Venerdì 2 Settembre, poche ore prima della partenza per le mie ferie ritardate. Traghetto a Livorno, scalo turistico a Pisa per ingannare le ore. Solito giro, piazza dei Miracoli, la torre con la gente ad immortalarsi e ad imitarsi in foto che erano originali sì e no 50 anni fa.

Il campo di calcio o il parquet un pensiero lontano. Nessuna occasione in questa estate di vedere quel qualcosa in grado di smuovere i muscoli delle mie emozioni. Troppa delusione accumulata, troppa distanza ideologica tra me e ciò che succede negli stadi di oggi, troppa fuffa mediatica e troppi sciacalli da tastiera nell’epoca del tifo mordi e fuggi. Stanchezza, in sintesi.

Un vigile allontana gli ambulanti neri. Scherzando, dice loro che sono fortunati perché gli agenti sono in pochi a causa degli allenamenti del Pisa, dove ci sarà tantissima gente.

L’Arena Garibaldi è là dietro e, per ironia della sorte, non ci sono mai andato. Una frase casuale sentita per sbaglio e la scintilla è già scattata, come attendesse da tempo l’artifizio in grado di accenderla.

La mia compagna non è entusiasta, ma mi asseconda accompagnandomi. Pian piano, con l’aumentare della folla, anche lei cambierà opinione.

La folla è numerosa, si entra dal lato Nord ma si è tutti nell’unico settore aperto, la tribuna coperta.

Sembra una festa di paese degli anni andati, ma è molto, molto di più. Il Pisa è nuovamente in Serie B e, per vocazione della vicina piazza, ha ottenuto il suo miracolo estivo: risolvere la problematica situazione societaria e affrontare con serenità la cadetteria. Roba non da poco nei giorni di oggi.

La tribuna dell’Arena Garibaldi è un tripudio di gente di tutte le età, senza distinzione di sesso e di classe sociale. Tutti entrano continuamente alla spicciolata, senza controlli.

Arrivo giusto in tempo per l’ovazione al mister simbolo della promozione dei Pisani, quel Rino Gattuso qualche anno fa campione del mondo e oggi alle prese con sfide forse ancora più complicate.

L’entusiasmo prende consistenza e si tocca con le dita. I cori degli ultras, i loro striscioni che riempiono tutto il settore, le urla dei semplici tifosi, le bandiere, i bambini con gli occhi sgranati, le signore più anziane che seguono a ritmo i battimani. Quanto vorrei in questo momento tutti quei giornalisti e quei subumani che sostengono che il male del calcio sono gli ultras: quelli delle famiglie allo stadio, del buonismo, del politicamente corretto. Ma sì, credeteci pure al vostro calcio malato e in piena emorragia di tifosi e di amore.

Li avrei voluti qui in mezzo perché oggi la gente è contenta, sorride. I più piccoli vogliono stare sulle spalle dei genitori per vedere meglio lo spettacolo.

Il Pisa oggi è amore, fede, unione tra tante anime che non si conoscono. È armonia, sincronia, ma anche entusiasmo.

Lo azzardo a dire: il clima di questo allenamento sarà più bello di tante partite interne.

Ho la macchina fotografica e, all’occorrenza, il mio inutile tesserino di giornalista: inevitabile, per me, entrare in campo. Nessuno mi controlla, un minuto e sono davanti al popolo nerazzurro che intanto continua ad incitare i propri beniamini.

Scatto come un animale rimasto represso in gabbia per troppo tempo, ma non sono il solo. Fotografi e addetti ai lavori di ogni risma sono con le spalle al campo e immortalano in modalità foto o video ogni gesto che arriva dalle tribune.

Quella marea umana, spesso disprezzata, ha un fascino magnetico. La star di oggi è il pubblico, gli ultras i mattatori assoluti.

Mentre l’apoteosi continua, in poco tempo fotografo battimani, sciarpata, sbandierata, torce. Resto il più possibile ma so di dovere qualcosa a chi mi sta aspettando dall’altra parte del plexiglass.

Esco dal campo con un umore nuovo e una calma positiva. Io e la mia compagna lasciamo l’Arena mentre tanta gente continua ancora ad arrivare.

Un bambino, mano nella mano col padre, dice all’ingresso: “Oh, oggi non ci sono le guardie… che bello!”.

Ora posso partire veramente per le vacanze, riconciliato, più che col calcio, con l’umanità.

Stefano Severi.