Ci sono sfide che fai quasi per default. Stadi in cui vai per abitudine, per scambiare quattro chiacchiere con questo e con quello o perché sai che, nella peggiore delle ipotesi, vedrai sempre uno spettacolo di tifo dignitoso. Poi ci sono partite che ti programmi appena usciti i calendari. Pure in un periodo storico complessivamente moscio e asettico, dove troppe volte ci si trova di fronte al solito spettacolo annacquato, in cui affogano i ricordi del glorioso passato che fu.
Foggia-Pescara è senza dubbio una di queste. Sarà che poi sulla sponda Adriatica del nostro Paese il tempo sembra scorrere più lentamente. E alcuni rancori, alcune sensazioni, sono rimasti invariati negli anni. Sono uno che quando viaggia in Italia, ormai, lo fa senza troppe aspettative. E so bene che neanche la sfida tra Satanelli e Delfini di oggi potrà ricalcare quelle del passato. Tuttavia sono anche cosciente di salire un gradino in più e respirare almeno quella tensione che scarseggia quasi sempre dentro e fuori i nostri stadi.
Assieme ad un Andrea, ormai assetato di viaggi e partite come non accadeva neanche a Dracula col sangue delle donzelle nelle notti di luna piena, arriviamo in città che le lancette dell’orologio hanno da poco superato le 12. Ogni tanto cade qualche goccia ma, col passare del tempo, il cielo si aprirà lasciando spazio a un sole che in men che non si dica riscalda a meraviglia il Tavoliere. L’esterno della stazione di Foggia è già parzialmente blindato e, con il passare del tempo, la presenza di forze dell’ordine si farà man mano più fitta.
Non mi inoltro nella cronaca approfondita del pre partita, ma non posso esimermi dal dire che le vie circostanti lo scalo ferroviario, laddove i tifosi del Pescara arriveranno, si impregnano lentamente di tensione. I tafferugli tra tifosi dauni e polizia sono ampiamente raccontati dai giornali di cronaca e dai video presenti sul web, inutile starci ancora a cincischiare sopra.
Una parte dei 500 supporter abruzzesi ha deciso di raggiungere Foggia col treno, facendo prima cambio a Termoli. Una scelta che già di suo sa di antico e ben delinea l’interpretazione di questa sfida da ambo le parti.
Il fatto, poi, che Pescara sia frequentata da numerosi studenti foggiani, che la partita non si disputi da diversi anni e che, pochi giorni prima, qualche tifoso pugliese abbia appeso sotto lo stadio Adriatico uno striscione di sfida, non aiuta certo a gettare acqua sul fuoco.
Arrivo nei pressi dello stadio quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio, divincolandomi con spasmodica ansia tra la miriade di persone che anima l’area perimetrale. Ci sarebbe da aprire un capitolo a parte su quanto sia bello vedere panini artigianali, rosticcerie, pizzerie dall’indubbio valore e prodotti tipici divorati dai tifosi in confronto ai finti chioschi che vendono carne di decima qualità ormai installati fuori a quasi tutti i grandi stadi nazionali. Ma non è questo il caso.
Alquanto trafelato supero i preiltraggi e mi accomodo in tribuna stampa col fiatone, felice di essere arrivato in tempo per l’inizio. Dei tifosi ospiti ovviamente non c’è ancora traccia: dacché mi ricordi non c’è stata una volta, tra tutte quelle in cui ho messo piede allo Zaccheria, in cui i tifosi provenienti da fuori siano stati fatti entrare in tempo.
Come di “consueto” da queste parti, anche i tifosi dannunziani vengono sottoposti a una vera e propria schedatura con riprese video e foto di una persona alla volta con biglietto e documento alla mano. “Attenzioni” che, a quanto apprendiamo, si sono ripetute anche all’uscita dall’impianto di Viale Ofanto. Ci sarebbe da scandalizzarsi, se questa pratica non fosse diffusa da tanti anni, soprattutto in determinati stadi. Consentita dal silenzioso e lombrosiano sentire comune del “tifoso criminale”.
