Ho sempre pensato che Trieste sia una parola troppo breve per tutti i concetti che racchiude; tanti scrittori passati di qui, pensatori, navigatori, ma pure umile gente del porto, dal passo pesante e dalle movenze impregnate dal luppolo e dal vino che ristagna nel legno dei banconi e delle panche delle taverne. Tante storie per una città che è in fondo uno dei cuori d’Europa, una frontiera che se a volte può lasciare passare può anche essere chiusa. Uno spazio che si trova chiuso da un vicino confine e che, col tempo, ha portato allo sviluppo di una coscienza cittadina.

La Triestina ha dalla sua quindi un legame con la città molto antico, come ha ricordato Saba in svariate sue poesie dedicate al calcio e alla squadra alabardata, ma pure un bacino molto ampio, costituito appunto dagli italofoni racchiusi nella lingua di terra che si allunga verso sud-est. La rinascita della Triestina è recente, dopo una serie B affrontata fino a una decina di anni fa e qualche anno buio di gestioni chiamiamole fantasiose; i tifosi sono infine riusciti ad ottenere la proprietà del logo, da dare in gestione alla società che si propone.

Le presenze allo stadio parlano però in maniera diversa, o, per chi mastica un po’ di calcio moderno provinciale, in maniera chiara e codificata in una linea di comportamenti profondamente spiegabile con l’avvento della pay tv: un blocco di tifosi dal numero praticamente invariabile affronta ogni trasferta, le variabili sono legate invece a risultati e soprattutto alla serie in cui l’Unione si trova a militare. Se la curva Furlan vede delle presenze in questi due anni di C abbastanza soddisfacenti, il resto del Rocco presenta un deserto in propria vece quando ci si reca in altri stadi; le radici profonde della fede alabardata necessitano di nuovo ossigeno, siamo davanti ad un passato recente molto opaco che ha allontanato dallo stadio gli sportivi più tenui. Tale situazione non è un unicum, dato che in molte realtà provinciali la categoria del tifoso legato agli ambiti cittadini è flessibile anche allo sport in cui la città primeggia; da queste parti attira discrete folle il basket, altrove lo fa la pallavolo.

Oggi a Imola la posta in palio è ghiotta: recuperare punti sul Pordenone, impegnato in una sfida casalinga non agevole contro la solida formazione del Sudtirol. Gli ospiti riempiono quasi del tutto i due settorini in lamiera che costituiscono il settore ospiti; in uno si concentrano i ragazzi della curva, con le loro bandierine, i due aste e le varie pezze, nell’altro si accomodano gli appartenenti ai Triestina club.

I locali offrono una sbandierata iniziale, poi ripetuta nel corso dei vari cori abbastanza sporadici proposti in sostegno all’Imolese, una delle vere rivelazioni del campionato che anche oggi, nonostante le tante assenze, si dimostra arcigna e cerca di fare del calcio, limitando azioni basate su dilettantistici lanci in avanti.

Al 18’ arriva il vantaggio ospite con “el Diablo” Granoche, vero vecchio idolo della Furlan, arrivato in Italia a inizio anni Duemila per militare nella città giuliana e ora, dopo una carriera in serie cadetta, tornato al confine d’Italia per tentare di dare un’ultima gioia ai rossoalabardati; un paio di minuti dopo i rossoblu pareggiano dando prova di carattere.

Gli ospiti mantengono il loro sostegno su buoni livelli, con cori abbastanza vari ma ampiamente storicizzati nel tifo alabardato. Colgo in loro una certa esaltazione, un certo argento vivo che hanno addosso, che si esprime in bandierine e due aste ciclicamente alzati al cielo, in quella maniera un po’ sgarrupata e spontanea che mi attira sempre.

Il secondo tempo vede un ritmo minore nel tifo ospite, con alcuni silenzi tra i vari cori, con gli imolesi che usano megafono e tamburo in maniera abbastanza fine a sé stessa, senza coinvolgere il poco pubblico della gradinata, composto peraltro da ben pochi giovani; il preludio a un settore vuoto in tempi di magra o alla formazione di un gruppo numericamente scarso ma presente e compatto, chi può dirlo.  

Sul finale giunge, nei minuti di recupero, il 2 a 1 che gela gli ospiti; la squadra è chiamata comunque sotto il settorino della Furlan per incitarla e non per chiedere spiegazioni; le stagioni sono lunghe, ma la maglia rimane. E, come dimostrano i cori per Stefano Furlan scanditi a partita quasi terminata, alcuni ragazzi passati nelle curve rimangono immortali.  

Amedeo Zoller