Ankara, capitale della Turchia, non ha la fama di Istanbul, vero cuore pulsante del Paese, sia da un punto di vista turistico che sportivo. Le tre famose squadre di Istanbul, Besiktas, Fenerbahce e Galatasaray, si dividono la gloria sportiva e anche per coloro che non sono appassionati di calcio turco, queste squadre sono rinomate per la passione dei loro tifosi.
Ad Ankara, invece, è l’opposto: è difficile ricordare, a mente, una delle tre squadre professioniste della città che, al contrario di Istanbul, oltre al punto di vista sportivo, non offre un granché al turista di passaggio.
Voluta da Ataturk, il padre della nazione turca moderna, come capitale del Paese, si trova nel cuore dell’Anatolia. Di fatto, Ankara conosce una febbre di costruire ovunque, in parallelo con la crescita dell’economia turca.
In mezzo a questo paesaggio moderno, decido di andare a visitare la cittadella che domina la città, che si trova nel centro storico. Idea perfetta: oltre alla visione di questa metropoli di 4,5 milioni di abitanti (che sembra una Shanghai dell’Anatolia, con palazzi che spuntano come funghi un po’ dappertutto) e del suo urbanismo surreale, si possono intravedere due degli stadi della città. Il vecchio stadio non ospita più partite, ma quello del 19 Maggio vede le partite dell’Ankaragucu in Serie C e quelle del Genclerbirligi, che disputa la Superlig, cioè la Serie A turca.
La terza squadra della città, l’Ankaraspor, questa stagione disputa il campionato di Serie B, ma gioca a ben 35 chilometri da qui, nello stadio Yenikent Asaş; essa non ha una vera tifoseria, perché è considerata come una “creatura” del sindaco, Fatih Gökçek, appassionato di calcio. Le rivalità non esistono tra le squadre della capitale: infatti, due ragazzi con la maglia gialloblu dell’Ankaragucu saranno presenti presso il cuore della tifoseria del Genclerbirligi senza alcun problema.
La sera della partita prendo la metro, che si ferma a 5 minuti a piedi dello stadio, e arrivo con un’ora di anticipo. Un ragazzo con la maglia della squadra locale mi accompagna all’entrata; mi spiega che non posso fare un biglietto se non sottoscrivo una tessera. Di fatto, un gruppo di tifosi rimane fuori perché c’è una protesta in corso contro l’e-ticket (la versione turca della tessera del tifoso). Da una settimana, questa carta è obbligatoria per comprare un biglietto. Sullo stesso modello della tessera del tifoso, essa è una specie di carta d’identità che racchiude tutti i dati dei tifosi. Come in Italia all’inizio, è collegata ad una banca e costa 25 lire turche (un po’ più di 8 €). I club di tifosi turchi sono contro non per il famigerato articolo 9 come in Italia, ma per motivi politici-commerciali: la sola banca che le vende appartiene alla famiglia del premier turco Recip Tayep Erdogan.
La settimana scorsa una protesta contro questa tessera è stata fatta ad Istanbul, con i tifosi delle tre grandi società della capitale. Da un anno, le rivalità sono state un po’ messe in disparte con la protesta di Gezi e, anche questa volta, i tifosi radicali tornano a far gruppo. Un bell’esempio che può solo far sperare. Il 13 aprile è stato pure firmato, da rappresentanti di 44 gruppi di tifosi turchi, un documento per dire no a questo sistema.
Incontro uno dei leader dei Kara Kizil (in italiano significa i Rosso Neri, ma ha un significato politico nel senso dei colori della sinistra), gruppo di tifosi radicali, il quale mi spiega che ci saranno pochi spettatori, e tanti non vengono per colpa di questa tessera. Solo gli abbonati ci saranno, perché non hanno ancora bisogno di questo e-ticket (ma solo fino alla fine della stagione, l’anno prossimo sarà obbligatorio pure per gli abbonati). La partita, tra l’altro, si disputa di venerdì sera, alle ore 20:00.
Provo ad entrare in tribuna chiedendo un accredito, ma non è la dirigenza locale che decide, bensì un ufficiale del governo turco e lui rifiuta di farci entrare, anche in qualità di addetti della carta stampata. Per fortuna, tutto il mondo è paese, ed anche qui c’è sempre un metodo per entrare. Il ragazzo del gruppo Kara Kizil ci procura abbonamenti che “volano”, letteralmente, dal cielo: essi sono già utilizzati ed i ragazzi del gruppo li buttano dall’alto dei distinti, per farli finire venti metri sotto. Ci presentiamo all’entrata, dove, come in Italia, ci sono tornelli elettronici controllati da uno steward e, per mia fortuna, l’abbonamento funziona di nuovo ed entriamo in gradinata.
