Domenica mattina di inizio ottobre. La colonnina di mercurio è bruscamente scesa ed il cielo ha fatto spazio a nembostrati minacciosi che già nella notte hanno bagnato Roma con fitti goccioloni. Forse sarebbe una giornata adatta per girarsi dall’altra parte e sonnecchiare ancora per un’oretta. Ma come sempre la curiosità di vedere un nuovo campo, seppur vicino casa, e la certezza di potersi rilassare in uno stadio di categoria inferiore, senza nessuna delle costrizioni che ormai ingabbiano il nostro calcio, è più forte e mi dà la spinta per alzarmi.

Fiano Romano è una cittadina di 15.000 abitanti che sorge alle porte di Roma. A chi non è pratico della zona il nome rimanderà soltanto all’omonimo casello autostradale, mentre questa è un’antica area strategica per tutta la regione. Qui, infatti, sorgono numerosi insediamenti etruschi e la valle del Tevere può godere di un paesaggio bellissimo. Purtroppo deturpato, in alcuni punti, dallo sviluppo selvaggio dell’edilizia. Ma siamo in Italia e notoriamente i nostri “capoccioni” hanno ben poco rispetto per tutto quello che Madre Natura ci ha generosamente lasciato.

Chiusa la parentesi Quark, possiamo tornare ai fattori che più ci competono. Un incontro di Promozione Laziale con due tifoserie è già di suo un grande evento. Raggiungo il campo un’oretta prima del fischio d’inizio entrando senza problemi sul terreno di gioco. I ragazzi del Casal Barriera sono già arrivati, per l’occasione a bordo di un pullman, in una trentina di unità. Nella tribuna di casa, invece, presente lo striscione Ultras Fiano. Ammetto la mia ignoranza in merito, prima di oggi non sapevo neanche dove giocasse la formazione locale. Un cosa bella di queste mattinate è proprio il poter imparare sempre qualcosa di nuovo, anche sotto l’aspetto calcistico, con personaggi del luogo sempre pronti e disponibili a raccontare storie e aneddoti legati alla propria squadra. È qua che si riscopre il sapore di uno sport divenuto invivibile ad alti livelli. È in questi impianti che ancora si vedono le borse portate a tracolla, il caffè bevuto prima di scendere in campo e il presidente appoggiato alla panchina che scruta attentamente il riscaldamento dei suoi. Ma ovviamente per sentire tutto ciò bisogna avere l’umiltà e il realismo di scendere negli inferi, di capire che esistono l’Olimpico, il Franchi, San Siro e il San Paolo, ma che senza il piccolo stadio di provincia non avrebbero modo di sussistere.

Con pettorina e macchinetta al collo posso girare tranquillamente sulla pista d’atletica, attendendo l’ingresso delle due formazioni. Nel frattempo le tifoserie si sono disposte sugli spalti e cominciano a farsi sentire scaldando i motori. Dei Warriors del Casal Barriera abbiamo parlato spesso. Un gruppo ormai rodato che, per certi versi, ha fatto da apripista a tutta la sequela di tifoserie sorte al seguito di club rionali e di quartiere. Non sono stati i primi, ma sicuramente sono quelli con più costanza e che hanno sviluppato un vero e proprio discorso incentrato sul tifo e su tutto ciò che ne deriva. Hanno soffiato sul flebile fuoco della “sottocultura ultras”, direbbero i teorici del movimento quest’oggi. Ne parlo in questi termini facendo una chiara scissione con il calcio di una decina d’anni fa e quello attuale, che forse impone forzatamente una scappatoia se lo si vuol vivere in maniera libera e ludica.

Ovviamente non è stato inventato nulla di nuovo, e Roma aveva conosciuto, con il seguito della Lodigiani, il significato di rappresentare la Capitale anche a livelli calcistici più bassi. Ma è innegabile che tra il mondo dei ragazzi del Flaminio e quelli che oggi si divertono e si dannano su balaustre e striscioni nei campi impolverati ci sia un importante spartiacque. Ahinoi. Non c’è qualcuno “meglio dell’altro”. Ma ci sono due metri di giudizio, figli di due diverse evoluzioni di ciò che le circonda.

Cambiamenti imposti con la forza ci obbligano quindi a non paragonare mai le due entità. Al fine di essere realisti e di rispettare ambo le esperienze. L’aver rispolverato le categorie più basse è certamente un qualcosa di bello, ed ha permesso a molti di far riemergere anche le proprie radici. Sia in un contesto di quartiere che in uno di paese. E questa è una nota di merito non indifferente. Non nego di pensare spesso ai miei anni sulle gradinate in queste occasioni. Non nego (e come potrei?), che spesso vorrei passare dall’altra parte della barricata per saltare, cantare e respirare a pieni polmoni l’odore dei fumogeni. Ma a mente fredda penso che sia giusto così. Proprio per il discorso di cui sopra, proprio perché non si deve mai rischiare d’esser la caricatura di se stessi.

La riflessione viene interrotta dall’ingresso delle due formazioni e dalle coreografie dei tifosi: torce, fumogeni e “bomboni”. Tutto romanticamente retrò. Come il suono del tamburo dei supporter gialloverdi, che orchestra alla perfezione il repertorio corale. Variegato e che spesso affonda le radici su basi un po’ dimenticate. Su tutte ho apprezzato “Moonlight shadow” e “Balla” di Umberto Balsamo, vecchi tormentoni delle curve italiane negli anni ottanta e novanta. Per il resto tanto divertimento, diverse bandierine e la palese voglia di tifare rispettando appieno lo stile italiano.

Dall’altra parte i ragazzi di Fiano si compattano mettendosi subito in mostra con un’ottima intensità e un sostegno che si protrarrà costante per tutto l’incontro. Come dico spesso quando mi trovo di fronte a realtà nuove, sarà il futuro a parlare per loro. In questi casi l’importante è mantenersi sul pezzo e sapere affrontare le difficoltà fisiologiche che possono affliggere un gruppo in categorie dilettantistiche. Il grande vantaggio, rispetto al recente passato, è quello di non avere più Roma e Lazio che incombono e fungono da imbuto per tanti ragazzi. Anzi, è proprio la diaspora dall’Olimpico che ha reso il terreno fertile per la nascita di tante piccole realtà. Che dal basso hanno ritrovato stimoli e divertimento.

Complessivamente, quindi, la prova degli ultras fianesi è veramente buona. Due bandieroni sventolati spesso, tanta voce e la sensazione che ci sia un vero interesse anche sportivo. E non è da poco. Questo discorso vale anche per i ragazzi del Casal Barriera. Si avverte che il lavoro di gruppo non è fatto solo come “sfogatoio” ma dietro c’è dell’altro. E questo “altro” comprende anche l’entusiasmo per i risultati sportivi. A tal merito belle le esultanze su ambo i lati (la gara finirà 1-1). Molto carino il coro in cui si invoca il “Bar Paciotti”, probabilmente punto di ritrovo dei ragazzi rossoblu, che dà molto l’idea di aggregazione e gruppo anche al di fuori delle gradinate.

Non mi resta che riporre la macchinetta ed avviarmi verso l’uscita. Non prima di esser fermato dall’allenatore del Fiano, che fiero mi dice: “Hai visto che spettacolo? Oggi hai avuto davvero tanto da fotografare!”. Intanto fuori dal recinto di gioco dei ciclisti si sono fermati per vedere gli ultimi momenti di tifo. Tutto questo la dice lunga, su tante cose. Se solo si capisse quanto i tifosi sono importanti per lo sviluppo di un movimento calcistico anche e soprattutto a livello sociale…

Simone Meloni.