Gli ultimi scampoli di un caldo pomeriggio di marzo sembrano andarsi a riporre dietro al Vesuvio, mentre il vecchio treno della Circumvesuviana supera lentamente la moltitudine di stazioni che separa Napoli da Castellammare di Stabia. Una coltre di nubi grige ha preso possesso del cielo e ora il riflesso del sole stenta a donare quell’azzurro limpido che di solito fa del mare la perfetta cornice di questa zona d’Italia.
Dev’essere all’altezza di Torre Annunziata che mi accorgo del tatuaggio. Una vespa gialloblù stampata proprio sul braccio destro di un ragazzo. Parla animatamente con qualcuno appena conosciuto. L’argomento – manco a dirlo – è quello che cattura subito la mia attenzione: gli ultras. Faccio finta di dover guardare le fermate, sul nastro adesivo posizionato sopra le porte d’uscita.
Simili discorsi sui mezzi pubblici hanno caratterizzato parte della mia vita. Mi ricordo viaggi interminabili che scorrevano almeno al doppio della velocità proprio grazie a queste discussioni. Chissà quanti di quelli che mi hanno accompagnato negli anni se lo ricorderanno ancora. Qualcuno ha mantenuto fede alle proprie idee, e questo mi basta per scendere dalla Circumvesuviana sollevato, vedendo quel ragazzo con la vespa tatuata che leva le mani al cielo e incontrando i suoi amici di stadio fa partire con energia un coro per la Juve Stabia.
Il Menti dista poche centinaia di metri dalla fermata di Via Nocera. Lo raggiungo districandomi tra il caotico traffico che mischia chi torna da lavoro e chi va allo stadio. Castellammare sogna Firenze. Sogna di poter tornare tra i cadetti, riprendendo quella favola interrotta qualche anno fa. Ma per far sì che questo sogno non si tramuti in incubo c’è bisogno di superare un avversario tosto.
Quella Reggiana che ha zoppicato nel primo turno contro il Salò ma che già nella gara di andata ha dimostrato di essere insidiosa, ribaltando l’iniziale vantaggio stabiese e andando a vincere per 2-1. Hanno un solo risultato a disposizione i campani: la vittoria.
È una sfida inedita, che questa formula playoff ha il merito di regalarci. Uno scontro Nord-Sud che sicuramente anima le trasferte e il tifo delle due tifoserie, proprio per la sua unicità.
Lentamente il piazzale antistante lo stadio va riempiendosi, mentre un capannello di ragazzi canta e balla a poca distanza dai cancelli di entrata. Sono gli ultras gialloblù a cui – per l’occasione – si sono aggiunti i gemellati di Siracusa. Zwickau e Lebowski. Il prepartita si consuma tra birre e cori, quasi ad esorcizzare una tensione che si taglia a fette. Tipica per chi vive di pallone e per il pallone gioisce, soffre e indirizza le proprie giornate.
Ritiro il mio accredito e mi accingo a metter piede in tribuna coperta. Come sempre entrare al Menti è un vero e proprio piacere: stadio nel suo piccolo all’avanguardia, perfetto per il calcio e ancor più ottimale per il tifo, grazie ai suoi spalti posti a ridosso del campo. Non ci sarà il tutto esaurito quest’oggi, ma la cornice è veramente buoa. Ciò che fino a qualche anno fa davamo per scontato (vale a dire il sold out in queste occasioni) ahinoi non lo è più, quindi fa sempre bene vedere i seggiolini occupati e sentire il pubblico rumoreggiare nelle fasi di riscaldamento.
Inutile star a rimuginare sul passato e su quanto tutto fosse più bello (ed effettivamente lo era, sia chiaro). Personalmente quando mi trovo al cospetto di una partita cerco sempre di cogliere gli aspetti positivi che essa è in grado di offrire, mettendo da parte la mia ortodossia su determinati aspetti. È necessario se si vuol dare un giudizio pacato e oggettivo. Altrimenti il tutto si ridurrebbe a definire questo calcio un surrogato di ciò che è stato. E l’unica conseguenza possibile sarebbe starsene a casa a rimirare la nuova serie di Twin Peak.
Ore 20.20: i tifosi reggiani cominciano a fare il proprio ingresso nel settore ospiti. Sono sincero: immaginavo una loro buona presenza, ma non come quella che di lì a poco si materializzerà nel settore ospiti. I due gruppi storici del tifo granata (Teste Quadre e Gruppo Vandelli) si compattano facendo subito sfoggio del proprio materiale e di un paio di tamburi. Non so da quanto tempo gli ultras della Regia non potessero far uso di questo strumento, so solo che ho intuito quanto per esse debba esser stato gustoso poterlo riportare sulle gradinate.
