Una barriera invalicabile. Non solo fisicamente. Campo e spalti troppo spesso divisi da ideali e modi di agire diametralmente opposti. Discriminante acuita da un calcio moderno sempre più distante dalla vera essenza di questo sport. Eppure non mancano rare ed affascinanti eccezioni. Casi in cui l’animo dell’ultras vede qualcosa di simile a sé stesso sul terreno di gioco. Ancora meglio se sulla pelle indossa quei colori tanto amati. In quel caso si crea un legame profondo. Chi è sugli spalti sa che in campo c’è chi lotta con cuore e rabbia; mentre chi indossa quella maglia ne sente il peso, l’importanza, ma soprattutto sente il dovere di onorarne la gente.

A Caserta sanno di cosa stiamo parlando. Guerriero, leone, ultras in campo: tutte parole che tracciano il ritratto di Catello Mari, indimenticato difensore della Casertana. 16 aprile 2006: una maledetta alba in cui la vita di Catello si spense in un tragico incidente automobilistico. Aveva appena festeggiato la promozione in C1 con la Cavese e sulla strada del ritorno verso la sua casa di Castellammare di Stabia accade l’irreparabile.

Sono trascorsi nove anni, eppure sembra ieri…

Aveva 28 anni. Una morte che ha segnato profondamente familiari, amici e tifosi. La sua carriera parla di tanta gavetta. Con la maglia della Casertana, Catello Mari aveva iniziato la meritata ascesa. Due stagioni in rossoblu che segnarono la svolta. Quello sguardo rivolto verso i Distinti per condividere la gioia di una vittoria; la grinta, la rabbia, la voglia di non mollare: bastò davvero poco al difensore per diventare qualcosa di più di un semplice calciatore. Era come se uno di quei ragazzi presenti sui gradoni avesse avuto il privilegio di indossare quella maglia, allacciare le scarpette e scendere in campo. Un ultras in campo, appunto.

Difficile dimenticare quell’addio alla città della Reggia. Non avrebbe mai voluto. Ma la sua Casertana si stava avviando verso il baratro più profondo, vittima di gestioni scellerate. Arrivò, così, il passaggio alla Cavese. Eppure quel cordone ombelicale non era stato mai reciso. Telefonate, cene, visite. Nulla era cambiato.

Un legame che neppure la morte, quella bastarda, è riuscita a cancellare. Tutt’altro. E il 16 aprile non sarà mai un giorno come tanti. Anche quest’anno, nel nono anniversario della sua scomparsa, alcuni ultras Casertani hanno voluto onorare il ricordo del proprio guerriero. Nessuna sigla, nessun nome. Un semplice “Caserta Ultras”. Sulla lapide di Catello un mazzo di fiori rossoblu, un nastro con la scritta “Dio ti ha voluto a sua difesa” e quello stemma della Casertana che Catello aveva sempre onorato e difeso.

Perché il calcio è fatto di rare eccezioni. E quando le incontri lungo il tuo cammino, ti segnano la vita. Per sempre!

Giuseppe Frondella.

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