In attesa che i pescaresi facciano il loro ingresso, accendendo definitivamente il confronto, ho tempo di godermi la bellissima fumogenata multicolore della Curva Nord, completata dallo striscione “Per te ne facciamo di tutti i colori”. Il fumo sale coprendo i palazzi alle sue spalle. Edifici tra cui – e chi è stato a Foggia lo saprà bene – si è quasi costretti a passare in mezzo se si deve andare in tribuna coperta. Case, palazzi e costruzioni che se potessero parlare (prendo in prestito la citazione di una mia conoscenza) avrebbero da raccontarci anni veraci di calcio e tifo.
La Sud si mette in mostra con una sciarpata discretamente riuscita e con diversi fumogeni accesi qua e là, quasi a fare da prologo alla bella fumogenata di inizio ripresa, anche in questo caso multicolor. Tuttavia, nessuno me ne voglia, difficilmente riuscirà a offrire un tifo compatto e unitario tra tutti i suoi effettivi. Per la maggior parte dei 90′ è il suo nucleo centrale a tifare, mentre ai lati si nota chiaramente come la composizione di tale settore sia prevalentemente formata da pubblico “normale”, con poca attinenza al tifo e più interesse per la partita.
Discorso certamente diverso per la Nord, che dà sempre una bella idea di compattezza e quando tifa nel suo intero è notevole, riuscendo a coinvolgere buona parte dello stadio. Va detto, sempre per onestà, che malgrado il bel tifo complessivo, questa non è stata certamente la loro miglior prestazione a cui abbia assistito.
Ma siccome credo che le cose vadano sempre analizzate e motivate, cerco di spiegarmi meglio: nel complesso dico che il pubblico di Foggia è visceralmente attaccato alla sua squadra (non lo scopro io) e anche gli ultras più duri e puri (passatemi il termine) soffrono e sentono la partita. Credo che questo sia innegabile. E personalmente non solo non lo ritengo un difetto, ma persino un pregio. Sul perché mi sono espresso diverse volte, ma dato che repetita juvant: l’arma vincente dell’ultras italiano è sempre stata quella di essere un misto delle componenti che lo hanno reso celebre e copiato in tutta Europa. Dal tifo incondizionato, alle presenze in trasferta, passando per il confronto con l’avversario e, per l’appunto, l’attaccamento viscerale alle sorti sportive del proprio club. Vedere la gente soffrire, incazzarsi per il risultato o sbraitare a un’azione sbagliata è sano e fa bene.
Questa è la linea sottile, ma apparentemente invalicabile, che ci divide da movimenti ultras comunque meritevoli di attenzione e considerazione come quelli tedeschi e, in maniera esponenziale, di buona parte dell’Est Europa.
Torniamo alla sfida dello Zaccheria, non mi sono certo dimenticato degli ospiti. Come detto i pescaresi fanno il loro ingresso quasi alla mezz’ora, accolti dai fischi dello stadio. Lo zoccolo duro della Nord (che ha viaggiato in treno) si sistema al centro, seguito poi dal resto del contingente che ha viaggiato con pullman e mezzi privati.
I biancazzurri mostrano subito tutta la loro voglia di lasciare il segno e in breve tempo si capisce che la loro sarà una prestazione di valore. Tante manate, tifo tenuto sempre in alto, una bella esultanza al decisivo gol di Mancuso, una vistosa sciarpata nella ripresa e tanta pirotecnica. La rabbia e la motivazione giusta, quello che ormai si vede di rado sui gradoni italiani. Davvero poco altro da chiedere. Ovviamente gli scambi verbali con i dirimpettai sono numerosi e coinvolgono spesso anche il resto dello stadio.
Al termine della partita è grande la loro esultanza per un successo fondamentale ai fini della classifica ma ancor più per il campanile. Il rammarico dei tifosi foggiani si tramuta in applauso di incoraggiamento nei confronti di una squadra che, oggettivamente, forse non avrebbe meritato di perdere e che, sicuramente, resterà in corsa fino alla fine per salvarsi.
Nel dopo gara si registra ancora qualche problema nei pressi del settore ospiti, con gli ultras rossoneri che impegnano nuovamente le forze dell’ordine. Per chiudere una giornata calda su ambo i fronti, con picchi che giocoforza rimandano la mente a qualche anno fa. Foggia-Pescara, anche solo a leggerla su un giornale, resta sfida d’altri tempi. Le attese non sono state tradite.
Simone Meloni