Deve essere stata un’estate di tanti anni fa. Forse 1998 o 1999. Una di quelle accaldate. Quelle che finita la scuola passavi per strada a giocare a pallone aspettando l’uscita del nuovo album Panini. A gennaio dell’anno successivo. Una tortura.
C’erano i bambini sani, quelli che oggi definirebbero adatti alla friend zone, che ingannavano questa attesa comprando album “fasulli”. Brutte copie dell’originale che ti davano comunque l’opportunità di avere qualcosa in mano. Qua a Roma, per esempio, ne uscirono un paio (davvero ben fatti devo dire) sulle due squadre capitoline, con tanto di piccoli approfondimenti storici.
Questi pargoli friendzonati si esaltavano stringendo tra le mani un Del Piero, un Baggio o un Baresi.
A me dava immensamente fastidio invece l’assenza totale di scudetti e squadre di Serie B e C. Tutte le volte, a settembre, mi rifiutavo di collezionare i “falsi d’autore” in attesa dei maestri Panini.
Così in quella calda estate fu mia nonna a togliermi di testa album, scudetti e squadre. Chiedendomi di seguirla ben oltre le Mura Aureliane. Nel suo paese nativo: San Paolo di Civitate. Provincia di Foggia, a pochi chilometri dal confine con il Molise.
Per un bimbo malato di calcio gli unici colori che potessero venire alla mente quando la macchina varcò il confine della Puglia via Candela, non potevano che essere il rosso e il nero. Ovviamente racchiusi nello stemma con i satanelli. Ricordavo una figurina di Igor Kolyvanov attaccata sul mio diario delle elementari. Forse un doppione mai scambiato. O forse la voglia di imprimere quel suo sguardo severo (addirittura rammento di averne avuto timore nell’incrociarlo) nelle mie giornate di piccolo alunno. Chissà.
Forse fu in quei giorni di estate torrida, lontano da Roma e immerso nella semplicità paesana, che scoprii la mia attrazione per il calcio che non sta sotto i riflettori o che non si esalta per i grandi nomi. Andammo in un mercato una mattina. Francamente non ricordo se fosse a Torremaggiore o a Lucera. Ma ricordo che come un forsennato cercavo una qualsiasi cosa del Foggia da riportare a Roma a mo’ di reliquia. Vent’anni fa avere materiale di squadre che non fossero Milan, Inter e Juve era molto più complicato di quanto si pensi. Non c’erano Ebay e Amazon. Men che meno i social network. Credo che il mercatifo fosse la versione più evoluta per scambiarsi del materiale.
Con una parte delle 20/30.000 Lire messe da parte con le paghette mi aggiudicai un gagliardetto, un cappello e una sciarpa su cui c’era scritto Regime Rosso Nero. Cosa volesse dire lo capirò dopo qualche anno. Quando l’occhio si sposterà lentamente dal campo agli spalti. E quando anche quell’ultima ondata di “Foggia mania” creata dai superbi anni novanta dei dauni andrà spegnendosi, lasciando spazio a campionati anonimi, al fallimento e a una mesta ripartenza dalla Serie D.
A casa conservo una cartolina di Foggia. È il piazzale della Villa Comunale. Dietro c’è una data: 1956. E una dedica. Fatta da mia nonna a mio nonno, al tempo impegnato nella leva obbligatoria. Voglio iniziare da qua il mio racconto, sperando che nessuno si sia tediato se mi sono permesso questa lunga introduzione. Del resto ho tardato nello scrivere questo racconto, giusto che infligga ai miei lettori anche l’obbligo relativo al nostalgismo. Sono prolisso e logorroico quando scrivo, ne ho coscienza.
Non è la prima volta che vengo a Foggia. Ma è la prima volta che ci vengo da quando i rossoneri sono tornati in Serie B. So di trovare una piazza affamata. E so che quest’anno la Puglia avrà davvero tanto da offrire. A cominciare dal ritorno di una classica: quel derby con Bari che manca in campionato ormai da troppi anni. Certo, c’è la sfida di Coppa Italia della passata stagione, ma con la trasferta chiusa ai foggiani vale davvero poco. Sarà difficile, a naso, imporre divieti simili in campionato. Per questo mi sento di dire che Foggia-Bari e Bari-Foggia saranno senza dubbio due tra gli appuntamenti più importanti dell’intera annata calcistica.
Oggi però a scendere sul manto verde dello Zaccheria c’è un’altra nobile del calcio nostrano: il Perugia, che se vogliamo negli ultimi anni ha avuto un percorso calcistico molto simile a quello dei pugliesi. La ripartenza dai dilettanti, la scalata dei campionati e l’arrivo in cadetteria, dove è ormai in pianta stabile da qualche stagione.
Il Grifo arriva nel Tavoliere con il potenziale favore del pronostico, in virtù di un buon campionato disputato fino alla giornata precedente, che ha coinciso con la rocambolesca sconfitta patita per mano della Pro Vercelli (1-5). Un risultato che ha fatto scaturire non poche polemiche in terra umbra.