Sono proprio un paio di loro cori ritmati dal tamburo a far tornare indietro la mia mente di oltre dieci anni. Stagione 2005/2006, stadio Enzo Blasone di Foligno: gli emiliani sono impegnati contro la compagine locale. Io e il buon Stefano, altra colonna portante della nostra testata, decidiamo di andarli a vedere. In quella stagione avevo avuto modo di rimanere positivamente impressionato dai reggiani già in un paio di occasioni, tra cui ricordo una partita disputata al Giglio contro la Cavese. Di quel pomeriggio in terra umbra ci rimarranno impressi un paio di cori che canteremo praticamente senza sosta per tutto il ritorno verso Roma.
Quella reggiana è una tifoseria che negli anni – malgrado i campionati infimi, la repressione e il discorso tessera – ha saputo mantenere una carta costanza, dimostrandosi sempre massiccia e tosta e non facendosi mai travolgere dagli eventi. Del resto se ha in casa un verme solitario di nome Sassuolo (e badi bene mi riferisco alla società e a tutto quello che essa rappresenta in negativo per il calcio italiano, non di certo alla città o ai tifosi neroverdi), in grado di divorare silenziosamente tutto quello che è storicamente tuo, devi per forza avere degli anticorpi forti e resistenti, che ti permettano di andare avanti ed affermare sempre con forza e fierezza la propria identità e la propria passione.
Soprattutto a scapito di chi crede sia sufficiente trasferire una squadre in un’altra città e farla giocare contro Miln, Internazionale e Juventus per conferirle il titolo di “squadra della città”. Quando guardiamo con giusto ribrezzo all’esperienza della Red Bull, non crediamo che a casa nostra un qualcosa di simile non esista già. E la cosa triste è che la Reggiana è soltanto l’ultima (e certamente la più colpita/danneggiata) delle realtà storiche colpite da questo ciclone pestilenziale.
Tornando alle rive del Tirreno – che sicuramente interessano di più il lettore – tutto è pronto per la discesa in campo delle squadre e l’inizio di questa sfida. Se il settore ospiti richiama con orgoglio al glorioso passato del movimento, la stessa cosa va detta per la “coreografia” inscenata dagli stabiesi a inizio gara: una miriade di torce accese in Curva Sud che donano al settore un colore rosso fuoco, emanando nell’aria quell’acre odore che tutti noi amiamo e veneriamo. Ogni tanto fa davvero bene rifarsi gli occhi in questa maniera.
Comincia la sfida in campo e sulle gradinate. Di ottima fattura il primo tempo della curva di casa: manate, cori a rispondere, bandieroni sempre in alto e canti eseguiti saltellando o pogando, cosa che dall’esterno conferisce un perpetuo movimento che risulta molto gradevole alla vista. Nella ripresa gli ultras stabiesi hanno forse la pecca di spegnersi un pochino negli ultimi venti minuti, quando un po’ tutti cominciano a capire che – malgrado i numerosi tentativi – la squadra non riesce proprio a sbloccarsi e la qualificazione prende sempre più la strada per l’Emilia.
È vero, per noi che fummo integralisti questa dovrebbe essere una nota di demerito, ma se volessimo vedere il bicchiere mezzo pieno ci sarebbe anche da comprendere che la passione a volte gioca brutti scherzi: la tensione che attanaglia i ragazzi di curva finisce per trasformarsi in un’immane fatica nel seguire i cori e far uscire la voce. Lo so perché è capitato anche me in veste di tifoso e non mi sento certo di biasimarli.
E i reggiani? Beh mi sento di affermare che la loro prestazione rasenti quasi la perfezione. Un blocco unico composto soltanto da ultras (il che a livello generico può esser inteso come un limite, ma sicuramente a livello di tifo conferisce quel qualcosa in più) che non smette praticamente mai di sostenere i granata. Gli ultras emiliani hanno voglia di cantare, vogliono sfogare con la voce anni di delusioni e bocconi amari per coltivare anche loro il sogno chiamato Firenze. E ce la mettono davvero tutta. Presenza e tifo: bastano queste due parole per descrivere la loro giornata.
Una giornata che termina con la festa dei propri giocatori sotto al settore. Lo 0-0 in campo regala la qualificazione agli ospiti e lascia attonito il pubblico di casa. Le emozioni contrastanti si mischiano e mi lasciano l’ultima istantanea di questa serata, quella che raffigura il calcio come una consacrazione (in negativo e in positivo) di emozioni che riescono magicamente a condensarsi in novanta minuti.
Simone Meloni