Le Final 8 di Coppa Italia di basket hanno calato il sipario. In compenso, i teloni che hanno coperto, in finale, i vuoti sugli spalti del terzo anello sono stati rimossi. Rimane solo tanto lavoro per gli addetti alle pulizie e il tempo per fare un bilancio finale di questa manifestazione. Chiaramente su Sport People il dibattito non può che incentrarsi sull’appeal che la manifestazione ha avuto sulle tifoserie organizzate (provenienti da sette regioni italiane) e sul pubblico appassionato in generale. E, visto che parliamo sempre di come, soprattutto in certe piazze, la gente si stia realmente avvicinando al basket, il quadro fornito dalle cifre ufficiali sull’affluenza al Forum di Assago è letteralmente in controtendenza rispetto alla crescente popolarità di questo sport.

E il basket è al centro dello sport, in qualità di seconda disciplina nazionale per numero di affezionati e sostenitori, questo è poco ma sicuro. Allora come mai un evento sotto i riflettori come le finali di Coppa Italia, la cui formula segue un format collaudato nelle maggiori piazze europee con successo, ha fatto registrare un flop? Le ragioni sono molteplici e in questa sede mi limiterò solo a citarne alcune.

Primo fattore, la sede delle Final 8, il Forum di Assago, estrema periferia di Milano. Impianto, questo, abbastanza grande da permettere numeri importantissimi, ma spesso scomodo ed oneroso da raggiungere persino per il cittadino milanese, tra traffico, esosi balzelli autostradali ed una metropolitana che aggiunge una tariffa supplementare in quanto il Forum si troverebbe in una tratta “extraurbana”. Se, quindi, anche per lo stesso Milanese un impianto come il Forum non è il massimo della vita, figuriamoci per le tifoserie che hanno organizzato le trasferte in questa maratona di tre giorni: tra le piazze più lontane vanno segnalate Sassari, Brindisi, Roma e Siena, ma una trasferta in un pomeriggio di Venerdì è scomoda persino per chi arriva da Venezia o da Reggio Emilia. Una partita di Venerdì alle 18 lo è persino per chi arriva da Cantù, sì e  no una quarantina di chilometri resi ardui da collegamenti ferroviari non diretti o da un traffico che scoraggerebbe chiunque.

Spostare la sede non sempre può essere sinonimo di successo, senza contare che sono poche le piazze che possono garantire una gestione contemporanea fino a 4-5 tifoserie per volta: basti pensare che, negli ultimi 20 anni, le Final 8 sono state ospitate al Forum di Assago (tre volte), a Casalecchio di Reno, Bologna (8 volte), a Forlì (6 volte), a Torino (2 volte), ad Avellino e a Reggio Calabria (una volta ciascuna). Non si tratta, quindi, di un circo itinerante, ma di una parziale rotazione tra poche sedi fisse con qualche concessione extra di tanto in tanto. Ma se solo si provasse ad inserire le Final 8 in un contesto dove il basket ha più seguaci, allora forse tutto sarebbe diverso; solo per dirne alcune, mi immagino il successo di queste finali se fossero inserite in piazze come Siena, Pesaro, Brindisi, la stessa Sassari, o perché no, in Sicilia, dove il basket che conta accarezza solo piazze relativamente piccole. Ma mancano gli impianti adeguati, e quindi la faccenda si sposta sull’eterna carenza di strutture e di fondi destinati a sport che non siano il calcio. Vecchio adagio, solite conseguenze.

Secondo fattore, la formula imperiosamente scomoda. A chi può venire in mente, o chi ha la possibilità di seguire, fosse anche solo in televisione, un quarto di finale di Venerdì alle 13 o alle 15:30? O persino alle 18? Seguire poi dal vivo queste finali diventa una missione da stakanovisti, quasi da folli. Almeno, in edizioni passate, per quanto sempre massacrante nei ritmi, la formula prevedeva due quarti di finale al Giovedì e due al Venerdì. Poi però c’è chi si lamentava da una parte per i costi che aumentavano per la permanenza delle squadre, mentre, su sponda opposta, qualcuno ha sostenuto che chi iniziava il Giovedì sarebbe stato più fresco in semifinale rispetto a chi ha disputato il proprio match il giorno successivo. E allora si taglia la testa al toro e si gioca tutti, appassionatamente, di Venerdì. E le conseguenze si sono ben viste.

Terzo fattore, le squadre partecipanti e quelle che vanno avanti. Come ben si sa, a partecipare alla Coppa Italia sono le otto squadre di serie A1 che, al termine del girone di andata, si trovano nelle prime otto posizioni. E non sempre, fra queste otto, vi sono squadre dalla maggiore tradizione o dal maggior pubblico, e proprio questa edizione ha visto esclusioni eccellenti come Varese, Virtus Bologna, Pesaro, Avellino, senza contare tutte quelle squadre storiche che stazionano dalla serie A2 fino alla DNB in attesa di tempi migliori. Fondamentale poi, per attirare il pubblico, vedere chi va avanti e chi no. Se si gioca a Milano, inutile dirlo, le speranze sono tutte riposte nelle qualificazioni dell’Olimpia e di Cantù, o di Reggio Emilia in extremis: ma, dopo che di queste tre ne è avanzata una in semifinale (tra l’altro Reggio Emilia, la squadra chilometricamente più svantaggiata rispetto alle altre due elencate), rimangono solo i tifosi delle squadre rimanenti e i veri intenditori e appassionati di basket che possono permettersi di pagare il biglietto.

