Fajano (1088) e poi all’attuale città. Una storia che tuttavia, a causa della vicinanza con il sempre attivo e trafficato Mare Adriatico, ha sempre dovuto fare i conti con gli attacchi esterni. Non a caso uno degli eventi più sentiti tra i fasanesi è la Scamiciata, rievocazione che mescola fatti storicamente avvenuti a leggende popolari, celebrando la ribellione, e la definitiva cacciata, dei turchi, in seguito all’ennesimo assalto di questi ultimi datato 2 giugno 1678. La giornata è celebrata in concomitanza con la festa per patroni: San Giovanni Battista e Santa Maria del Pozzo Faceto. Una statua di quest’ultima è oggi custodita all’interno del signorile Palazzo Gaito, con lo sguardo perennemente rivolto verso il mare, a voler difendere i fasanesi da qualsiasi incursione nemica.

E se la miscellanea di sacro, profano, retorico e ancestrale resta un marchio indelebile della provincia italiana, altrettanto si può dire per l’araldica che contraddistingue i nostri comuni, le nostri città, i nostri paesi e le nostre contrade. Simboli che poi, ovviamente, ritroviamo anche nel calcio e negli stadi. Legati tremendamente all’universo delle curve. E infatti non c’è da sorprendersi se il soprannome della squadra locale sia Faso. Questo uccello (sulla cui testa poggia una stella dorata, segno di fortuna e prosperità) è infatti al centro dello stemma cittadino, rappresentato davanti ai tre colli che sovrastano l’insediamento urbano e all’interno della Croce di Malta: per diversi secoli Fasano fu infatti sede del Baliaggio del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta. Questo stemma è fedelmente stampigliato sulle casacche della squadra biancazzurra, foriero del legame indissolubile che quest’ultima si pone di avere con la propria comunità.

Camminando per le strade del centro storico, conosciuto come U’mbracchie (parola derivante dal latino umbraculum che significa ombra, in virtù dei vicoletti che non permettono al sole di passare per la maggior parte del tempo), ci si imbatte nelle classiche costruzioni di questa zona, bianche e lucenti. E anche in qualche “vecchina sospesa tra i balconi”, che può lasciare inizialmente inquietati. In realtà si tratta della Quarantana. Questa signora vestita poveramente viene considerata dalla tradizione popolare la moglie del Carnevale, che si è spento il martedì grasso, con i suoi sollazzi e i suoi eccessi storicamente concessi anche ai ceti meno abbienti. La sua figura, con in mano il fuso per filare, una fascina o comunque strumenti che simboleggiano il lavoro quotidiano, è affranta dal dolore, con un aspetto sofferente e trasandato; porta sempre con sé alcuni cibi che ne rammentano l’astinenza obbligata (quella della quarantena prima di Pasqua) e qualche oggetto.

Uscendo dal Torrione delle Fogge, l’ultima torre rimasta in piedi della vecchia cinta muraria, resto come sempre immerso nei vari pensieri sulla quantità sterminata di storia, leggenda e tradizione che il nostro Paese si porta dietro. Virtù, ahimé, spesso e volentieri vendute o commercializzate, tanto da divenire la macchietta di loro stesse e perdere qualsiasi interesse dal punto di vista primordiale. Ma Fasano, anche grazie alla sua posizione, è lambita da un turismo tutto sommato non invadente e distruttivo, potendo anche permettersi il lusso di “ospitare” i propri abitanti nel cuore del centro storico. Lusso che sta diventando sempre più raro, proprio in virtù della succitata svendita dei nostri patrimoni storici e strutturali al miglior offerente. Per ora qui l’aria è ancora vivibile e, anzi, le maggiori attrazioni come la Selva e lo zoo si trovano a ridosso del centro vero e proprio, permettendo quindi una buona distribuzione dei visitatori. Passeggiare per Piazza Ignazio Ciaia (intitolata all’ominimo patriota martire della Repubblica Napoletana, nel 1799) restituisce una sensazione di piacere, che porta lo sguardo sul gigante disegno dello stemma cittadino impresso proprio al centro della pavimentazione.

