È arrivato il momento, è ormai tardo pomeriggio di una insolitamente soleggiata domenica di metà Ottobre a Varsavia e, piuttosto impaziente, ma anche (non lo nascondo) teso, lascio insieme al mio compagno di viaggio l’hotel nel centro cittadino con destinazione: Pepsi Arena, casa dei dodici volte campioni di Polonia del Legia Warzawa ma soprattutto degli spettacolari, temibili e spesso controversi Ultras Legia.

Arrivo nella capitale polacca in un momento non semplice per i “Legionari” reduci da un inizio di stagione deludente e da una tanto bruciante quanto netta sconfitta in trasferta contro gli storici rivali del Lech Poznan, umiliazione non accettata dalle frange più estreme della tifoseria e che ha portato, nel parcheggio antistante lo stadio, ad un incontro ravvicinato e per nulla amichevole fra squadra e sostenitori.

Con queste premesse percorro gli incantevoli parchi e viali per i circa due chilometri che mi separano dall’impianto che da lì a poco ospiterà un classico del calcio polacco: Legia Warzawa-Lechia Gdansk.

Sono letteralmente estasiato all’idea di confrontarmi e vedere all’opera quella che negli ultimi anni è stata, senza ombra di dubbio, una delle tifoserie più chiacchierate ed apprezzate nel panorama Ultras internazionale.

Per poter ammirare da vicino lo spettacolo, decido quindi di acquistare per pochi Zloty due biglietti nei distinti, il più vicino possibile alla curva di casa, col senno di poi mai scelta fu più azzeccata. Dopo aver saggiato l’atmosfera nei pressi dello stadio, fra una birra, molte foto e più di qualche parola scambiata con i tifosi locali, decido quindi di prendere posto con un discreto anticipo rispetto al fischio iniziale.

L’impianto seppur non di proprietà è letteralmente un gioiellino, è infatti figlio dei lavori di ristrutturazione iniziati nel 2008 e terminati nel 2011 a ridosso degli europei ospitati da Polonia e Ucraina l’anno seguente. Non immenso dal punto di vista della capienza può ospitare infatti poco più di 30.000 unità, è però un catino disposto su due anelli con ovviamente tutti i settori a pochi metri del manto erboso.

A pochi minuti dall’inizio del match vengo a scoprire da un vicino che, essendo la partita a forte rischio dal punto di vista dell’ordine pubblico, la trasferta ai tifosi ospiti del Danzica è stata vietata: peccato, penso fra me e me, è sempre un colpo al cuore vedere un settore chiuso privando così il match del confronto fra due tifoserie rivali.

Assisto al riscaldamento pensieroso, mi chiedo cos’abbiano in serbo i mai banali Ultras di casa per questo match, i miei pensieri però vengono interrotti da un boato come mai ne avevo sentiti né in Italia né in giro per l’Europa. In pochi minuti lo stadio si riempie, anche se i numeri dei paganti non saranno da capogiro (20.000 unità circa) il colpo d’occhio è più che buono e la curva di casa registra, come sempre, il tutto esaurito.

Ormai tutto è pronto, vengono esposti molteplici striscioni e solo in quel momento mi rendo conto della presenza al centro della curva di una pedana da cui un lanciacori, armato di microfono e coadiuvato da quattro tamburisti avrebbe infiammato e coordinato il tifo per 90′.

Nessuna coreografia celebra l’entrata delle squadre in campo ma “solo” un’impressionante sciarpata a cui partecipa l’intero stadio, sulle note del loro inno. In quell’istante realizzo che per la successiva ora e mezza avrei assistito a un rito collettivo, a cui tutti, dal bambino alle prime presenze passando per gli ultras arrivando a persone più anziane avrebbero partecipato, senza mai risparmiarsi nel sostenere la propria squadra.

Dal punto di vista del gioco e del risultato la partita non verrà consegnata agli annali, indice di un momento non semplice attraversato da entrambe le compagini. Nel complesso però formazione di casa, superiore tecnicamente a centrocampo, riesce a sbloccare il match in avvio, infuocando i propri sostenitori. Quasi nulla la reazione degli ospiti che in più di un’occasione rischiano il doppio svantaggio, creando solo un paio di occasioni in cui il portiere di casa si rende protagonista di ottimi interventi.

La verità però è che per lunghi tratti, spesso per molti minuti, il campo nemmeno l’ho guardato: lo spettacolo risiedeva altrove, lo spettacolo risiedeva in ognuno di quei ventimila tifosi che hanno intonato a volumi impressionanti una buona varietà di cori, dal primo all’ ultimo secondo di gioco, coordinati in maniera incredibile ed impeccabile dal lanciacori.

La parita scivola via, scivola via troppo velocemente e negli ultimi minuti mi rendo conto di avere assistito, e per quanto possibile partecipato, a una prestazione di tifo con pochi eguali nel mondo. E mentre quel muro biancoverde alla mia destra accompagnava la squadra a una meritata vittoria, non ho potuto che ringraziarli anche io nel mio piccolo, applaudendoli.

Al fischio finale lo stadio si svuota rapidamente, nessun saluto sotto la curva, la strada per tornare ai vertici del calcio polacco è ancora lunga, ma con un sostegno del genere nulla è impossibile, anzi..

Sulla via del ritorno, con le luci della Pepsi Arena alle spalle mi immergo nella notte di Varsavia frastornato da ciò che ho vissuto. Ricantando fra me e me i cori sorrido: per una volta il campo può passare in secondo piano, lo spettacolo risiedeva altrove.

Nicolò Palmiotta.