Già, i prezzi dei biglietti, quarto fattore di un evento dai numeri non all’altezza. Chi è entrato nel settore ospiti ha avuto il prezzo minimo ma poteva, almeno sulla carta, guardare una sola partita: il costo della curva è stato di 12,50 € il Venerdì e di 15,50 € gli altri giorni (più prevendita) per una visuale veramente pessima. Per quanto riguarda gli altri settori, il Venerdì, con un tagliando valido per tutte e quattro le partite, si spendevano 25 € per la tribuna laterale, 37 € per una tribuna centrale, 46 € per il parterre laterale e 60 € per quello centrale, un prezzo conveniente solo per chi non era interessato a seguire una singola partita. Il Sabato, invece, per assistere a due partite, la tribuna laterale è lievitata a 33 €, quella centrale a 56 €, il parterre laterale a 69 € e quello centrale 89 €. Stessi prezzi per la finale della Domenica (una sola partita però), col solo parterre centrale portato a 110 €. Per correttezza va citata la possibilità di un mini-abbonamento valido per semifinali e finale da 60 € per la tribuna laterale, 100 € per quella centrale, 124 € per il parterre laterale e 178 € per quello centrale. Lascio giudicare a chi legge se i prezzi sono equi o meno, ma almeno su due fattori vorrei mettere un accento: il primo è che il basket è uno sport popolare e in crescita, ma tale crescita andrebbe incoraggiata anche verso chi non è ancora un vero appassionato, e di certo non lo si può pretendere a tali tariffe, alle quali vanno associati i non indifferenti costi di viaggio; il secondo è che la fascia di età più invogliata a seguire una partita di basket è quella dei teen-ager, ragazzi spesso dalla grande passione ma col portafogli perennemente in secca. Senza contare, infine, la crisi economica più in generale, ma si entra in un campo di pretese inutili se si pensa allo schiaffo alla povertà che si sta dando, per esempio, in Brasile per i prossimi mondiali di calcio (per non parlare della precedente edizione in Sudafrica).

Manca la cosa più importante, i numeri. I dati dell’affluenza erano impossibili da reperire in loco (mi dicevano che solo a fine manifestazione sarebbero stati diramati i dati ufficiali), ma le foto che metto a disposizione parlano chiaro, contando un migliaio di bambini della scuola elementare il Venerdì (entrati gratuitamente) e le curve, non inquadrate, praticamente vuote. I dati li fornisce, dettagliatamente, un articolo del Fatto Quotidiano a firma di Andrea Tundo (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/10/basket-il-flop-mediatico-della-final-eight-specchio-della-mediocrita-del-movimento/875886), che invito a leggere anche perché si parla delle imbarazzanti differenze con le altre edizioni europee della Coppa nazionale di basket svoltesi nello stesso fine settimana di quelle ad Assago. Per sintesi, riporto alcune cifre interessanti: calcolando una capienza totale per il basket di 12.500 spettatori, il Forum ha visto alternarsi, in tre giorni, 18.000 spettatori: tra questi, da togliere un migliaio di bambini entrati gratis, i tanti omaggi dei vari sponsor, ed infine tutti gli addetti ai lavori, compresi quelli del catering, registrati con un regolarissimo biglietto di Ticket One. Ad andar bene, parliamo di 15.000 paganti, 5.000 al giorno e poco più di 2.000 in media a partita. La sola finale ha registrato 4.500 spettatori, e ovviamente il match del Venerdì dell’Olimpia Milano ha trainato il carro (nonostante le curve semi-vuote).

Fiore all’occhiello i dati auditel. La rassegna è andata in onda tutta attraverso Rai Sport senza mai passare per una delle tre reti principali della tivvù nazionale: risultato, ovvio, è che la finale ha avuto 158.000 spettatori con uno share dello 0,58%. Anche qua è barbino il confronto coi numeri delle altre epigoni europee. Sono lontanissimi i tempi delle finali scudetto che passavano su Rai2 e seguite da milioni di spettatori. Ma, da un’azienda come la Rai, retta da figli, figliastri e figliocci da sempre, e dove anche il calcio è stato svilito al massimo, cosa c’è da aspettarsi?

Qualcuno dirà: ma sono state tutte da buttare queste Final 8? A mio avviso assolutamente no. A mio modesto parere, quasi tutte le partite sono state di altissimo livello. E, oltre a questo, sono emerse piazze dall’incredibile quanto inaspettata passione cestistica: su tutte cito proprio Sassari ma soprattutto Brindisi, senza contare l’exploit del pubblico proveniente da Reggio Emilia, soprattutto nel quarto di finale contro Cantù. Altri dettagli li racconterò nei miei articoli delle singole giornate (Matté fatti coraggio).

A fine edizione, non resta che augurarsi cose migliori per il futuro con tante preghierine. Ma, prima del basket, bisogna passare attraverso un Paese interamente da ricostruire. Poi arriverà il resto.

Testo e foto di Stefano Severi.