Ho un ricordo lontano della Fossa. Un puntino blu, là in un angoletto del PalaEur. Doveva essere una serata di inizio anni duemila, forse un playoff, ma non ne sono così sicuro. “Loro sono i migliori”, mi sussurrò un amico del tempo all’intervallo lungo.
A dire il vero, di quella prima volta in cui li vidi all’opera, ricordo davvero poco. Dodici, forse tredici anni fa la concentrazione era soprattutto su quelle realtà ultras che nel calcio erano in grado ancora di fare “il fuoco” negli stadi e lasciarti a bocca aperta dopo novanta minuti. Inoltre non avevo sicuramente un’attenzione maniacale per le curve come oggi, pertanto quella serata è francamente svanita nei miei ricordi. Ne rammento solo i contorni e l’esclamazione del mio amico.
Ci ho messo oltre dieci di anni per rivedere quelli della Fossa all’opera. Con la Effe caduta nei bassifondi della pallacanestro italiana. Febbraio 2014, al Paladozza è di scena Mortara, per il campionato DNB. Tremilacinquecento spettatori sostengono un squadra che in quella stagione mancherà la promozione in A2. Io neanche a dirlo, rimango stregato da quello che questo gruppo sa trasmettere.
Non è facile uscire da uno stadio o da un palazzetto totalmente soddisfatti. Sono anni duri, in cui tanti valori e tanti modi d’essere sono andati persi sugli spalti, lasciando spazio a un’omologazione latente che spesso finisce per non sapere né di carne e né di pesce.
Ma bisogna anche ricordare che Bologna era e resta Basket City. Un posto dove le storie, le battaglie, le gioie e le delusioni si intrecciano tra Fortitudo e Virtus. L’una l’alter ergo dell’altra. V Nere contro Effe sarà per sempre la sacra guerra del basket italiano e sarebbe sbagliato non assegnare alla città delle Due Torri un ruolo primeggiante nella palla a spicchi.
Anche oggi che le sue protagoniste sono relegate in A2.
Sarà pure per questo motivo che avvicinandomi a Piazzale Azzarita avverto un senso di sacralità. La sorte ha voluto riunire le “sventure” delle due squadre proprio qua. Anche la Virtus, infatti, disputerà i playoff al Paladozza. Un ritorno al passato che gonfia ancor più il derby quotidiano e spinge le due squadre in questa tornata assassina, in cui ne resterà solo una.
L’incrocio di quest’oggi mette la Fortitudo contro… la Fortitudo. Quella di Agrigento però. Nella serie conducono i felsinei per 2-1 e stasera hanno l’opportunità di conquistare i quarti di finale con una vittoria. Ovviamente il palazzetto presenta sold out, con il perimetro che lo circonda invaso da ragazzi che fanno avanti e indietro, con sosta obbligatoria al banchetto della Fossa, dove ragazze e signore si occupano di vendere il materiale.
Fatemi pensare: da quanto tempo non vedevo, almeno nel calcio, un gruppo dove vige ancora la divisione dei compiti e tutto sembra esser organizzato in modo capillare? Fatta eccezione per qualche realtà di provincia, davvero da molti anni. È probabilmente la forza principale della Fossa dei Leoni. Di contro è forse la debolezza di un movimento ultras che – oltre all’ondata repressiva – è finito per implodere su se stesso. Chiudendosi a volte, dimenticando di quanto l’organizzazione e il sapersi districare anche al di fuori del proprio territorio siano fondamentali per non essere in una perenne condizione di sopravvivenza, ma per vivere con tutti i crismi del caso.
Sia chiaro, è sbagliato paragonare calcio e basket in tutto e per tutto. È lapalissiano che ci sia una differenza sostanziale, sia nella morsa repressiva che negli spazi a disposizione. Eppure considerando che un gruppo come la Fossa è forse ciò che più si avvicina (superandole attualmente) alle tifoserie del pallone, un minimo paragone è d’obbligo.
Come sottolineato dal racconto del buon Matteo su Gara 3, è sicuramente “salutare” osservare come un po’ tutti se ne sbattano alla grande dell’inno nazionale suonato prima della gara e dei rituali che troppo spesso ci ricordano le origini a stelle e strisce di questo sport. Non ho mai nascosto la mia passione per la pallacanestro (sebbene sia amante di quella europea) ma al contempo, da buon figlio del calcio, devo dire che mal sopporto il troppo rumore degli speaker e altre “americanate” che spesso prendono il sopravvento sull’unica cosa che dovrebbe costituire lo spettacolo di contorno al parquet: il pubblico.
Anche se poi in questa circostanza, il pubblico diviene la principale attrazione del Paladozza. Basta guardare dove finiscano spesso gli occhi dei tifosi, un continuo rimbalzare tra un canestro e una manata della Curva Schull. A parte qualche piccola sbavatura iniziale, quando anche la Fortitudo sembra stentare, dal secondo quarto in poi è un totale dominio emiliano, sul campo come sugli spalti.
Cantano tutti: dalla prima all’ultima fila. Vuol dire che gli ultras da queste parti non sono un corpo estraneo, ma un’entità integrata e quasi venerata da tutti. La Fossa è la Fortitudo e viceversa. Del resto questa è l’essenza primordiale del tifo organizzato. Un aspetto che non andrebbe mai dimenticato, lasciando spazio e tempo a derive stupidamente oltranziste ed esclusive. Nel senso che tendono ad escludere, all’interno di un movimento nato per aggregare e formare intere generazioni.
La passerella dell’ultimo quarto è tutta per i giocatori, che conquistano agevolmente l’accesso ai quarti. Ci sarà Treviso, in un replay della semifinale dello scorso anno. Sembra di esser tornati negli anni novanta, quando i veneti, assieme a Milano, Siena e le due bolognesi erano soliti occupare le griglie finali dei playoff di A2. Siamo una categoria più in basso invece.
E aspettando che tutto torni come prima, ci godiamo lo spettacolo. L’importante è che si abbia coscienza di quanto il basket sappia essere ancora uno sport in grado di far battere il cuore e trascinarsi dietro intere città. Non lo dimenticassero mai le istituzioni che in questi ultimi anni sono state letteralmente cieche – e a tratti complici – mentre i club più blasonati della nostra palla a spicchi perdevano pezzi e finivano nella malora.
Simone Meloni.