Percorrendo Via dello Stadio Olimpico ci si inerpica alle pendici di Monte Mario. Da un lato la folta vegetazione tanto invisa al questore D’Angelo, dall’altro dapprima la copertura dello stadio e poi piccoli sprazzi di manto verde e spalti che si aprono agli occhi di chi ci passa accanto. Erano anni che non raggiungevo l’Olimpico da quella parte, forse l’ultima volta fu un Roma-Brescia del 2005, in macchina con mio zio. Ricordo come da bambino, passare di là, mi provocasse una strana sensazione di eccitazione mista ad attesa frenetica. Un groviglio allo stomaco che diveniva sempre più fitto ogni volta che gettavo un’occhiata all’imponente copertura bianca dello stadio. Elaboravo sogni, attese e speranze rispetto a ciò che avrei visto da lì a poco. E riuscivo a sognare. Perché il calcio, va ricordato, è innanzitutto la possibilità, gratuita e semplice, di sognare.

Ci pensavo con la solita tristezza mista a malinconia che caratterizza le mie ultime presenze in quel tempio che vedo sconsacrato e che, domenica dopo domenica, diventa ostile, freddo e pure infame. No, lo ammetto, quattro giorni dopo Roma-Barcellona non ho affatto metabolizzato quanto visto. E non ci riuscirò mai. Ci ho ripensato. Ho riflettuto su come la cieca cattiveria di un sistema ingiustamente repressivo si sia abbattuta sulla mia città, sulla mia gente e su tutto ciò che nella vita ho sempre, forse in maniera eccessiva, ritenuto inviolabile. Ho riflettuto su come quello che sta accadendo alle curve di Roma, in fondo, sia solo un piccolo spaccato di un piano ben definito che vede il potere poliziesco unico e indiscusso protagonista in ogni ambito della vita cittadina. Siamo di fatto in una situazione di perenne check point di guerra, in cui una passeggiata a Trastevere può da un momento all’altro trasformarsi in una perquisizione sommaria e un posto di blocco a San Giovanni in un controllo degno di un Paese privo di ogni diritto civile.

C’è un po’ tutto di mezzo. Un’informazione volutamente silente, che scrive e racconta troppo spesso falsità, distorcendo gli avvenimenti e dando in pasto all’opinione pubblica nemici da condannare in pubblica piazza. Non una parola, invece, su quello che Questura e Prefettura di Roma stanno facendo. Lo sperpero di danaro, a mio modo di vedere, resta forse la pagina più torbida di tutta la vicenda, assieme all’annientamento di buona parte dei diritti garantiti, non dico tanto dalla Costituzione (ormai è persino retorico citarla), ma dal vivere civile. Anche oggi centinaia di agenti circondano lo stadio, molti in assetto anti-sommossa ai tornelli della Curva Sud, pur sapendo che la maggior parte degli abbonati di quel settore non entrerà, tantissimi mezzi a motore acceso pur non dovendosi spostare (non credo che al Ministero degli Interni regalino la benzina, anche se negli ultimi mesi il prezzo del petrolio è calato), un elicottero che ormai sorvola costantemente la zona e tanti agenti in borghese dislocati un po’ ovunque.

Prima o poi le istituzioni dovranno dare conto di queste spese. Oppure riteniamo normale che in una città in totale crisi d’identità, di strutture e di svilippo, vengano letteralmente gettati alle ortiche così tanti fondi per le follie di questi personaggi? Altrimenti venga detto con chiarezza che la consegna nelle mani di Franco Gabrielli di poteri speciali, ha istituito a Roma un vero e proprio governo di Polizia, in cui figure come quelle del sindaco altro non sono che manichini messi là per fare scena.

Camminare sul Lungotevere, nei pressi dell’Obelisco e, peggio ancora, superare i prefiltraggi per avvicinarsi agli ingressi, è un qualcosa di impressionante. Ed aggiungerei che vivere quella che dovrebbe essere una passione, in quella maniera, è soprattutto umiliante. Non voglio fare paragoni fuori luogo, ma fatte le dovute proporzioni, nelle carceri c’è sicuramente più libertà e rispetto dell’essere umano. Sorvegliati a vista, provocati, insultati, spogliati della propria intimità con perquisizioni da stato dittatoriale: da un mese a questa parte a questo sono costretti i tifosi di Roma e Lazio per assistere a una gara nel settore popolare. Qualcuno ci può spiegare dov’è la normalità ed a cosa questo modus operandi dovrebbe portare?