Mi si passi la nota di colore, ma quando penso a quest’area geografica non posso far a meno di collegarla al noto contrabbando di sigarette che per decenni ne ha letteralmente determinato buona parte dell’economia. Siamo in una zona di transito, una porta per i Balcani e per l’Oriente. E la storia dell’umanità ci insegna che i luoghi di confine, quelli dove il commercio più insiste, cambia connotati e stabilisce regole non scritte, spesso e volentieri trasudano di situazioni magari non propriamente aderenti alla morale e alla legalità, ma sicuramente ricche di fascino. Certo, è pur vero che dove finisce la “mitologia” del crimine, inizia una storia molto differente. E sicuramente meno romanzata di quello che la voce popolare vorrebbe. L’Operazione Primavera, che tra febbraio e giugno del 2000 cancellò quasi completamente il contrabbando di sigarette e generi di monopolio, la dice lunga su quanto questo mercato fosse diventato ampio e in grado di dar vita a vere e proprie guerre, tanto da richiedere la mano pesante dello Stato. Pertanto, senza voler fare nessun tipo di apologia, è normale che nell’immaginario collettivo resti il “mito” del contrabbandiere. Che poi, a pensarci, è un po’ lo stesso che ammanta i vari mercenari raccontati e resi celebri nel Far West. Una linea di demarcazione tra “bene e male” (mi si perdoni la banalizzazione del concetto) che stuzzica sempre le fantasie umane.

E il calcio? Come spesso accade è stato, e in parte è ancora, un vero e proprio fenomeno di costume. Di sicuro a Fasano questo sport è riuscito anche ad assumere importanti contorni sociali, dapprima per i suoi gloriosi trascorsi nel professionismo e recentemente grazie all’opera di salvataggio, recupero e rilancio di tutto quello che il club ha sempre rappresentato. Opera perorata e forgiata dai tifosi.

Ma andiamo con ordine. Cominciando da una curiosità: malgrado la città sia dotata di uno stadio dal 1933, si comincia a parlare di calcio locale solo sedici anni dopo. Questo perché l’impianto – inizialmente dotato solo del muro di cinta e delle recinzioni – era utilizzato dai militari di stanza nella zona. Nel 1949, quindi, nasce l’Associazione Sportiva Fasano. Si opta per il bianco e l’azzurro come colori sociali. Il primo a rappresentare il faso, il secondo a rappresentare il colore di fondo del gonfalone cittadino. Nel dopoguerra la passione per il calcio si diffonde prepotente. L’Italia – e in particolar modo il Sud – è un Paese ancora ampiamente agricolo, che sta per iniziare la sua ricostruzione, ma nel quale c’è voglia di divertirsi e fare aggregazione dopo gli anni bui del conflitto. Gli stadi sono ovviamente stracolmi e gli episodi di violenza all’ordine del giorno (cose che oggi solo a raccontarle porterebbero all’arresto in flagranza, ovviamente differita). Testimonianza è quanto accade nel finale della stagione 1953/1954. Il Fasano ospita la Liberty Bari, che prima del match ha un solo punto di vantaggio sui biancazzurri e ai quali contende la vittoria del torneo di Prima Divisione. Una svista arbitrale negli ultimi minuti permette ai baresi di pareggiare, provocando la reazione dei tifosi casalinghi. Questo porta alla radiazione e alla liquidazione del club. La città rimarrà senza calcio per dieci anni. Bisognerà infatti attendere il 1964 per veder nuovamente impegnate in tornei federali alcune squadre cittadine. Quattro per la precisione: l’U.S.Fasano, l’Assi Avanti, il Club Oratorio e l’Inter Club. Solo tre anni più tardi si procederà con la fusione che darà vita all’Unione Sportiva Fasano.

