Far chiarezza su quello che è successo quel famoso sabato sera, questo è alla base della “conferenza stampa“ organizzata dai Nuares. Nella sala del bar, oltre ai ragazzi della nord, alcuni giornalisti della stampa locale e i legali che seguono il caso: Giovanni Adami e Antonio Radaelli, due vere e propria autorità nel mondo ultras, oltre a Stefano Gevi anch’egli famoso nel mondo ultras per rappresentare alcuni ultras in processi a loro carico.

“Quello apparso sui giornali non corrisponde a quanto successo e fa emergere un ritratto di noi non vero”, così esordisce “Ale” Tartaglia che dei Nuares, oltre ad essere membro, si fa portavoce per questa serata. “Dopo la partita abbiamo festeggiato in centro con i nostri gemellati di Rimini, una serata ‘normale’ in una realtà come la nostra: scambi di visite, partita vissuta fianco a fianco e cena per rinsaldare un legame nato diversi anni fa. Dopodiché – prosegue- abbiamo bevuto qualche birra in un bar (come ha testimoniato il titolare alla Polizia ndr) spostandoci poi verso la barriera Albertina dove abbiamo esposto uno striscione già apparso allo stadio e, quindi autorizzato, e di lì a poco l’arrivo delle volanti ha causato quello che, sui giornali, è stato definito come un atto di contestazione contro la squadra, rea di aver perso la gara del pomeriggio. L’unica ‘malefatta’, e lo riconosciamo, è stata quella di aver fatto partire qualche coro, ma rimane la sproporzione tra ‘danno’ e pena inflitta; addirittura quattro di noi si sono presentati spontaneamente in Questura per spiegare meglio la situazione, sperando di chiarire il tutto, invece… Quello che ci lascia basiti è il prosieguo delle azioni di polizia come le perquisizioni in casa al mattino presto anche per chi, in quella serata, era assente. Questo rafforza l’immagine che vuole essere data: gli ultras a Novara sono violenti ma noi siamo tutto meno che questo; crediamo nei sani valori dei canoni ultras: attaccamento alla maglia, amicizia e solidarietà (non ultima la raccolta fondi per Amatrice ndr); vogliamo avvicinare i ragazzi più giovani alla curva e fargli vivere lo stadio come lo viviamo noi, in maniera passionale ma sana. L’immagine distorta – conclude Tartaglia – data dalla Questura e, di conseguenza, dai giornali, ha fatto nascere in noi la volontà di dire la nostra per dimostrare chi sono gli ultras a Novara”.

Fatta la doverosa introduzione si passa all’aspetto “tecnico” della vicenda, approfondimento lasciato all’avv. Giovanni Adami, ultras prima di diventare avvocato e quindi profondo conoscitore del mondo in questione.

“Sono diffide pesanti” esordisce Adami. “L’intenzione del Questore è stata quella di punire con il massimo della pena dei fatti che, a mio giudizio, sono lontani anni luce dall’essere considerati ‘gravissimi’ come però testimoniano i Daspo emessi; dai 3 ai 5 anni. Siamo qui, visto che parlo anche a nome dei miei colleghi, per assecondare i desideri di giustizia di questi ragazzi preparando i ricorsi nei confronti dei daspo emessi nella serata del 5 novembre. Questi provvedimenti non sono stati emessi nei confronti di chi ha materialmente accesso un fumogeno o piuttosto lanciato le monetine, come è stato detto, ma la diffida è stata ‘random’, o perlomeno con l’intento di punirne uno per educarne cento. Uno dei nostri punti forti è la completa assenza di un legame tra la partita e la serata che ha comunque portato a dei Daspo. La famosa ‘Legge Pisanu’ diventata poi ‘Legge Amato’ è stata promulgata per impedire atti violenti durante la gara, non ad ore di distanza e in luoghi diversi dallo stadio. Indossare una sciarpa di un qualsiasi gruppo ultras e macchiarsi di un reato non vuol dire automaticamente daspo, anche se questo è il messaggio fatto passare.

Infine la parola passa nuovamente al Tartaglia che chiude così la serata: “Quello che ci lascia basiti è la totale assenza di supporto da parte della società, eppure quando c’è stato bisogno, i nostri numeri li avevano. Le attività portate avanti in questi mesi proseguiranno già da sabato con la raccolta fondi menzionata precedentemente mentre a livello di tifo, chi non è stato daspato esporrà la pezza al contrario e seguirà la gara in silenzio e penso che presto si renderanno conto che, senza i “Nuares”, si giocherà sempre in trasferta”.

A margine di questo articolo di mera cronaca, mi pare doveroso dare una mia semplice interpretazione.

In questi anni ho sempre sentito parlare di repressione ma senza mai imbattermi in episodi degni di tale nomea… fino ad oggi.

Quello successo il famoso 5 novembre lascia basiti, non tanto per i DaSpo in sé ma per la modalità di comminazione dei dispositivi che, in altre sedi ben più qualificate, sono stati più volte criticati. Come è possibile che una normale cena tra gemellati possa culminare in chiamate in questura, perquisizioni all’alba del giorno dopo e diffide a caso? Sarà forse che qualcuno voleva far bella figura ed ergersi a paladino della lotta al tifo violento?

I fatti parlano di 4 daspo, quelli relativi al post post gara, con durate dai 3 ai 5 anni… comminati per cosa? Fatti violenti? Se per violento intendiamo delle torce accese e qualche coro contro le forze dell’ordine… non diciamo sciocchezze, questi fatti, che peraltro potremmo condannare, sono ben altro che violenza. Quello che lascia senza parole è il DaSpo “ad personam” in quanto chi ha preso la diffida non è chi ha materialmente accesso la torcia, piuttosto che lanciato cori e monetine: anche qui, sarà un caso, le persone “più in vista” del gruppo sono quelle che si sono prese il Daspo. Eliminare il problema alla radice? Questo stanno facendo?

Se qualcuno avesse usato l’intelligenza, della quale dubito fortemente a questo punto, avrebbe visto come la curva novarese, in questi ultimi anni, non ha mai mostrato i caratteri di “curva pericolosa”. Qualche eccesso sì, ma sempre entro i limiti della legge.

Per chiudere questa piccola disamina vorrei anche sottolineare come le perquisizioni, per quanto giustificabili a norma di legge (basta il mero sospetto di detenzione di armi o droghe), devono aver richiesto prima dei notevoli salti mortali per equiparare un fumogeno allo stesso livello di un’arma da fuoco. Molto più probabilmente si voleva solo “sbattere il mostro in prima pagina”, mortificando a livelli inauditi chi ha dovuto subire tutto questo.

Infine l’ultima “cosa che non torna” è questa: all’interno dello stadio qualcosa è successo e per quanto non giustificabile (ricordando che chi l’ha fatto si è costituito), non si capisce il perché chi ha causato tale reazione è passato come martire mentre chi ha reagito è un mostro. Ah già, è un’ultras… e pare che tanto basti come indizio di colpevolezza, a prescindere dalle concause.

Esprimo la massima solidarietà agli amici colpiti da questi provvedimenti: giustizia sarà fatta, me lo auguro.

Alessio Farinelli.