Lo stadio sembra parecchio vecchio, ma è totalmente coperto. La sua capienza è di quasi 20.000 spettatori. C’era una pista d’atletica, ma non ne rimane niente, se non una delimitazione di due metri dal campo sportivo. Lo spettacolo è desolante, gli spalti sono vuoti, e la maggiore parte dei gruppi di tifosi, che prendono posto in gradinata, hanno appeso gli striscioni alla rovescia. Uno striscione, apposto al centro, è contro la nuova norma in vigore negli stadi turchi.
Ci saranno sì e no 2.000 spettatori e, comunque, nel settore ospiti vediamo una ventina di tifosi biancoverdi del Bursaspor con due striscioni : “Radikal” e “Texas”, che è una specie di gruppo ultras. Bashar, mio interlocutore, mi indica che, normalmente, il settore ospiti sarebbe stato pieno all’inverosimile, ma oggi anche loro sono in protesta. La maggior parte di questi tifosi biancoverdi sono studenti di Bursa che vivono ad Ankara e frequentano l’università.
I giocatori entrano sul campo e subito parte l’inno nazionale, cantato da tutti i presenti. È sempre così per le partite del campionato turco; fa un effetto un po’ strano, ma qui tutti lo cantano, indipendentemente dalla fede politica, del sesso o dell’età.
Successivamente, i diversi gruppi che prendono posto nei distinti cominciano ad alzare striscioni contro l’e-ticket e hanno distribuito ai tifosi dei cartelli con lo stesso messaggio (malgrado i controlli della polizia che ne ha proibito l’ingresso). È bello vedere che la gente normale capisce il senso della protesta. Cori e messaggi si alternano per due minuti, e dopo cade un silenzio surreale. C’è il leader in balconata, ma lui non ha bisogno di spiegare le cose.
Noto vari striscioni sulla recinzione, la maggiore parte rovesciati ed uno ha pure come nome “Ultras”, ma mi viene spiegato che non si tratta veramente di ultras, ma dei più giovani tifosi radicali. In Turchia ci sono pochi gruppi ultras nel senso che intendiamo noi. La maggior parte dei tifosi radicali turchi sono in questi gruppi, dove i principi sono diversi dalla cultura del tifo organizzato all’italiana, ma non manca la passione e il sostegno estremo alla squadra. Questo tifo è più sul modello balcanico, seguito da Grecia e Turchia. L’organizzazione è poco capillare, ma ciò non impedisce che i gruppi dispongano di una sede, si ritrovino durante la settimana e facciano le trasferte, anche se le coreografie sono rare e semplici, per lo più composte da tanti fumogeni. I megafoni sono pressoché inesistenti, ed il tifo parte non solo dai leader, ma anche dai vari punti caldi delle diverse tribune. Comunque certi gruppi si ritengono ultras, ma sono una minoranza.
La partita continua nel silenzio ed ogni dieci minuti si canta contro la tessera: al 6° minuto, al 16°, al 26°, al 36° ed alla fine del primo tempo. Due gruppetti in curva proveranno a cantare per i rossoneri, ma smetteranno dopo alcuni minuti. Poi, durante l’intervallo, la gradinata comincia a cantare e a tifare come se ci fosse la partita. Molto originale questa trovata, utile per far capire che, comunque, loro ci sono e qua batte il cuore e l’anima del Genclerbirligi.
Quando le squadre entrano di nuovo in campo, i gruppi decidono di andare via, ma la polizia non vuole lasciarli uscire e chiude le porte dello stadio. Dopo tre minuti di fermento e con un po’ di intelligenza, gli agenti capiscono che è il caso di lasciarli andare. Così, buona parte della gente abbandona lo stadio: non solo i più fanatici, ma anche famiglie con bambini al seguito.
Devo ammettere che questi tifosi mi hanno stupito e ho scoperto un’altra faccia del tifo turco. Per finire, un ringraziamento sentito va a Bashar ed ai ragazzi del suo gruppo, che mi hanno permesso di entrare in questo stadio e di scoprire una nuova realtà.
Sébastien Louis.