La squadra scala lentamente la piramide calcistica, divenendo anche una discreta fucina di giovani talenti. Tra questi, sul finire degli anni ’70, spicca un certo Vito Curlo. Talento made in Fasano che viene ceduto al Bari, ma al quale il fato porterà via ogni possibilità di carriera, rendendolo vittima di un terribile incidente stradale. A lui è intitolato oggi uno stadio che in quegli anni comincia a sognare in grande. Gli ’80 sono infatti una continua ricerca del professionismo, con la Serie C sfiorata e raggiunta solo nella stagione 1987/1988 sotto la guida di Elia Greco e per opera di giocatori come Valeriano Prestanti (ex del Vicenza che nel 1978 arrivò secondo in A) e Vittorio Insanguine, bomber di razza che proprio in quegli anni esplode e che nelle sue due distinte parentesi in maglia biancazzurra realizzerà qualcosa come 130 gol in meno di 250 presenze. Gente come lui, Gioacchino Prisciandaro o Giorgio Corona, oggi ce la sogniamo. Ai tempi era la regola! Sta di fatto che la categoria viene mantenuta fino al 1995/1996, anno in cui i pugliesi tornano in CND dopo aver perso lo spareggio con il Bisceglie.

La retrocessione non è tuttavia il tramonto dell’epopea sportiva fasanese. Il club torna in Serie C2 solo tre anni più tardi. Con la presidenza Ghirelli arriva lo sponsor Emmezeta, celebre marchio allora sotto l’egida di Maurizio Zamparini. Viene allestita una rosa competitiva e l’obiettivo è quello di raggiungere la C1. Sogno che viene immediatamente infranto ai playoff da un L’Aquila che asfalta sia al Curlo che al Fattori i dirimpettai. Nei due anni successivi le velleità di promozione non vengono assecondate da risultati consoni e nel 2002 la società viene liquidata. Per la seconda volta nella sua storia. Si riparte dai bassifondi del calcio regionale, ma stavolta il cammino sarà travagliato e fatto di ulteriori fallimenti e insuccessi sportivi, in linea con il baraccone pallonaro italiano del nuovo millennio.

Per rialzare la testa con un minimo di continuità e con un progetto sportivo degno di nota occorrerà aspettare dicembre del 2015. Quando sarà la vera e propria spinta popolare a cambiare le sorti del Faso. La società allora in carica viene contestata e invitata ad andar via. Invito che viene raccolto, con la neonata associazione Il Fasano Siamo Noi che dal gennaio successivo entra a far parte dell’Unone Sportiva Fasano, portando all’interno della società un’importante e decisionale presenza del tifo. Lentamente arrivano i risultati: i biancazzurri vincono i campionati di Promozione ed Eccellenza, trovando un loro equilibrio in Serie D e disputando anche discrete annate. Se è vero – come è vero – che per una società gestita da un’azionariato popolare, il sogno della Serie C è per ora prematuro e sicuramente complicato, c’è da dire che il successo affonda radici nel tessuto cittadino. L’attuale Fasano, infatti, ha permesso di ampliare la propria presenza sul territorio, coinvolgendo tanti giovani, che grazie a questo modo di fare calcio possono passare direttamente dal campo agli spalti, legando alla perfezione l’aspetto sportivo e quello identitario, che sono alla base di questa disciplina. Oltre che primordiali ragioni per le quali ognuno di noi ha iniziato a frequentare gli stadi.

Del resto questo modus operandi è prettamente legato all’idea curvaiola che gli ultras fasanesi hanno perorato sin dalla loro nascita. A proposito, come accennato all’inizio, proprio qualche giorno fa gli Allentati hanno celebrato i loro trentacinque anni (esordio il 17 aprile 1988, Fasano-Potenza 2-1). Un traguardo storico, che sicuramente rende il gruppo tra i più longevi dell panorama “minore”. Il merito è quello di aver fatto salire alla tifoseria fasanese (che sino ad allora aveva visto avvicendarsi sulle gradinate le sigle di Viking, Ultras e Freak Group) un gradino fondamentale. Anche grazie a una visione più ampia del mondo ultras, in grado di uscire dai confini cittadini e confrontarsi con altre realtà nazionali. Non è un caso che la sigla AF sia stata tra le più presenti e attive ai vari raduni e alle varie iniziative unitarie. Sebbene tutti sappiamo quale sia stato l’esito postumo, con battaglie che difficilmente sono riuscite nel loro intento, questo ha portato degli effetti collaterali in una realtà che partiva dal basso. Anche le storiche amicizie con tifoserie navigate come perugini ed empolesi la dicono lunga. Mentre altrettanto storico rimane il rapporto con i ragazzi di Manfredonia, tornato da qualche tempo più vivo e attivo che mai. Più recenti le amicizie con Locorotondo e con i francesi del Nimes.

