Quando nel lontano 60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso si accordarono segretamente per spartirsi il governo di Roma, mai si sarebbero aspettati che a distanza di due millenni e sestanti (il sesterzo era di valore, ergo non assimilabile al moderno “spicci”) il loro modus operandi avrebbe attirato le simpatie dei nostri contemporanei.
La Capitale dell’attuale Repubblica Italiana difatti, ha storicamente sempre strizzato l’occhio al Leviatano a tre teste (da contrapporre al mostro dantesco), vedasi l’accordo del 43 a.C. tra Marco Antonio, Ottaviano e Lepido oppure quello più recente della brevissima esperienza nota col nome di Seconda Repubblica Romana, con Mazzini-Saffi-Armellini a difesa del motto “Dio e popolo”. Oggigiorno, con l’influenza politico-sociale della Chiesa rimasta ben salda sulle anime pie dei cives, il popolo romano può fregiarsi nuovamente dell’ascesa di un tridente degno dei migliori Totti-Montella-Batistuta, o Boskic-Salas-Mancini in base a quella par condicio tramandataci dai nostri avi imperiali.
Francesco Paolo Tronca, Franco Gabrielli e Nicolò Marcello D’Angelo. Questi i tre eroi senza macchia che hanno assunto il difficile compito di riportare la Città Eterna ai fasti del passato. In barba ad ogni tipo di nomina popolare – onde evitare eventuali devianze riottose e antidemocratiche – l’ex prefetto di Milano è stato nominato Supercommissario in seguito alla dimissioni del precedente Sindaco, e insieme ai suoi fedeli compagni, a guisa dei più valorosi legionari romani, combattono arditamente protetti dal sacro scudo del Dio Marte; decantando il Carmen Saeculare di un poeta nato nell’attuale provincia di Potenza, Quinto Orazio Flacco. E di potenza gli adoratori del “Possis nihil urbe Roma visere maius” (Che tu non possa mai vedere nulla di più grande di Roma) ne mostrano quotidianamente nei confronti di tutte quelle pericolose aggregazioni sociali che, potenzialmente, potrebbero portare ad una nuova discesa barbarica, la quale metterebbe in serio pericolo il sacro ordine cittadino ottenuto in pochi mesi.
Duecentoventicinque: i giorni impiegati per debellare ogni tipo di riunione folkloristica e passionale nell’impianto sportivo cittadino che ospita le gesta dei gladiatori del ventunesimo secolo, i calciatori. Nessun comportamento sopra le righe – al massimo qualche coro contro la mamma di tal Mirante da Castellamare di Stabia. Insulti accettati e applauditi dagli ineffabili ispettori di gara, i quali non hanno dimenticato la ribellione degli stabiesi domata impeccabilmente da Lucio Cornelio Silla, che per ripicca rase al suolo la città per renderla località di villeggiatura per i patrizi romani. Ma soprattutto nessun incidente nel corso degli ultimi mesi, migliorando di gran lunga i dati relativi alla violenza legata allo sport. Altro che Tacito e la sua descrizione negli Annali dei violenti scontri fra Nocerini e Pompeiani in occasione dei “ludu gladiatori” del 59 d.C. Bastava impedire l’accesso al pubblico per evitare disordini.
Stupisce a tutti che una popolazione così all’avanguardia come gli antichi romani non abbia teorizzato prima un metodo così infallibile. Ma le migliorie relative al concetto di “panem et circenses”, strumento grazie a cui da millenni si imbriglia la cittadinanza irrequieta e ineducata, non si fermano soltanto all’evento calcistico. La lotta all’associazionismo popolare ad esempio è stata portata avanti, superando di gran lunga le più rosee previsioni. C’è una palestra popolare a San Lorenzo, quartiere degradato e in balia di spaccio e illegalità? Bene, chiudiamola e riappropriamoci di quel complesso per elargirlo a chi di dovere. Al cospetto di uno spazio culturale autogestito e pluralista, i nostri paladini non ci deluderanno mai, ordinando sgomberi e se ci scappa anche qualche manganellata. Perché la legalità deve regnare sovrana, come dice chi la rifiuta sistematicamente e si orna il capo di un alloro che puzza di marcio.
“Pecunia non olet”, come dicevano i nostri antenati. E se qualcuno potrà guadagnare da queste operazioni, ben venga! Loro, i valorosi eredi di Ascanio, Enea ed Ercole, non si fermeranno di fronte a nulla; neanche alle innumerevoli manifestazioni spontanee di piazza. Armati di codici e forti delle loro leggi, pescheranno dallo scintillante petaso l’ennesimo provvedimento, che sia una riproposizione moderna dell’adunata sediziosa, la mancata richiesta per un corteo pacifico e in presenza di numerosi bambini o la difesa di una palestra popolare da uno sgombero in programma alle 6 di mattina; di nascosto, come si confà ai migliori comandanti, i quali dormono sonni tranquilli mentre la guardia pretoriana tenta di ristabilire l’ordine e la safety – termine barbarico utilizzato però dai nostri eroi per rimarcare la nostra supremazia sul mondo anglosassone nel corso degli ultimi millenni.
I paladini di Roma sono pronti a combattere ancora per difendere la loro città, pur essendo nati: uno a Palermo, uno a Viareggio e l’altro a Trapani. Non che sia un delitto, anzi. In fondo a questa città dall’immortale senso d’appartenenza, serve un repulisti che solo chi non ne conosce l’essenza può operare. Con buona pace di quella massa chiamata cittadinanza e della sua Storia.
Gianvittorio De Gennaro.