Quando l’orologio segna le 18 la città si è ormai ampiamente riversata per le strade del centro e tanti ragazzi con la sciarpa rossonera si muovo all’impazzata verso lo stadio. Chi sorseggiando una birra, chi mangiando un gelato e chi – di gusto – mandando giù un cartoccio di scagliozzi (cubetti di polenta fritti, tipici di queste parti).
Anche io raggiungo molto presto lo Zaccheria e rispetto all’ultima volta in Serie C noto subito come il servizio d’ordine sia raddoppiato nei suoi effettivi. Malgrado tra foggiani e perugini non ci sia una rivalità sentitissima lo schieramento è di quelli ingenti e alla fine ne faranno le spese i supporter umbri, arrivati al casello di Foggia abbondantemente prima del fischio d’inizio e costretti ad entrare a match iniziato. Col solito trattamento all’italiana e il classico menefreghismo verso chi ha deciso di spendere un giorno infrasettimanale per una trasferta non tra le più vicine e agevoli.
L’impianto di Viale Ofanto merita sempre menzione per la sua bellezza e la sua spiccata attitudine al calcio, con gli spalti attaccati al campo, l’assenza della pista d’atletica e le gradinate da pochi anni ripitturate di rossonero che trasmettono ai suoi avventori neutrali un bel senso d’appartenenza. Inoltre sembrano lontani anni luce i giorni del dilettantismo e del primo ritorno in Serie C, quando i Distinti rimanevano chiusi e la capienza subiva una forte limitazione. Come detto Foggia ha fame di calcio e la progressiva scalata ha fatto tornare a riempire spazi dello stadio che si credevano chiusi per sempre.
Sono 12.849 gli spettatori presenti e – benché non sia sold out – è comunque un numero significativo. Anche se vanno tenute presenti le limitazioni alla capienza che ancora persistono. Del resto togliere posti al pubblico calcistico è divenuta una delle maggiori prerogative dei cervelloni che gestiscono l’ordine pubblico in fatto di manifestazioni sportive.
Già in fase di riscaldamento le due curve si fanno sentire e quando le squadre scendono in campo in Sud vengono alzate tutte le sciarpe con uno striscione nella parte centrale che con un imperativo categorico ordina di “Vincere!”, mentre la Nord si produce in una sciarpata arricchita dall’accensione di molti “flash”. Il risultato è ovviamente di quelli importanti.
Un incessante rullio di tamburi in ambo i settori spinge spesso lo stadio a partecipare e complessivamente si ha l’idea che giocare allo Zaccheria non sarà facile per nessuno. Non è una novità, ma di questi tempi trovare l’intero pubblico che segue le curve e rumoreggia spesso in maniera assordante, lascia comunque un ottimo retrogusto che sa di soddisfazione. Si ha l’idea che l’avvocato o l’impiegato comunale di turno da queste parti non si facciano influenzare dal falso buonismo imperante nella nostra società e varcando i cancelli dello stadio lascino fuori il proprio status sociale “sporcandosi le mani” nella melma popolana chiamata “tifo”.
Andando nello specifico devo dire che la prestazione della Nord è stata davvero di alto livello. Tifo incessante per tutti i 90′, cori eseguiti praticamente dalla prima all’ultima fila, materiale sempre bello e curato e un portamento ultras da far impallidire tante piazze blasonate che in Serie A si decantano con presunzione. Analizzando la Sud va sottolineato – anche là – un buon tifo portato avanti per tutta la partita, sebbene si abbia la chiara idea che sia un settore occupato anche da molti tifosi “normali” i quali, anche cantando e partecipando al bel frastuono prodotto dal tifo, hanno un atteggiamento più “spontaneo”.
Complessivamente parliamo di una bella prestazione che viene coronata dalle caotiche esultanze ai due gol che permettono al Foggia di battere i dirimpettai per 2-1.
Venendo agli ospiti, come mi è capitato di dire spesso incrociandoli negli ultimi anni, con i perugini si va sempre sul sicuro. Che siano 50 o che siano 2.000. Entrati in ritardo si posizionano con le classiche pezze dei gruppi e pian piano carburano macinando tifo e compattandosi ogni minuto che scorre sul cronometro. Tifo continuo, bandieroni tenuti sempre in alto, torce che non mancano mai, una bella sciarparta nella ripresa e il gusto di stuzzicare di tanto in tanto gli avversari. Insomma, una certezza.
Al fischio finale, mentre tutto lo stadio festeggia e inizia a ritirare striscioni e pezze, gli umbri (forse per recuperare il tempo persona all’inizio) continuano a tifare e stuzzicare i padroni di casa, ricevendo immediatamente risposta. È un piacere osservare la voglia che c’è da ambo le parti di calcare i gradoni e lasciare il segno in questa serata.
Non posso trattenermi più di tanto, avendo il pullman per Roma poco dopo. Così anche io sistemo la mia attrezzatura e mi dirigo verso la stazione. Sta per finire questo particolare venerdì ottobrino. Ed io lo saluto definitivamente addormentandomi sul torpedone che a tutta velocità taglia il Sud in due percorrendolo da Est a Ovest.
Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Pierpaolo Sacco.
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