E la Pantera Rosa? Sì, proprio lei. Lo storico simbolo degli Allenatati, che quasi hanno voluto sposare quel suo modo dinoccolato di camminare e guascone di affrontare la vita. La natura di un gruppo è spesso racchiusa nel suo nome. Anzi, era. Dato che oggi si usano perlopiù sigle asettiche come Curva Sud, Curva Nord etc etc. Quando la fantasIa del mondo ultras italiano era al top, quando ognuno voleva preservare la sua originalità e la sua indipendenza ideologica, si partorivano cose uniche nel loro genere. Si prendevano termini dialettali, modi di dire, giochi di parole, e si mettevano su stoffa. Magari sorprendendo l’avversario e dando il la a fenomeni di costume. In questo caso il dialettale “Por Jusc a m l’Alldt!” (“Anche oggi ci siamo Allenatati”) simboleggiava lo sballo. Al pari di ciò che in quegli anni si leggeva a Terni (Freak Brothers…lo sballo continua!) o di nomi e araldica dei Nuclei Sconvolti a Cosenza. Modi di approcciare la curva che ovviamente lasciavano intendere anche una determinata appartenenza politica. Creando amicizie, ma soprattutto rivalità in chi invece si trovava dall’altra parte della barricata. Di quel gioco delle parti, di quelle fantasie libere e magnifiche, oggi resta poco. Ma resta lo spirito. Di un gruppo e della sua gente. Degna di nota, per quell’ironia che un tempo ci contraddistingueva, resta la coreografia dei martinesi nella stagione 2000/20001: un grande telo con una chiave inglese impressa e la scritta: “Allenatati vi avvitiamo”.

Sempre in ambito curvaiolo, va menzionato il progetto Fasano Ultras, nato nel 2009 dopo la morte per investimento di Nicola Marsiglia, uno dei ragazzi più attivi di quella combriccola che l’anno precedente si era staccata dal gruppo principale. In suo nome è stato organizzato per dieci anni un memorial attraverso il quale si sono allacciati rapporti con i cavesi e ripresi alcuni già precedentemente esistenti. Il gruppo inizialmente si posizionava in Tribuna Laterale Nord, per poi crescere gradualmente e affiancare in curva gli Allentati dal 2013. La nascita de Il Fasano Siamo Noi ha poi costituito un importante punto di raccordo tra tutte le componenti del tifo, favorendo la collaborazione e l’interscambio di idee e iniziative. .

E oggi? La curva continua ad avere il suo profondo ruolo aggregativo. Anche in questo pomeriggio di inizio aprile, con una partita quasi inutile ai fini del campionato. Dopo la sconfitta di Brindisi, infatti, le chance promozione sono archiviate, ma in compenso il ricordo di un bel torneo disputato – in un’annata ferrea, con piazze che hanno speso, allestendo rose arcigne e ambiziose – resta. Inoltre di fronte c’è la Nocerina. Una di quelle squadre che, assieme ai suoi tifosi, negli ultimi dieci anni ha più incarnato la sofferenza e la delusione. E che al Curlo cerca disperati punti salvezza. Insomma, dal punto di vista dell’ambiente magari non ci sarà un grande pubblico, ma ci saranno quelli giusti. Quelli che l’ideale lo mettono al di là di tutto.

Il manipolo di tifosi campani fa il proprio ingresso a ridosso del fischio d’inizio e come da consuetudine, una volta varcato il confine con la terra d’Apulia, il primo coro è provocatorio: “Leccapalle dei cavajuoli!”. Sui Molossi credo si possa dire di tutto. Possono non piacere, possono risultare invisi ai tifosi avversari, ma sono ultras al 110%. Un blocco unico, sempre pronto dentro e fuori. Passano le generazioni, piovono diffide e la mannaia repressiva stritola Nocera, aiutata anche dalle delusioni sportive e dalle recenti nefandezze societarie che hanno disamorato ulteriormente il popolo rossonero: ma la certezza di trovare al proprio posto gli ultras nocerini non è mai messa in dubbio!