Se in passato i tifosi possono aver sbagliato è impossibile credere che queste siano misure adottate per tutelare l’ordine pubblico. Quest’ultimo non si tutela certo con la creazione, di sana pianta, di un’inutile e vergognosa tensione di cui nessuno nel nostro Paese ha bisogno. Si è arrivati al punto di multare chi non occupa il posto contrassegnato sul proprio biglietto, ed allora mi chiedo perché tutto questo zelo non viene mai, e sottolineo mai, utilizzato in nessun altro campo veramente critico di questa nazione? Viviamo in un posto dove spesso in Parlamento il più pulito ha la rogna, le giunte comunali delle città più importanti sono infestate da esseri conniventi con le più disparate organizzazioni malavitose, eppure si trovano tempo e soldi solo e soltanto per esercitare la propria prepotenza nei confronti dei tifosi di calcio. Ma davvero possiamo ritenere che tutto ciò sia normale ed accettabile?

La Sud è rimasta fuori. E onestamente, anche se non si vive ultras e non si capiscono le dinamiche curvaiole, come si fa a darle torto? Quando per entrare in casa tua sei costretto a subire angherie e umiliazioni, come fai ancora a ritenertene un abitante? Qua si parla di un qualcosa ben più grave di quella che finora è stata “normale” repressione da stadio. Qua si parla di un modo assolutamente violento e preoccupante di gestire la folla. Se ne vuole il totale annientamento, o con la forza bruta o con il logoramento morale attraverso azioni mirate e liberticide.

Sì, è vero, il disegno è anche quello di estirpare completamente il tifo organizzato dallo stadio Olimpico. Inutile girarci intorno. Come sarebbe ipocrita dire che probabilmente non ci riusciranno. Molti di quelli che oggi si sono radunati ai baretti, sapevano che forse non avrebbero mai più rivisto quel luogo che gli ha insegnato a vedere il calcio e la propria squadra con degli occhi diversi. Quell’anfratto capace di farti catapultare centinaia di persone addosso soltanto per un gol e farti provare grandi delusioni, sapendo che tutti quelli vicino a te stanno sentendo le stesse cose. Anche se non sai minimamente chi siano. Qualcuno ha deciso che loro non lo debbano più vedere. Perché sognare e fare aggregazione è il reato più grave per un sistema che vuole il totale controllo delle menti e delle azioni altrui.

E la malafede degli sgherri non si ferma certo davanti a una protesta, anzi là bisogna mettere in campo tutta la bravura per stravolgere gli eventi e portarli dalla propria parte. Non è passata neanche un’ora dal termine di Roma-Sassuolo quando la questura si affretta ad emettere una velina (guarda caso riportata immediatamente da taluni giornali) in cui si complimenta con il pubblico presente dentro lo stadio per il comportamento “esemplare” (uno stadio muto e silente, proprio come piace a codesti aguzzini) e annuncia denunce e diffide nei confronti di chi ha ha pacificamente protestato all’esterno. I capi d’imputazione: manifestazione non autorizzata e accensione di fumogeni. Semplice modo per mettere paura ai presenti? Per ora non è dato saperlo. Ma la domanda è un’altra: a Roma non ci sono problemi e criticità più urgenti di 500 persone che cantano nei pressi dello stadio?

La verità è anche un’altra: anni di tessere, divieti e reazioni spesso gestite e pensate male dagli ultras, hanno dato i frutti che i loro fautori tanto desideravano: quel dividi et impera che non è solo una semplice locuzione latina. Si è creato un clima di contrapposizione, almeno nelle grandi città, tra tifo organizzato e semplici spettatori, ed in questa maniera il piano di eliminazione delle curve è arrivato al suo ultimo stadio. Mentre intorno la società italiana è cambiata velocemente, divenendo in maniera spaventosa un continuo laboratorio sociale, oltre che un fulgido esempio di repressione continua. Verranno tempi bui, come se questi non lo fossero. Stiamo lentamente tornando indietro e le generazioni che vivono questi giorni hanno la sfortuna di trovarsi nel Medioevo Contemporaneo.

Ci vorrà forza e ci vorranno gli attributi anche solo per usare il proprio cervello e seguire le proprie volontà. Ci impediranno non solo di cantare cori da stadio per la strada, ma forse di fruire delle più normali libertà a cui siamo abituati. Io non mi sorprendo più di nulla e in questi mesi ho cambiato la concezione di molte cose. Vedendole con il totale occhio del disincanto e con quello dell’incazzatura perpetua che almeno mi dà più possibilità di andare avanti convinto di essere per la retta via.

Simone Meloni.