Così quando la partita inizia, la contesa sugli spalti si accende. La Curva Sud va man mano riempiendosi. Il giorno lavorativo fa sì che in tanti entrino a partita in corso, appena staccato dal lavoro. Quella dei pugliesi è una buona prestazione, che conosce il suo apice nel secondo tempo. Tanta manate, una sciarpata, qualche torcia e bandiere sempre al vento. Tifo classico, all’italiana – forse, mi permetto di dire, a volte con un utilizzo troppo massiccio del tamburo -, che di fatto non tramonta mai. Gli Allentati si sistemano dietro lo striscione Avanti Ultras, che da quest’anno sostituisce quello del gruppo in seguito ai ventitré Daspo comminati ad altrettanti esponenti della Curva Sud per gli incidenti contro il Nardò relativi all’ultima giornata dello scorso campionato. Come sempre alternano il tifo a diversi cori per il movimento e contro la repressione.

In campo alla fine sono gli ospiti a spuntarla, con un 2-3 in rimonta che permette loro di respirare ossigeno importantissimo in chiave salvezza. Dopo l’uscita di scena della cordata americana, i supporter nocerini si sono compattati al fianco della squadra per raggiungere quanto prima la permanenza in D e auspicare la programmazione di un campionato vincente, l’anno prossimo. Sarebbe anche ora per una piazza che ormai da tanto tempo espia colpe non sue.

Qualche fischio invece per il Fasano piove dalla tribuna, mentre la Sud riserva applausi a una rosa che non solo ha mantenuto agevolmente la categoria, ma per larghi tratti del torneo ha anche entusiasmato.

Il Curlo si svuota, rimamendo con le sue belle tribune pittate a dar spettacolo di sé stesso. L’impianto fasanese con gli anni ha sicuramente avuto migliorie che lo hanno reso tra i più belli e accoglienti del calcio dilettantistico pugliese. Basti pensare alla creazione del settore ospiti (una volta collocato in un angolo delle tribuna coperta e ovviamente foriero di continui problemi, vista l’attiguità col pubblico locale) avvenuta ormai diversi anni fa e al restyling dal punto di vista estetico e del manto erboso. Nota di colore: in occasione dei Mondiali di Italia ’90 questo stadio ospitò gli allenamenti del Camerun (di stanza presso la Selva), divenendo anche teatro di un’amichevole proprio con il Faso (che peraltro riuscì a battere gli africani per 2-1).

Anche io abbandono il terreno di gioco, scendendo nei meandri dello spogliatoi. Come sempre qua si apre davanti ai miei occhi un vero e proprio mondo sacro. Fatto di maglie storiche del club, trofei conquistati, foto che ritraggono squadre vincenti e coreografie passate alla storia, nonché quella lavanderia ce rappresenta il vero e proprio tempio per ogni addetto ai lavori. Laddove maglie impregnate di terra e sudore, emanando un odore tutt’altro che piacevole, sono pronte a entrare nella lavatrice, supervisionate dal magazziniere di turno. Una delle figure più mitologiche e rappresentative del calcio!

Giusto che al culmine di una giornata simile sia proprio questa l’ultima immagine davanti ai miei occhi. Ora è tempo di riprendere le mie cose e avviarmi verso la stazione. Un vento gelido sta spirando in maniera fastidiosa e il mio treno per Bari partirà tra qualche minuto. Ultimo sguardo allo stadio e poi via, verso il ritorno. Con il convoglio che marcia lentamente, muovendosi verso nord e lasciandoi incamerare ancora una volta pensieri e frame di vita vissuta. Che sono tornati propotenti alla mia mente una volta davanti al computer, dove come sempre è stato un piacere poter raccontare e al contempo apprendere un qualcosa. Opera basilare per ogni narrazione che si rispetti!

Simone Meloni